lunedì 23 marzo 2009

Brasile - LA BAMBINA DI ALAGOINHA E NOI


Brasile


Non conosciamo il nome “della bambina di Alagoinha”..., che all'età di nove anni è rimasta incinta dopo aver subito un abuso dal patrigno e ha abortito. E molti in questi giorni non si preoccupano di pensare che è lei la prima che, in momenti tristi come questo, avrebbe bisogno di una carezza del Nazareno.

La bambina di Alagoinha e noi – che ci troviamo nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, al potere o scrivendo sui giornali – abbiamo bisogno di una dolcezza che ci abbracci e che risvegli un’affezione per noi stessi. Perché altrimenti il sentimento che prevale è solamente la stanchezza: basta che le difficoltà del vivere quotidiano, o meglio, il mistero attraverso cui la vita ci sfida, superi di poco la nostra misura che noi ci sentiamo distrutti. E intanto difendiamo, con tutta la nostra resistenza, il nostro scandalo di fronte a ciò che non comprendiamo.

Ma di fronte a un fatto così drammatico, tutte queste parole sembrano inutili. La vita è un inganno? Possiamo dare un senso alla vita quando ci troviamo di fronte a dei fatti come questo? Possiamo sopportare una tale sofferenza? Da soli sicuramente no, non ci riusciamo. È necessario che scopriamo e incontriamo la presenza di qualcuno che sperimenti una pienezza nella vita, in modo che possiamo vedere e recuperare la speranza che tutto non finisce in un vuoto devastante.

Nemmeno Cristo ha avuto timore dell’angustia legata al dolore e al male fino alla morte. Ma allora cos’è che ha fatto la differenza in Lui? È una persona che è stata più coraggiosa di noi? No! Tanto che nel momento più terribile della sua prova, ha chiesto che la croce gli fosse risparmiata. In Cristo, è stato vinto il sospetto che la vita, in ultima istanza, sia un fallimento: ciò che ha vinto è stato il suo legame con il Padre.

Benedetto XVI ci ha ricordato che «la vera risposta consiste nel testimoniare l’amore che ci aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano. Di questo siamo certi: nessuna lacrima di chi soffre, e nemmeno di quelli che gli stanno vicino, si perderà davanti a Dio» (Angelus, 1 febbraio 2009).

Per questo noi siamo vicini alla bambina di Alagoinha e alla Chiesa, che non si stanca di insegnarci, all'interno degli avvenimenti della storia, che non possiamo ripagare il male con il male. Consideriamo l’aborto come una seconda violenza su questa bambina, un gesto così lascia dei segni molto profondi per tutta la vita, e una bambina che aveva già sofferto tanto non meritava di ricevere un’ulteriore violenza. La vita è dono di Dio e in nome di chi l’uomo decide quando la vita viene donata o viene tolta?

La presenza di Cristo è l’unico fatto che può dare un senso al dolore e all’ingiustizia. Riconoscere la positività che vince qualsiasi solitudine e qualsiasi violenza è possibile solo grazie all’incontro con persone che testimoniano che la vita vale più della malattia e della morte. Come ci ha testimoniato Vicky, ripresa nel documentario che ha vinto a Cannes nel 2008: una donna sieropositiva dell'Uganda, che ha accettato questo sguardo su di sé, ha riscoperto la propria dignità e oggi aiuta centinaia di altre persone in una ONG del suo Paese. Questa è la vita nuova che tutti desideriamo, malgrado il male del mondo e il nostro male. Questa è la vita che la bambina di Alagoinha desidera ora.

Movimento Cattolico di Comunione e Liberazione (www.cl.org.br)

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