giovedì 15 ottobre 2009

«Il cuore dell'uomo non ha razza»



15/10/2009 - Ai lavori del Sinodo per l'Africa ha preso parte anche Rose Busingye, Ecco il testo della sua relazione

Rose Busingye.La fede deve penetrare gli strati profondi dell'umano, deve arrivare là dove si formano i criteri di percezione delle cose, deve penetrare anche ciò che è considerato profano e lo trasforma in un bene per tutti.
C'è un punto di partenza. L'inizio è nel gesto di Dio. Se l'uomo ci crede, è la strada perché possa riconoscersi e vivere questa appartenenza, questo attaccamento a Dio, obbedendo alla sua compagnia, la Chiesa, arrivando così alla felicità, alla giustizia e alla pace per se stesso e per tutti. Un uomo che sa da dove viene e dove sta andando. Dalla fede nasce un criterio nuovo di rapportarsi con le cose, con i figli, con la scuola, la politica, l'ambiente.
Per costruire giustizia, riconciliazione e pace non possiamo non partire dal costruire l'umano, aiutare l'uomo a essere se stesso, essere uomo; non partire da un particolare, ma dalla sua totalità. L'uomo è desiderio di giustizia, di pace, di riconciliazione. Il Sinodo per me è un'occasione di scoprire qual è il significato di queste parole, cioè qual è il significato della vita e di tutti problemi che ci sono in Africa e nel mondo intero. Il Sinodo è per me una provocazione a scoprire la piena dignità della vita umana.
Senza la coscienza della nostra umanità non possiamo aiutare noi stessi e tanto meno dare un reale aiuto agli altri. Invece di aiutare gli altri e noi stessi, continueremo a lamentarci, ad offrire soltanto la compassione e, pur di rispondere qualcosa, li inganniamo.
Se uno coglie il significato per sé e il valore della vita umana, tratta se stesso e gli altri bene, ha le ragioni adeguate per il cambiamento della vita e diventa un punto di cambiamento per tutti, come sono stati i monaci benedettini che hanno costruito la civiltà europea. Ma quando anche loro hanno ceduto nella fede, è entrato il dualismo e la divisione, che porta distruzione e caos.
Dalla fede ho visto nascere un popolo nuovo, un popolo cambiato. In Uganda un gruppo di malati di Aids poverissimi vivono spaccando sassi e vendendoli ai costruttori; mangiano una volta al giorno. Quando hanno saputo dello tsunami e poi dell'uragano Katrina in America, quando gli abbiamo chiesto di pregare per le vittime, ci hanno detto: «Sappiamo cosa vuol dire vivere senza casa, senza mangiare. Se appartengono a Dio appartengono anche a noi». Si sono organizzati formando gruppi a spaccare i sassi; alla fine hanno raccolto duemila dollari e li hanno inviati all'ambasciata americana. E quest'anno, dopo il terremoto all'Aquila, hanno detto: «Questi sono in Italia, il Paese del Papa: sono nostri amici, anzi la nostra tribù!», e hanno raccolto e inviato duemila euro. I giornalisti si sono scandalizzati: sono venuti a vedere se questa gente era povera veramente. Secondo loro non è giusto: quando uno fa la carità dà ciò che avanza, non ciò di cui ha bisogno. Una donna malata ha detto loro: «Il cuore dell'uomo è internazionale, non ha razza, non ha colore, e si commuove».

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