martedì 6 ottobre 2009

Roba da uomini

C'è una formula che ormai è entrata in maniera stabile nel vocabolario della nostra cultura: «Emergenza educativa». Indica la consapevolezza che il vuoto dell’educazione, l’avere abdicato per un paio di generazioni a questo compito fondamentale, ha generato una situazione drammatica sotto gli occhi di tutti. Non era una consapevolezza di molti, all’inizio. Ora sì. È diffusa. Ed è un bene, perché la percezione del problema quantomeno è un primo passo per affrontarlo…
Tanto più che a questo primo passo se n’è aggiunto un altro, deciso, legato all’espressione finita, non a caso, sulla copertina di quel rapporto-proposta appena diffuso dal “Comitato progetto culturale” della Conferenza episcopale italiana (e di cui si parla abbondantemente in questo numero): La sfida educativa. Come dire: abbiamo accettato la provocazione e ora la partita è in corso. È difficile, si giocherà su tempi lunghi (l’educazione sarà al centro dei prossimi dieci anni di attività dei vescovi italiani), ma siamo in campo. Consapevoli che in gioco c’è il destino di tutti, non solo degli educatori di professione e degli “addetti ai lavori” scolastici, siano professori o studenti. Osserva il cardinale Camillo Ruini nella prefazione di quel volume: «Avendo come scopo la formazione e lo sviluppo del soggetto umano, l’educazione è intrinsecamente connessa ai grandi interrogativi riguardo l’uomo (…): in realtà, pur con diversi gradi di responsabilità secondo il ruolo sociale di ciascuno, siamo tutti in qualche modo attori del processo educativo».

Ma che cosa vuol dire «essere tutti attori del processo educativo»? Che cosa significa che l’educazione è una questione che riguarda me, che abbia o non abbia figli, che sia giovane o anziano, megastipendiato o neodisoccupato? E soprattutto, che strumenti ho per affrontare questa sfida?
È qui che si innesta - con tutta la sua potenza - la proposta educativa di don Giussani. Pochi giorni fa, nella Giornata d’inizio anno (un momento di lavoro rivolto a tutti gli aderenti di Cl e di cui trovate il testo nella “Pagina uno”), Julián Carrón la sintetizzava così, sorprendendone l’origine: «Mi stupisce rileggere quello che don Giussani dice della prima ora di lezione: “Fin dalla prima ora di scuola ho sempre detto: ‘Non sono qui perché voi riteniate come vostre le idee che vi do io, ma per insegnarvi un metodo vero per giudicare le cose che io vi dirò, e le cose che io vi dirò sono un’esperienza che è l’esito di un lungo passato, duemila anni’”. Cioè, lui sapeva che non poteva aiutare se non metteva in moto l’io di quelle persone; che non bastava quello che lui diceva, né bastava il testimone. Era consapevole che poteva aiutare soltanto offrendo un metodo perché potessero giudicare tutte le cose che diceva. Fin dall’inizio don Giussani sfida il cuore di quelli che aveva davanti. È l’esaltazione della persona».

Una sfida rivolta al cuore. Questo è il metodo. Roba da uomini. E che, in quanto tale, si spinge molto più in là dei banchi di scuola: riguarda la vita. Certo, quando hai a che fare con i tuoi figli, o con i tuoi studenti, è palese. Ma basta guardare con lealtà la nostra esperienza per accorgerci che, in fondo, non esiste un rapporto umano - dall’amicizia più intensa all’incontro più occasionale - che sfugga a questa dinamica, che non porti dentro di sé questa possibilità di una sfida reciproca a fare insieme un passo di conoscenza, a spingersi di più nella realtà. Non c’è rapporto che non abbia una portata educativa, anzitutto per sé. È la stoffa stessa della vita, l’educazione. Roba da uomini, appunto. Da chi accetta la sfida.
EDITORIALI
RIVISTA TRACCE nr. 9

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