giovedì 8 settembre 2016

Quell'idea confusa di Dio che ci richiama a evangelizzare


Terremoto centro Italia (24 agosto '16)

La terribile prova del terremoto che il nostro popolo ha subìto recentemente mi trova profondamente solidale con tutti coloro che hanno sofferto, soffrono e soffriranno per i prossimi anni. Sono anche ammirato per il grande coraggio, la grande capacità di sopportazione delle persone e per la dedizione dimostrata dalle centinaia e centinaia di volontari che sono immediatamente intervenuti: è una testimonianza che è stata data in maniera corale. Il popolo italiano è veramente un popolo che ha un’ultima ragionevolezza di fondo e una benevolenza che gli impedisce di tradurre tutto in termini di ideologie e di reazione.
Ma proprio per questo occorre esplicitare alcune considerazioni che soprattutto per chi ha come me una responsabilità di educazione della comunità ecclesiale si impongono.
È evidente che c’è una differenza tra due parti del nostro popolo: ci sono coloro che – più avanti negli anni - conservano la consapevolezza di una tradizione cristiana che li fa stare nelle tragedie e fronteggiarle con un ultimo e fiducioso abbandono alla presenza di Dio, che è padre, che non mente e non compie ingiustizie. Ma è anche vero che una parte più consistente del popolo, vive la quotidianità senza riferimento alla presenza di Dio, che viene tirato fuori in questi momenti come il presunto o reale colpevole di tutto quello che accade.
Così si finisce per accettare che Dio sia messo in un tribunale, diventi un imputato di colpe che innanzitutto dimostrano una assoluta inconsapevolezza e una assoluta confusione nel concetto di Dio. Molti hanno gravissime responsabilità in questo senso. Dio è diventato un termine che viene diffuso senza una sufficiente consapevolezza della sua identità, della sua realtà e delle differenze che esistono tra le varie confessioni e professioni di fede in Dio.
Diversi vescovi e sacerdoti sono dovuti scendere in campo per difendere Dio dall’accusa di essere stato il responsabile del terremoto, ma tutto questo dimostra che è molto diffusa nel mondo una concezione di Dio che almeno a me cristiano, cattolico e vescovo risulta lontanissima dal Dio che io proclamo, padre del Nostro Signore Gesù Cristo, padre della misericordia. E secondo tale inaccettabile concezione Dio può essere chiamato a divenire responsabile di vicende nelle quali si gioca l’autonomia della realtà naturale, i suoi ritmi, le sue leggi; si giocano le difficoltà delle condizioni di vita di molti ambienti ma soprattutto si gioca la irresponsabilità di alcune realtà umane storiche e sociali, come comincia a risultare evidente per quel che riguarda la gestione irresponsabile e incosciente delle opere di ristrutturazione programmate quando era necessario programmarle.
Questo Dio che è lontano viene chiamato in causa secondo una impostazione irragionevole, prima che non cattolica. Si sono usate espressioni come “il silenzio di Dio”, che non hanno alcun contenuto di carattere ideale e pratico. 
Mi ha molto colpito questa confusione sul termine Dio; questo relativismo, come avrebbe detto Benedetto XVI. Questo Dio di cui ciascuno ha il suo. Colpisce un aspetto particolare della grande vicenda della presenza di Dio nel mondo e nella storia. Perché Dio, in Cristo, è una presenza nel mondo e nella storia, abita corporalmente fra di noi, come dicevano i padri della Chiesa. È presente come un evento guardando il quale, seguendo il quale, non mutano le circostanze della vita - nel senso che vengono forzosamente eliminati i condizionamenti e le contraddizioni - ma l’uomo che crede in Gesù Cristo è in grado di stare di fronte alla vita con un’ultima consistenza che gli impedisce la disperazione.
Il nostro popolo – sia cattolico che non – ha bisogno di un’opera generosa di evangelizzazione e di rievangelizzazione. In questo contesto, dove le vicende sembrano dilagare nella vita dell’uomo e spingerlo ad atteggiamenti inconsulti e reattivi, è necessario che la Chiesa proclami con forza e con chiarezza la novità della presenza di Dio in Gesù Cristo come grande evento che rende buona la vita e che fa vivere nella buona e nella cattiva sorte un legame che nessuna circostanza materiale storica e nessuna colpa morale potrà mai distruggere. Il dolore è stato forte e il dolore è forte, ma il dolore cristiano non è disperato.
Credo che questa opera di evangelizzazione debba indicare anche i tempi e i modi di una educazione cristiana del popolo. E consenta al popolo di non essere travolto dalle vicende, ma di vivere nelle vicende quotidiane della storia - personale sociale e storica – con un’ultima certezza, che non deriva dalla ragione, dalla scienza o dalla politica; con una pace che deriva dalla presenza di Cristo.
Noi uomini di Chiesa, guardando a questo momento e vivendo con forza la condivisione di queste fatiche e dolori come esemplarmente hanno fatto i vescovi delle zone terremotate, dobbiamo sentirci richiamati a rinnovare la nostra opera educativa, davanti a una cosa terribile che sconvolge la vita della persona e della società.
Il terremoto distrugge la quotidianità della vita e crea una situazione di artificiosa riduzione della libertà degli uomini e dei gruppi perché non possono più impostare l’esistenza secondo quella libertà che costituisce l’elemento fondamentale della vita sociale. Il terremoto è grave non per il momento in cui si produce, ma per quella situazione di precarietà, di incertezza, di insicurezza, di limitazione della libertà umana personale e sociale che è la vera tragedia. 
Credo che questa sia la cosa che dobbiamo capire: la Chiesa non può sottrarsi al compito di evangelizzazione e di educazione, altrimenti Dio sarà sempre più assente dalla vita quotidiana, diventerà sempre più un concetto su cui si dibatte in modo artificioso e forzoso, nei mezzi di comunicazione sociale. E su questo Dio di cui si discute o su cui si discute, non scalda il cuore. Mentre in Cristo Dio è venuto per scaldare il cuore dell’uomo, di ogni uomo, in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza. 
Insomma noi siamo sfidati sulla evangelizzazione e sulla educazione di un popolo cristiano capace poi di interloquire efficacemente con tutti i nostri fratelli che vivono con noi nelle varie situazioni della vita, e dare perciò il nostro contributo originale e significativo a una società in cui le differenze di cultura, di identità, di professione, di fede, devono esprimere la ricchezza della vita umana. E non omologare forzosamente il popolo dentro una concezione materialista, edonista, tecno-scientifica che vive tutti i giorni senza Dio e lo chiama improvvisamente in causa in cose in cui Egli non c’entra assolutamente.
Mons.Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

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