martedì 2 dicembre 2008

La via regale della conoscenza

di Antonio Mennini

Consentitemi, in quest'occasione, di accennare brevemente ad alcune linee-guida presenti nel pensiero di Benedetto XVI, che mi sembrano ben esemplificate nel suo recente discorso a Parigi, al Collège des Bernardins, in una continuità culturalmente e pedagogicamente sorprendente con i discorsi di Ratisbona (la ragione come punto di incontro per tutti gli uomini) e all'università La Sapienza di Roma (la fede come compimento della ragione, così che il Papa ha potuto presentarsi come custode della verità, presentando nello stesso tempo la verità non come un discorso astratto o teorico, ma come un'esperienza verificata nei secoli); rispetto a questi due primi passi, su ragione/fede/esperienza, a Parigi l'esperienza della fede è stata poi esemplificata in maniera paradigmatica con la vicenda del monachesimo.
A questo proposito, vorrei anzitutto accennare al fatto che questo insistere sullo spessore concreto della verità come esperienza integrale (non si dimentichi che in russo la verginità, caratteristica del monachesimo, è chiamata appunto "sapienza integrale"), è molto vicino alla sensibilità orientale.
In Vladimir Solov'ëv, ad esempio la conoscenza per fede viene presentata come via regale della conoscenza, dove l'espressione "via regale" richiama esplicitamente la vita monastica e la sua caratteristica principale, che è quella di portare l'uomo ad abbandonare la dissipazione per unirsi a Dio solo, "così che l'uomo che vuole conoscere la realtà in tutte le sue sfaccettature ma senza dissipazioni, vizi, eccessi, fantasie o vani pensieri deve seguire non la via privata, tortuosa e pericolosa delle proprie opinioni, ma quella già tracciata, che porta direttamente al Signore della realtà e che nella sua signoria ritrova tutto".
A partire dalla formula Quaerere Deum, sintetica dell'esperienza monastica sia in Occidente, come l'ha descritta il Papa al Collège des Bernardins, sia nell'Oriente cristiano, Benedetto XVI riprende sovente il tema della creazione artistica e della bellezza in termini di rapporto tra "fatto cieco" e "fatto che, esso stesso, è Lògos" ("La novità dell'annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, bensì un fatto che, esso stesso, è Lògos - presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est [Giovanni, 1, 14]: proprio così nel fatto ora c'è il Lògos, il Lògos presente in mezzo a noi. Il fatto è ragionevole"). Direi che quest'ultimo aspetto è oggi di fondamentale importanza, se si pensa all'insensatezza e alla disperazione dominanti nella cultura postmoderna che, in un'epoca di globalizzazione qual è la nostra, caratterizza sia l'Europa e l'Occidente sia, ormai, in larga parte anche la Russia. Alla luce di questo si comprende bene perché Benedetto XVI abbia voluto dedicare le sue due prime encicliche all'Amore di Dio e alla Speranza, rimettendo l'uomo davanti alla domanda che Cristo rivolse ai primi due discepoli: "Che cosa cercate?" (Giovanni, 1, 38) - una domanda che traduce l'immensità del desiderio umano.
La speranza che Benedetto XVI propone ai suoi ascoltatori, e oggi ai suoi lettori, la speranza cristiana, non è altro che la speranza del desiderio umano preso sul serio nella sua radice profonda, nel suo potente dinamismo che urge l'infinito. L'appello di Benedetto XVI ad "allargare la ragione", ad "allargare il desiderio", costituisce una sfida a verificare se la proposta del Cristo, vivo e presente nella sua Chiesa, risponde alla sete eterna dell'uomo - per dirla come Cesare Pavese "ciò che l'uomo cerca nei piaceri è un infinito e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire questa infinità".
Ed è solo la nostra libertà, la libertà della singola persona, misurandosi in un dialogo serrato e franco con la persona di Cristo, che può trovare la risposta vera. Da cui dipende la nostra felicità. E forse il futuro stesso del mondo.

(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2008)

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