
Uno degli otto che a Malta hanno incontrato Benedetto XVI e faccia a faccia gli hanno raccontato la loro storia di bambini violati ha detto che il Papa ha pianto, nell’ascoltare. Segreto e riservatissimo l’incontro, nessuna telecamera si è allungata a cogliere l’istante in cui la compassione, il cum - patere, soffrire insieme, traboccava sul viso di Benedetto XVI. Lo ha testimoniato solo, meravigliato, un visitatore: «ll Papa ha pianto con me». Piangere, e soprattutto davanti ad altri uomini, non è abitudine dei grandi della Terra. Se mai succede, lo fanno da soli, perché nessuno veda ciò che comunemente è inteso come stigma di confusione e debolezza. «Vergogna », e senso di «tradimento» sono le espressioni che lo stesso Benedetto ha usato nella Lettera ai cattolici d’Irlanda.
Però non c’è, in quella sofferenza trapelata a Malta, solo il dolore del male, né solo senso di sconfitta. In volo verso l’isola dove Paolo fece naufragio, il Papa ha detto ai giornalisti: «Penso che il motivo del naufragio parli per noi. Dal naufragio, per Malta è nata la fortuna di avere la fede. Così anche noi possiamo pensare che i naufragi della vita possono fare il progetto di Dio e possono essere utili per nuovi inizi nella nostra vita». Singolare, straordinaria cristiana lettura di ciò che, normalmente, gli uomini chiamano semplicemente disgrazia, o colpa, ma in ogni caso identificano in un puro male, come il rivoltarsi di un avverso destino. I marinai della nave di Paolo, in balia del Mediterraneo, alla deriva in un orizzonte senza approdi, maledivano probabilmente il giorno in cui erano partiti – il giorno in cui un Caso maligno li aveva arruolati in quella impresa. Paolo invece, lo ha ricordato il Papa, era certo: «Ci dovremo imbattere in un’isola». Spezzata la rotta per Roma, pure non dubitava che anche quel naufragio fosse disegno di Dio.
Il fondo della sventura, la nave sfasciata dalle onda e l’equipaggio miserabilmente approdato sugli scogli: eppure Paolo era convinto che non fosse la fine, ma un altro inizio. (Non è quasi mai così, fra gli uomini. Di fronte a una dura sconfitta molti si isteriliscono nella rabbia. I più si rassegnano, amari. Qualcuno si ribella fino a voler morire. Non è cosa del mondo, questo modo di guardare a un naufragio: come al germogliare di un seme selvatico, non seminato, e che tuttavia spunta in un giardino). Già almeno una volta Benedetto XVI ha usato questa espressione, naufragio. «Senza un morire – ha scritto nel 'Gesù di Nazaret' – senza il naufragio di ciò che è solo nostro, non c’è comunione con Dio, non c’è redenzione». Dicendoci che il nostro progetto, anche il migliore, non è necessariamente quello di Dio, che strappò le vele alla nave di Paolo, a Malta. Dicendo che il fallimento accettato nella conversione può essere fertile di vita nuova. Che non ci salviamo da noi, ma veniamo salvati da Cristo. Che sguardo 'altro', e che altra prospettiva, mentre ancora i titoli dei giornali stanano e inseguono accaniti vicende di preti colpevoli – quasi soddisfatti che anche gli uomini di Dio siano a volte miserabili come gli altri. «Il Papa ha pianto», ha detto un ex bambino violato a Malta. Lo ha detto meravigliato e commosso; perché ha visto in faccia al Papa vero dolore. Eppure, insieme, una assoluta, ferrea certezza di un bene, tuttavia, perfino di quel male più grande.
Marina Corradi
Da Avvenire
Nessun commento:
Posta un commento