giovedì 3 giugno 2010

Educare senza paura né timidezza alla bellezza e al futuro

Nell’età giovane ogni cosa ha il fascino del nuovo, perché ogni giorno si apre una finestra sul futuro. E’ un esperienza che abbiamo provato tutti, e che tuttavia viene dimenticata in un’epoca nella quale sta prevalendo la paura di educare. Si ha timore di parlare ai giovani per trarre dalla loro coscienza i sogni che nascondono, le speranze che coltivano, per parlare loro delle cose belle e meno belle che li attendono. Eppure educare è una delle esperienze più affascinanti dell’uomo, che abbia dei figli, che sia insegnante, che viva in mezzo ai giovani. Ed è affascinante perché è un rapporto di scambio continuo. La gioia della vita si trasmette dai figli ai genitori, dai giovani agli adulti, come un fatto naturale, spontaneo, irripetibile. Quante volte le apparenti ingenuità dei bambini, e dei ragazzi, riempiono e donano serenità a chi si è appiattito sulla quotidianità, a chi si aspetta poco da ciò che deve ancora accadere. E quante volte restiamo sorpresi da quelle domande che i giovani rivolgono, e alle quali non sempre sappiamo rispondere.

La prima conseguenza della paura di educare sta proprio nel contrasto tra le mille domande che i giovani avanzano, e nelle poche risposte che ricevono. Non si danno risposte perché non ci si vuole impegnare e rischiare. Si ha paura di condizionare la coscienza dei giovani, di imbrigliarla in questioni che non capiscono, di limitarne la capacità di scegliere e di agire. Ma queste sono paure che l’adulto si porta dentro di sé, e così finisce davvero per condizionare i giovani, perché non dona loro nulla. Socrate eccedeva affermando che basta conoscere il bene per farlo, e che l’educazione consiste nell’insegnare il bene. Lo capì il poeta latino ricordando che l’uomo vede le cose buone, ma sceglie quelle cattive («video bona proboque, deteriora sequor»). Ma certamente se le categorie del bene e del male sono espulse dall’orizzonte educativo, i giovani saranno disarmati e delusi quando affronteranno le fatiche della vita, i contraccolpi del male.

La scuola ha oggi quasi paura di parlare dei valori etici e del loro significato, ma quando taglia questo ramo essenziale della crescita della persona trasmette nozioni aride, non parla più del passato, della fatica dell’uomo per crescere, conoscere, trasformare il mondo, appiattisce la storia e il pensiero umano in una sequela di eventi eguali a se stessi, senza fascino, senza capacità di giudizio.

Edoardo Sanguineti diceva che non esistono cattivi maestri, ma soltanto cattivi scolari. Io penso sia vero il contrario, che esistano soltanto cattivi maestri e mai cattivi allievi, soprattutto quando questi sono privati del diritto ad apprendere, impegnarsi, giudicare, valutare e scegliere.

L’età giovanile è, per sua natura, aperta al futuro e alla trascendenza, perché intuisce di avere dentro di sé una energia spirituale che può realizzare traguardi impensabili. Ma se si ignora questa vocazione al futuro e al trascendente, si nega ai giovani la possibilità di realizzare i sogni più ambiziosi che coltivano dentro di sé. È questa, probabilmente, l’eredità più pesante che la crisi delle istituzioni scolastiche e formative degli ultimi decenni ci ha lasciato, perché si nega ai ragazzi il diritto a elaborare un progetto vero per la loro vita, dal quale non siano esclusi la bellezza della fede e la pratica dell’eroismo.

Nella Genesi Dio chiede alla progenie di Abramo l’impegno di «agire con giustizia e diritto» (Gen, 18,19). E nel libro dei Maccabei, Mattatia indica ai suoi figli qualcosa di più, l’impegno per resistere all’ingiustizia, proseguire nelle gesta eroiche dei padri, e ricorda che «coloro che di generazione in generazione hanno fiducia» in Dio non soccombono e non restano delusi (Mac 2, 61).

Chi costruisce un progetto di vita, sa che questo richiede fatica, ma libera dall’insignificanza, comporta dei sacrifici, che però saranno ripagati dai risultati raggiunti e da quell’intima serenità che soltanto la coscienza di avere operato bene può dare all’uomo.

L’introduzione del tema della fede nell’educazione dei giovani oggi a più d’uno può sembrare quasi strano. Eppure, l’apertura al futuro, il desiderio di realizzarsi, di fare cose buone e grandi, sono parte integrante di quell’orizzonte della fede cristiana che porta un lievito di gioia e di compiutezza che l’età giovanile più di altre sa apprezzare, perché arricchisce il desiderio di vivere intensamente che esiste nel cuore di chi ha davanti a sé tutta la vita.

Se si ignora la vocazione al futuro e al trascendente dei giovani, si nega la possibilità di realizzare i sogni più ambiziosi che coltivano. È l’eredità più pesante della crisi delle istituzioni formative
CARLO CARDIA

Nessun commento: