giovedì 4 dicembre 2008

La Rosa Bianca, emblema di una lotta contro tutte le forme di totalitarismo

giovedì 4 dicembre 2008


L’enigma del Novecento, sul quale gli storici ancora oggi si interrogano, non sta solo nel comprendere come mai siano sorti sistemi di pensiero che predicavano la soppressione di intere popolazioni o classi sociali per la realizzazione di un programma politico. Quello che soprattutto sconcerta è come questi abbiano potuto conquistare l’approvazione e l’entusiastico consenso di milioni di cittadini, che intravidero una grande speranza in regimi che oggi sappiamo essere stati portatori solo di lutti e distruzione.

Negli anni tra le due guerre, la democrazia e il rispetto della dignità dell’uomo godettero di ben poca fortuna. Regimi dittatoriali o totalitari di opposto colore si affermarono in quasi tutti i paesi europei. La crisi del ’29 fece pensare a molti che il capitalismo e la liberaldemocrazia fossero condannati dalla storia. Solo la Francia e l’Inghilterra rimasero ancorate ai principi liberali, ma la rapida sconfitta della prima ad opera della Germania e il vasto consenso di cui godette il regime di Vichy mostrarono come anche nel paese della rivoluzione francese certi principi fossero assai indeboliti.

Ci sarebbe voluta una guerra mondiale e l’Olocausto per risvegliare bruscamente la coscienza europea. E risvegliarla solo in parte, perché il giudizio sul comunismo sovietico rimase per lungo tempo piegato alle esigenze della politica. Nel dopoguerra i movimenti di resistenza, sviluppatisi in alcuni paesi solo molto tardi nel corso della guerra, sarebbero diventati il mito fondativo su cui costruire una nuova identità democratica: la vasta adesione al fascismo e al nazismo furono in gran parte rimossi.

Il caso della Germania è in questo contesto particolare, come suggerisce la pubblicazione di una nuova ricostruzione delle vicende della “Rosa Bianca” pubblicata da Lindau (Annette Dumbach e Jud Newborn, Storia di Sophie Scholl e della Rosa Bianca, Lindau, 309 pagine, 22 euro). Nelle sue linee generali, la vicenda è nota. Noto è il tentativo di questo gruppo di studenti universitari di Monaco di dare vita a una forma di ribellione al governo tramite la diffusione di volantini e altri strumenti propagandistici nei quali si denunciavano la politica di Hilter e lo sterminio degli ebrei. Così come è nota la tragica fine a cui andarono incontro. Scoperti e processati dal Tribunale del popolo, furono tutti condannati alla pena capitale, che fu subito eseguita.

Ma quel che colpisce leggendo questa più recente pubblicazione è la constatazione di quanto il generoso e coraggioso moto di ribellione antinazista di questo sparuto gruppetto fosse isolato all’interno di un paese che non osava ribellarsi al nazismo anche quando questo lo portava verso il baratro. Un volantino o una scritta su un muro, furono così percepiti come gesti di rottura rivoluzionari, in un clima segnato dalla passività e dalla rassegnazione nel quale gran parte del paese era immerso.

Come ha raccontato in un bel libro di qualche anno fa lo storico Joachim Fest, tutta la storia della resistenza tedesca è infatti la storia di tentativi generosi quando disperati, compiuti da singoli o da piccoli gruppi senza alcuna reale possibilità di successo. Spesso circondati dall’incomprensione e dall’ostilità di parenti e vicini. In questo senso l’isolamento e la tragedia della “Rosa Bianca” sono lo specchio della tragedia di un intero paese.

Varie circostanze contribuirono a questa situazione, tra queste un forte nazionalismo che prescindeva dai connotati politici del governo e un senso dell’onore che additava il tradimento come il peggiore dei crimini. Da un certo momento in poi anche la constatazione che era comunque troppo tardi per tornare indietro.

L’Europa ha oggi in gran parte dimenticato tutto questo e per motivi in parte comprensibili la Germania è il paese che ha scelto assai più degli altri la via dell’oblio del proprio passato per tentare di guardare al futuro. In questo contesto, la ribellione degli studenti della “Rosa Bianca” assume ancor più valore, come testimonianza di una possibilità di riscatto del cuore dell’uomo che nessun potere può fino in fondo sopprimere.

Redazione
Il Sussidiario.net

Trascrizione della presentazione della mostra "La Rosa Bianca.Volti di un'amicizia."
Organizzata dal meeting di Rimini nel 2005
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LA ROSA BIANCA. VOLTI DI UN’AMICIZIA

Mercoledì, 24 agosto 2005, ore 19.00

Relatore:
Anneliese Knoop-Graf, sorella di Willi Graf

Moderatore:
Romano Christen, Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo.


Moderatore: Benvenuti alla presentazione della mostra “La Rosa Bianca. Volti di un’amicizia”. Uno dei membri della “Rosa bianca”, per presentare questo gruppo di suoi amici a sua sorella, ha scritto in una lettera: “Avresti una grande gioia a vedere questi volti”. Sono commosso al pensiero che questi volti, dai quali Hans Sholl era così colpito, questi bei volti dopo più di sessant’anni colpiscono anche voi come hanno colpito quelli che hanno curato la mostra. E’ sicuramente una cosa inimmaginabile per Hans Sholl.
Come sapete dal programma, doveva essere presente anche monsignor Rilko, che è il Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici. Siamo stati molto gratificati dal fatto che lui volesse venire a questo incontro. Ma la vita poi è sposso diversa da come uno la progetta. Monsignor Rilko è stato il responsabile ultimo della GMG a Colonia, questo grandissimo evento che si è concluso domenica ed è stato trattenuto per questo. Inoltre si è aggiunto un ulteriore impegno: Benedetto XVI ha voluto che Stanislao Dziwisz, il fedele segretario di Giovanni Paolo II, diventasse successore del cardinale Macharski a Cracovia. Prenderà possesso della diocesi di Cracovia sabato e Rilko, da amico, sarà lì.
Invece siamo lietissima che Anneliese Knoop-Graf sia qui tra di noi.
Penso che si possa dire che sia una delle persone più anziane qui presenti. Ha fatto un lungo cammino dalla Germania passando dalla Svizzera per essere oggi qui con noi. La ringrazio molto, perché è qui fresca come una rosa e già freme di potervi comunicare quello che vi dirà.
Lei è la sorella di Willi Graf, uno dei sei membri della “Rosa Bianca” che sono stati condannati a morte per aver distribuito i volantini all’università di Monaco e averli spediti per tutta la Germania. Ha abitato con lui per alcuni mesi a Monaco, il fratello l’ ha voluta con sé. Lei ha ricevuto l’incarico da sua fratello, poco prima che fosse decapitato, di mantenere viva la memoria di lui, Willi e anche degli altri amici della “Rosa Bianca”.
Per me la cosa bella è che dopo sessant’anni, anche nel rapporto di amicizia che lega i curatori della mostra con lei, si prosegue una storia. Non è solo un parlare di qualcosa, ma è un rapporto che prosegue. Prima di dare la parola alla signorina Anneliese Knoop-Graf, permettetemi di dire io due parole.
I tedeschi e tutti quelli che hanno preparato e curato la mostra sono molto fieri di averla portata qui al Meeting. La mostra è molto centrata col tema di quest’anno, che è quello della libertà. A sessant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale che forse è stato il momento più tragico del XX secolo, una delle ore più buie, dopo sessant’anni è proprio dalla Germania che viene un contributo che riprende quei tempi senza riprenderne il buio, senza riprenderne la morte che c’era, proponendo volti luminosi, volti fioriti dentro quelle tragiche circostanze, la positività che ha colpito chi ha fatto la mostra e che chi l’ ha fatta vuole proporre a voi tutti.
“Rosa Bianca” è un gruppo di resistenza ma non è nato “contro” qualcuno: è nato da un gruppo di persone che erano per la vita, che erano per la libertà. Sono nomi di persone che si sono incontrate a volte casualmente e tra le quali è nato un rapporto in cui si è messo in gioco ciò che è la vita. Sono quindi i rapporti tra Christoph Probst, Alexander Schmorell, Willi Graf, Hans Sholl e la sorella Sophie Sholl, il professor Huber e altri. L’amicizia ha avuto fin dall’inizio un’appassionante carica umana. Chi ha già visto la mostra lo può testimoniare, un’ abbraccio della vita in tutti i suoi aspetti. Le testimonianze che ci sono giunte, di lettere, di persone che li hanno conosciuti, testimoniano questa passione per il bello, per l’arte, il gusto di andare a sciare insieme d’inverno, di fare scalate d’estate sulle montagne bavaresi, di andare a concerti e di riprendere insieme le cose ascoltate, di leggere i libri assieme, parlarne, discuterne e porsi domande esistenziali che altri a quei tempi non osavano porsi e anche di esprimere una passione per il popolo tedesco, per la sua storia, per la sua tradizione. Avevano molto a cuore proprio il popolo tedesco, pur dentro quelle circostanze drammatiche e tragiche, che per primi loro stessi condannavano e rifiutavano. Erano dunque per la vita e per la libertà. A un certo punto hanno capito che non si può essere solamente per la vita, per la libertà, per l’arte, a parole o come un’esperienza estetica, ma che bisognava veramente mettersi in gioco. Loro si sono messi in gioco, hanno cominciato a giudicare la situazione in cui vivevano, la situazione politica, a mettere a fuoco qual è veramente la chiave di volta di questa ideologia e dove e perché essa è disumana e poi anche di decidere di esprimere questo giudizio pubblicamente, ma di nascosto per salvare la vita, inviando lettere in varie città della Germania e anche distribuendo volantini in università. Hanno rischiato un giudizio. In quel tempo in cui molti forse vedevano o intuivano che era disumano il modo in cui vivevano e non avevano il coraggio di esprimersi, loro l’ hanno fatto. E così sono nati questi volantini. Ne distribuiscono cinque, di nascosto, e alla distribuzione del sesto volantino, il 18 febbraio del ’43, Sophie e Hans Sholl vengono scoperti all’Università di Monaco. Un bidello li vede e va a fare la spia. Li ha visti ed ha detto “Andate a catturarli”. Ha messo in gioco la sua libertà. Vengono catturati e condannati a morte il 22 febbraio assieme a Christoph Probst, un ragazzo di ventitre anni, già papà di tre bambini, dei quali la figlia più giovane ha un mese (Christoph Probst verrà battezzato proprio prima di essere decapitato). Più tardi verranno giustiziati anche Willi Graf, il fratello della signora Knoop-Graf, Alexander Schmorell e poi tutti gli altri. Sui muri dell’università, alcuni di questi ragazzi hanno scritto a grandi lettere di notte, di nascosto, “Freiheit”. Sul retro del capo d’accusa di Sophie Sholl, la sorella giovanissima di Hans Sholl, ventun’anni, c’era scritto più di una volta e in diversi caratteri, la parola “Freiheit”. Hans Sholl, prima di essere ghigliottinato, grida ad alta voce “è viva la libertà!”. “Freiheit”, libertà. Questo è ciò che aveva colpito chi ha fatto la mostra. Il progetto è nato del tutto casualmente. Abbiamo proposto come “libro del mese”, come si usa in CL, una raccolta di lettere e testimonianze di membri della “Rosa Bianca”, proprio per valorizzare un pezzo di storia nostra. Questa ha colpito molto chi l’ ha letta e alcuni si sono messi in gioco dicendo: ma questa cosa va approfondita, è troppo bella, colpisce troppo, è affascinante, diamogli spazio. Così hanno fatto delle ricerche, hanno cercato chi ancora è sopravvissuto, come la signora Knoop-Graf, che ancora poteva raccontare qualcosa di questi eventi. Hanno letto i testi, le lettere, le testimonianze. Ispirati dal Meeting, questi amici tedeschi si sono detti “ma perché non fare anche noi una mostra?”. Sembrava un’impresa un po’ grande, perché tutti abbiamo tantissimi impegni. Però la passione e il desiderio di comunicare questi volti e queste esperienze ha mosso le persone a mettersi assieme e a ideare questa mostra, che adesso, dopo essere stata presentata a Friburgo e a Monaco, il posto in cui Hans e Sophie Sholl sono stati catturati e dopo essere stata presentata alla Giornata Mondiale dei Giovani, la settimana scorsa a Colonia, oggi è qui.
Vorrei dare la parola alla signora Knoop-Graf, che dopo questa mia piccola introduzione può veramente renderci partecipi dello spirito di questi amici che si sono dati il nome di “Rosa Bianca” e che hanno vissuto in quelle circostanze così tremende, offrendo una testimonianza di vita, d’amicizia, di libertà.

Anneliese Knoop-Graf: Carissimi, questa mostra è stata organizzata per ricordare i membri del gruppo “Rosa Bianca”. E’ dedicata a loro, che si sono opposti al sistema terroristico del nazional-socialismo in Germania e che per questo stesso regime sono dovuti morire. La loro resistenza oggi significa quindi eredità, memoria ed impegno.
Questa eredità ci impegna ovviamente ad un costante ricordo, perché va detto che dimenticare comporta sventura e disgrazia, mentre ricordo e memoria significano redenzione. Significa che oggi noi dobbiamo comprendere e capire bene il nostro presente, soprattutto se il passato continua a vivere nel nostro presente, se pur con dolore, con sofferenza e con vergogna.
Il motto di questa mostra rappresenta il contenuto dell’esposizione stessa e deve servire al visitatore proprio da guida. Il 12 gennaio 1942 Hans Sholl scrive a un suo amico, a proposito della cerchia che lui aveva fondato: “se tu potessi vedere la gioia su questi volti, se tu riuscissi a vedere tutta l’energia, tutta la forza che viene utilizzata e che ritorna tutta intera all’interno della propria anima!”
Come sorella di Willi Graf, sono una delle poche sopravvissute ad aver conosciuto di persona questa cerchia di persone ed io cerco ovviamente di dare il mio contributo nonostante la notevole distanza temporale.
Per me non è facile colmare questa distanza, fare questo passo indietro nel tempo, perché il tempo con la sua energia che cambia e modifica gli eventi riguarda anche me, quindi non è escluso che la memoria degli eventi d’allora faccia qualche scherzo e li modifichi in qualche modo.
Ci ricordiamo bene che la “Rosa Bianca” era una cerchia libera, di persone che condividevano gli stessi ideali, però senza una struttura organizzativa chiara e senza una adesione ben strutturata e anche senza delle istruzioni ben programmatiche, fisse. Un gruppo di amici, se vogliamo, la cui dinamica aveva portato anche contatti con l’esterno.
Dopo tutto queste giovani persone erano isolate all’interno del proprio popolo, con poca esperienza nel campo di agitazione politiche ma sapevano molto di libri e di studi. Sicuramente non conoscevano le strategie della cospirazione. Cosa avrebbero mai potuto fare questi giovani se non una ribellione umana contro la disumanità?
Nel semestre invernale dell’anno 1942-1943 accolsi volentieri l’invito di mio fratello di trasferirmi da lui a Monaco per studiare e abitare con lui.
Il 12 novembre 1943 scrive così nel suo diario: “Annelise vuole finalmente venire da me a Monaco e questo apre nuove prospettive. Sarà importante, tra l’altro, che Annelise riesca ad incontrare nuove presone. Anche di questo sono emozionato. Vediamo che cosa ne uscirà.”
Quindi mi introdusse nella cerchia di amici della “Rosa Bianca” e questo in un momento in cui questo gruppo aveva già iniziato le azioni di volantinaggio. Nessuna delle persone del gruppo era un temerario, non erano persone che si buttavano, tanto meno dei fanatici, degli esaltati o dei sognatori. L’aspirazione al martirio era lungi da loro, non ci pensavano affatto, anche l’eroismo non interessava a loro. E non erano nemmeno degli entusiasti che avessero perso il contatto con la realtà. Erano invece persone molto dotate, persone molto aperte al mondo, che amavano la vita e che riuscivano a portare avanti delle discussioni anche critiche all’interno del loro ambiente e soprattutto fra loro stessi.
Questo vale allo stesso modo per la cerchia del “Grauen Orden”, quella dell’ “Ordine grigio”, di cui mio fratello aveva fatto parte negli anni Trenta. All’epoca, gli incontri di questo gruppo erano stati per Willi e i suoi amici l’unica sorta di energia, di forza dall’esterno che aveva agito sulla loro personalità. Decisiva era stata poi la necessità, da tutti fortemente sentita, di realizzarsi e di farsi valere come individui, anziché farsi assorbire dalla massa ed è chiaro che, all’epoca, concretamente, la “massa” significava l’onnipresente gioventù hitleriana.
Quando all’interno della “Compagnia studentesca” universitaria di Monaco, Willi Graf prese contatto con Hans Sholl, subito i due si sono capiti benissimo, si sono intesi alla perfezione. Quando Hans Sholl lo conobbe ancor meglio, comprese subito che Willi era uno di loro. Questo scrisse Inge Sholl successivamente.
Quanto importanti, quanto liberanti debbono essere stati questi incontri, queste discussioni dopo mesi durante i quali Willi non aveva potuto parlare a nessuno all’interno di questa cerchia. Questo è dimostrato dagli appunti del diario e dalle lettere che risalgono all’epoca. Lì si era esaudito uno dei desideri di Willi, perché in una lettera del giugno del 1941, che lui mi aveva scritto, diceva: “questo è veramente l’essenziale, che può dare a tutte le nostre azioni senso e valore, perché queste della cerchia sono persone con le quali si può convivere bene, perché condividiamo un ideale e una visione”.
Se si dà un’occhiata a tutte le lettere che sono rimaste, ai disegni all’interno dei diari e si va ad approfondire questa documentazione della cerchia, si ha subito l’impressione che questi giovani abbiano trascorso la prima parte della loro vita dedicandola alla formazione, all’istruzione, alla gioia e all’amicizia.

Anche i loro percorsi di vita, come si può vedere dalla mostra stessa, erano stati molto simili, nel senso che tutti provenivano da famiglie borghesi, da nuclei familiari molto religiosi e, fin dalla loro infanzia, erano persone abituate a pensare, a provare delle emozioni, erano persone compassionevoli, quindi abituate a riconoscersi e considerarsi in questo modo.
Oltre a ciò erano tutti accomunati da una preparazione molto simile e condividevano più o meno gli stessi interessi. Tutti i documenti, tutti i reperti testimoniano di una grande cultura e di una sensibilità artistica ben superiore alla media.
Nella loro essenza invece erano diversi: coinvolgenti, timidi, coraggiosi, audaci, avveduti o pieni di fantasia che rimuginavano tra di sé. Ognuno aveva questi ingredienti a suo modo. Inoltre condividevano l’amore per la musica, per la poesia e per la lingua. Erano tutti anche molto interessati alla storia, alla teologia e alla filosofia. Comunque si distanziavano dal fatto di riconoscere il “padre-Stato” come maestro e avevano un rapporto critico con la Madre Chiesa. Erano elitisti, mai arroganti. Decisi e risoluti e sicuri di sé, ma al contempo anche umili. Fin da subito quindi non sono stati sorpresi dalle conseguenze che avrebbe avuto ciò che loro stavano per fare.
Va detto quindi che l’immagine che viene data da molte pubblicazioni, come un gruppo assolutamente omogeneo, non corrisponde a realtà. Voglio sottolineare con gratitudine e riconoscenza che in questa mostra ogni singola personalità viene caratterizzata con le sue particolarità e non avviene in questo modo una generalizzazione, una omologazione che non corrisponde al vero. A prescindere quindi da un accordo, da un’armonia sulle questioni fondamentali, soprattutto nel rifiuto senza compromessi nei confronti del regime, è chiaro che all’interno di questa cerchia c’erano delle nature umane assolutamente autonome, indipendenti. Individuale era quindi anche il loro modo di vivere, il loro approccio spirituale, le loro premesse famigliari. Individuale era il profilo umano che ha portato ognuno a strade diverse, a sistemi di valore, a pensieri diversi, come pure l’orientamento politico e il loro percorso verso la fede.
Durante le frequenti ed approfondite discussioni portate avanti insieme, si giunse alla decisione di non stare più a guardare senza fare niente, di non essere contrari solo in teoria, bensì di trarne le conseguenze e di fare qualcosa di concreto.
I loro colloqui si incentrarono sempre di più sulla questione di quale fosse la forma più efficace della resistenza e sempre di più prese piede il piano che prevedeva di creare una serie di resistenze locali: persone che condividevano quell’ideale, che andavano a lavorare per questo obiettivo nelle varie città e nelle varie università, le quali andavano ovviamente formate e fatte partecipare a questa azione.
Aldilà degli impulsi diversi, individuali, si delineano dei motivi trasversali che strutturavano la loro azione comune. Fin dall’inizio era chiaro a tutti che la guerra non sarebbe stata vinta ed era anzi già perduta. Quali sforzi spirituali ed etici sarà costato a queste persone, provenienti da famiglie che pensavano ancora in termini nazionali, per amore della patria, dover portare avanti la sconfitta della Germania!
A tutti era comune una profonda convinzione cristiana, che per loro era consolazione indispensabile per l’azione, ma non per un’attesa inoperosa. Questo atteggiamento risoluto non va separato dalla decisione dell’opposizione politica. La fede cristiana era per loro una sfida, ma al contempo un aiuto e una promessa nel senso più alto della parola.
Fra il novembre del 1942 e il febbraio 1943 ho partecipato assieme a mio fratello ad alcune delle riunioni e delle letture della “Rosa Bianca”. Durante questi incontri avevo notato il rigore morale ma anche l’inconsueta vivacità intellettuale e la tensione con la quale Hans Sholl particolarmente discuteva e argomentava. In virtù della sua posizione e della sua forza di convincimento, svolgeva il ruolo principale e coinvolgente in questo gruppo. Era colui che pianificava, mentre noi altri, anche Sophie e mio fratello, piuttosto assennato, piuttosto timido, rimanevamo un po’ più sullo sfondo, come ascoltatori silenziosi o partner riflessivi.
Andavamo insieme a concerti, andavamo fuori a mangiare insieme, ci incontravamo per delle discussioni o per un tè che Sophie preparava con un samovar. Seguivamo insieme le lezioni del professor Huber, ci incontravamo anche per delle serate di lettura nell’ atelier “Eickmeier”. Non sempre discutevamo solo e unicamente di cose serie.
I temi dei quali ci occupavamo erano in genere di natura letteraria, temi che mio fratello ha descritto in modo appropriato nel suo diario con le seguenti parole: “Parliamo di libri e persone”. La lettura era un aiuto, direi un aiuto alla sopravvivenza.
In mia presenza, in questa cerchia, non si parlava mai del “piano” o della “costruzione”. Nel suo diario mio fratello usava questi due termini, nomi in codice, come perifrasi per descrivere le attività di resistenza. Ma io capivo sempre più chiaramente che questa cerchia viveva una vita scissa, separata, divisa tra il terrorismo di stato e l’ebbrezza collettiva da un lato e la vita politicamente vigile, permanentemente in pericolo all’interno di questa cerchia d’amici.
Quando poi il 18 febbraio 1943 vennero distribuiti i volantini presso l’università di Monaco, mi ricordai dei discorsi e anche delle considerazioni espresse in modo non velato, relative alla necessità di una protesta chiara e visibile contro il regime. Sebbene non sapessi nulla di concreto, intuì chi fosse l’autore di questi volantini.
Dopo che avevano catturato Hans e Sophie, anche Willi ed io fummo arrestati nell’appartamento in cui vivevamo insieme. Accompagnati da due funzionari della Gestapo, in fondo a un’auto della polizia, ci tenevamo per mano silenziosi.
Poco prima della sua morte, Willi ha dettato al parroco del carcere delle parole rivolte a me. Letteralmente diceva: “Tu sei destinata a tener viva la mia memoria e la mia volontà. Dì a tutti i miei amici che questo è il mio ultimo saluto, anche loro devono portare avanti ciò che abbiamo iniziato”.
Questo sentimento, già negli anni Trenta, aveva una rilevanza politica. La parola leale dell’amico si contrapponeva alla menzogna pubblica generale. La reciproca fiducia si contrapponeva alla sfiducia generalizzata. La libera decisione di operare l’uno per l’altro come valore si contrapponeva al cameratismo che veniva imposto dall’alto.
All’inizio questi amici non miravano a un’opposizione aperta contro il regime, ma in virtù della loro indole erano degli oppositori e si differenziavano dalla generale omologazione dell’apparato di Stato. Decisiva fu la domanda “Cosa dobbiamo fare?”. Ebbe inizio così un’evoluzione, un percorso da uomini prima apolitici, attraverso uomini inconsciamente politici, fino alla fine diventare persone che agivano coscientemente in termini politici.
Bene, ora ci chiediamo: cosa ci attira tanto oggi quando ci occupiamo della Resistenza? Non è forse anche l’integrità di queste persone che agivano e che in quella fusione tra volere e agire davano espressione alla verità?
Va detto che il coraggio della Resistenza non è innato. La Resistenza si sviluppa praticandola. Questo è un processo in cui emergono più chiaramente le peculiarità degli individui, molto più chiaramente che non in situazioni normali.
Ma i posteri possono capire cosa significava in quel periodo dire di no, tra tutta quella moltitudine di gente che diceva solo sì?
Chi vive in una democrazia, come noi oggi, in cui tutte le opinioni sono consentite, ha difficoltà a capire cosa significava opporsi allo strapotere di un apparato dominante. Un apparato tanto dominante, tanto potente, tanto prepotente da indurre molti a tacere per apatia o in base ad una presunta ragione oppure a causa di quella forma di ragionevolezza rassegnata che offre sempre i migliori argomenti per il non agire, il non parlare, il non reagire.
Eppure la storia della “Rosa Bianca” non è un epos eroico. Allo stesso modo questa mostra non va vista semplicemente all’interno di una tutela dei monumenti. Non dobbiamo avere l’impressione che si tratti di modelli irraggiungibili. Questo sarebbe un cliché, tenendo conto dell’atteggiamento interiore di queste persone. Loro stesse non avrebbero gradito il pathos dell’ammirazione, non avrebbero gradito essere considerate alla stregua di eroi.
Con tutte le loro imperfezioni indiscutibili, con tutte le loro valutazioni errate, con tute le loro omissioni o l’impulsività impaziente, addirittura anche con il loro fallimento, questi esponenti della Resistenza assumono un profilo a-temporale. Proprio in virtù di ciò che abbiamo detto, questi amici della “Rosa Bianca” appaiono come persone con tutti i loro pregi e le loro debolezze. Non si irrigidiscono in figure storiche o eroiche. Diventano più vicine a noi, concrete, più umane. Quello che deve rimanere è il ricordo e la memoria viva.
E’ proprio questo che la mostra vuole: essere all’altezza di questo compito, del mantenere viva la memoria e sono i volti di un’amicizia che potrete apprezzare anche voi. Io mi auguro, e auguro anche a voi, che la forza che ne emana rifluisca per intero nel vostro animo. Io vorrei che queste persone vi rimanessero vicine come conoscenti, come parenti, come amici.

Moderatore: Ringrazio la signora Knoop-Graf, che aveva all’inizio un po’ un timore. Prima mi diceva che a lei piace parlare alla gente, ma che se c’è la traduzione tutto è appesantito, perché il dialogo non può essere diretto.
Ci avete testimoniato che invece lei è riuscita a parlare anche a voi e ai vostri cuori e che la lingua non è stato un ostacolo.
Prima di finire aggiungo due cose, la prima è di carattere più tecnico.
Il materiale raccolto da chi ha curato la mostra è molto e per l’edizione italiana i testi dei pannelli sono stati ridotti, per renderli più leggibili e accessibili. Nel catalogo invece sono contenuti tutti i testi raccolti e le testimonianze bellissime della “Rosa Bianca” Il catalogo è uno strumento preziosissimo.
In secondo luogo, sottolineo che se la signora Knoop-Graf ha finito con l’augurio che i membri della “Rosa Bianca” possano rimanere in noi come persone che stimiamo, che conosciamo, anzi come amici. Io posso confermarle la mostra in Germania e alla Giornata Mondiale dei Giovani è stata recepita così. Molte persone sono rimaste molto commosse, perché le testimonianze dei membri della “Rosa Bianca” toccano il cuore. Uno sente che è vero, che dall’esperienza di allora ci separa il tempo non il cuore. Il cuore è lo stesso. La verità è affascinante oggi come allora.
Se leggerete quella citazione terribile di Hitler, in cui spiega come lui voleva che venissero educate le persone, secondo un ideale di uomo in cui ogni bisogno sarebbe stato soddisfatto eccetto quello della libertà, capirete che questo è un modo di guardare l’uomo che c’è ancora oggi, che c’è sempre nelle ideologie. Permettetemi di finire con una citazione di Rovan, che è un lontano parente di Christoph Probst, in un’occasione in cui anche lui raccontava dei membri della “Rosa Bianca”: “La testimonianza di questi ragazzi non deve impedirci di essere lieti né di pensare con gioia a coloro che hanno sacrificato la loro vita. Molti di essi l’hanno fatto, come Chris, i fratelli Sholl, Willi Graf e così via. Hanno dato la vita. Non si va mai incontro alla morte con gioia, ma si può andare incontro alla morte con la percezione di aver compiuto ciò a cui si è chiamati. Posso solo augurare a ognuno di voi, quando la sera penserete alla giornata trascorsa, di avere la percezione di aver fatto ciò a cui siete stati chiamati”.

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