venerdì 9 gennaio 2009

«Islamici in Duomo? È inquietante»



di Matteo Sacchi

Marcello Pera, filosofo liberale «prestato» alla politica e molto attento alle radici e all’identità cristiana dell’Europa, è stato senatore di Forza Italia, presidente del Senato e ora è senatore del Pdl. Abbiamo chiesto il suo parere a proposito della manifestazione filo-palestinese che sabato scorso si è svolta nel centro di Milano. Una protesta in cui si sono viste le bandiere di Israele date alle fiamme e imbrattate con le svastiche e in cui sono risuonati cori a favore di Hamas. Un lungo corteo che ha avuto come destinazione ultima piazza Duomo, dove trecento islamici si sono inginocchiati a recitare la salat proprio in faccia alla cattedrale.

Centinaia di musulmani si sono inginocchiati di fronte al Duomo di Milano per recitare la preghiera... Non le è sembrata un po’ una scena da film di fantascienza?

«Guardare quelle immagini e quelle fotografie mi ha dato una sensazione amara di presagio. Ho immaginato il Duomo vuoto di cattolici mentre la piazza era piena di islamici che pregavano. Mi sono messo un po’ paura pensando che questo potrebbe essere il destino dell’Europa... ».

Una previsione fosca. Come fare per evitare che si avveri?

«Bisognerebbe sottolineare la nostra identità. Invece si fa finta di niente, la si nasconde per non avere reazioni negative da parte degli altri. Si dovrebbe dire che la nostra è un’identità cristiana, anche se il nostro Stato è laico, invece prevale, sempre più, l’argomento della prudenza. Questa prudenza finisce per trasformarsi in paura e così l’ovvio risultato è che siamo destinati a perdere, a negare da soli la nostra essenza, il come siamo fatti. Ecco perché quelle immagini di islamici in preghiera, di per sé normali, assumono un valore simbolico così forte, che inquieta... ».

E sul dopo manifestazione? Che cosa pensa delle reazioni che ci sono state?

«Mi sarei aspettato qualche presa di posizione più forte, qualche reazione in più, invece abbiamo assistito a una sottovalutazione deliberata dei fatti. Si è scelto di minimizzare. Sempre nell’ottica di non suscitare reazioni, ancora a partire da quella prudenza che assomiglia sempre più alla paura».

Cosa pensa della posizione del vescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi? Si è sempre dichiarato per il dialogo, ma sulla questione non è intervenuto con forza. In fondo in un dialogo vero bisognerebbe affrontare anche questioni come questa...

«Intanto per dialogare ci vogliono due interlocutori e in questo caso se ne vede solo uno. La comunità islamica che reclama sempre più diritti e che chiede sempre più spazio... Mentre noi predichiamo apertura, comprensione, disponibilità, come se non ci fossero anche i diritti nostri. Non è possibile un dialogo tra un soggetto fortemente consapevole di se stesso e fortemente identitario e un altro soggetto che mostra di avere poca coscienza di sé... Lo ribadisco: autoindebolirsi non è affatto un aiuto al dialogo, alla comprensione reciproca, è la premessa della resa».

È stato più netto don Manganini, l’arciprete del Duomo che ha detto che lui non si sarebbe recato a pregare davanti a una moschea...

«Trovo queste parole dell’arciprete consapevoli, educate e responsabili. Ma occorre anche dire che quella preghiera è stata una prova di forza culturale e se questi tentativi non trovano la risposta adeguata non c’è nessuna possibilità di essere considerati interlocutori credibili. A quelli che predicano il dialogo vorrei ricordare che il presupposto minimo, ed essenziale, per il confronto dovrebbe essere la reciprocità. È ovvio che in Italia ci debba essere libertà di culto per tutti, ma questo dovrebbe accadere anche nei Paesi islamici. In molti di essi non solo non è possibile che i cristiani vadano a pregare davanti a una moschea, non è neppure consentito costruire chiese e praticare il cristianesimo. È anche emblematico che coloro che auspicano una moschea in ogni quartiere non chiedano altrettanto rispetto per noi. L’Europa dovrebbe essere attenta non solo a rispettare gli altri al suo interno, ma anche a chiedere il rispetto di sé in casa e fuori... ».

Nelle spiegazioni sull’accaduto date dai responsabili della comunità islamica si è detto che la preghiera è avvenuta casualmente in piazza Duomo...

«Non la considero una risposta accettabile. Si potrebbe dubitare della sua sincerità... Innanzi tutto la preghiera è avvenuta dopo una manifestazione con forti contenuti politici, alcuni anche molto gravi, come le bandiere di Israele date alle fiamme... Mi chiedo dunque per che cosa pregassero, che cosa potessero auspicare mentre svolgevano la loro preghiera, i partecipanti a una manifestazione con questi presupposti».

Dal punto di vista politico e istituzionale, quali dovrebbero essere le posizioni da tenere?

«È una questione molto complessa. Bisogna spingere gli islamici a darsi rappresentanze più autorevoli e responsabili. Stupisce che quando succedono episodi gravi la comunità islamica si comporta a volte in modo reticente... Anche nel caso italiano la mia impressione è che vengano avanzate molte più richieste che offerte di collaborazione... Ribadendo di nuovo che la libertà di culto non è minimamente in discussione, l’aumento delle moschee e la loro diffusione ha come corrispettivo minimo sapere chi le gestisce e precise garanzie su come le si gestisce. Non è in gioco la libertà di culto. Sono in gioco l’integrazione e la convivenza. Su questo terreno lo Stato deve ottenere affidamenti ed essere autorevole nel farli rispettare... ».

© Copyright Il Giornale, 9 gennaio 2009

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