martedì 30 agosto 2016

Terremoto. Mons. Pompili: “Dio non è il capro espiatorio”


Ad Amatrice, il vescovo di Rieti celebra i funerali di 29 vittime. E proclama: “Non ti abbandoneremo, uomo dell’Appennino”

Un funerale voluto dal popolo dopo tante polemiche. Per desiderio dei residenti e del sindaco, le esequie di una parte delle vittime del terremoto nell’Appennino centrale sono stati celebrati ad Amatrice e non a Rieti, come precedentemente stabilito dalla prefettura.
Sotto una pioggia che ha reso ancor più malinconico lo scenario, intorno alle sei di sera, presso la tensostruttura adibita per l’occasione, sono giunte le bare di 29 vittime. Solo una piccola parte, dunque, delle 291 totali.
Accanto all’altare, la statua di una Madonna rimasta indenne dalle scosse sismiche e posta in cima ad un mucchio di macerie: il simbolo della misericordia di Dio, più forte della stessa morte umana, anche la più crudele ed improvvisa.
Mentre il primo dei funerali, celebrato ad Ascoli sabato scorso, aveva coinvolto le vittime della provincia marchigiana, oggi è stata la volta della provincia più colpita, quella reatina. Molte delle famiglie hanno però preferito optare per le esequie private o di celebrarle nei paesi di origine.
A concelebrare con monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti, monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, i vescovi emeriti della diocesi sabina, e monsignor Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, giunto in rappresentanza di papa Francesco.
Presente alla cerimonia funebre anche un vescovo ortodosso, in ragione della presenza tra le vittime di immigrati moldavi e rumeni. Qua e là, dispersi tra la folla, i volti delle massime cariche dello Stato: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il presidente della Camera, Laura Boldrini, il presidente del Senato, Pietro Grasso.
Il grido di dolore di una donna irrompe allorché monsignor Pompili pronuncia il nome di sua figlia tredicenne, una dei minorenni deceduti nel sisma, assieme a due fratellini di tre anni e tre mesi, di cui spiccano le due piccole bare bianche. Tutti e 291 i morti di Amatrice e dintorni sono stati ricordati in ordine alfabetico dal vescovo, compresi quanti hanno già ricevuto le esequie e chi ancora le deve ricevere.
Al momento dell’omelia, monsignor Pompili ha menzionato la prima lettura, tratta dal libro delle Lamentazioni, che descrivendo la distruzione di Gerusalemme, che sembra quasi evocare “la devastazione di Amatrice e di Accumoli. Sembra di risentire i sopravvissuti: un rumore assordante, pietre che precipitano come pioggia, una marea asfissiante di polvere. Poi le urla. Quindi il buio”.
Pompili ha poi raccomandato non cercare in Dio un “capro espiatorio” ma, al contrario, di “guardare in quell’unica direzione come possibile salvezza”. Non è infatti il terremoto che uccide, ha detto il presule, ma “uccidono le opere dell’uomo”.
“I paesaggi che vediamo e che ci stupiscono per la loro bellezza sono dovuti alla sequenza dei terremoti”. Senza i terremoti del passato, ha aggiunto, non sarebbe possibile ammirare l’ecosistema appenninico attuale, né vi sarebbero gli uomini che attualmente lo abitano, né altre forme di vita.
L’invito è quindi quello ad ascoltare Gesù che dice: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”. Parole che sono “un balsamo sulle ferite fisiche, psicologiche e spirituali di tantissimi”, sebbene “non basteranno giorni, ci vorranno anni”.
La mitezza che Gesù stesso evoca è “una ‘forza’ distante sia dalla muscolare ingenuità di chi promette tutto all’istante, sia dall’inerzia rassegnata di chi già si volge altrove. La mitezza dice, invece, di un coinvolgimento tenero e tenace, di un abbraccio forte e discreto, di un impegno a breve, medio e lungo periodo”.
Lontana dalla “querelle politica” o dallo “sciacallaggio di varia natura”, la popolazione locale è chiamata a “far rivivere una bellezza di cui siamo custodi. Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta. Abitiamo una terra verde, terra di pastori. Dobbiamo inventarci una forma nuova di presenza che salvaguardi la forza amorevole e tenace del pastore”.
In conclusione il vescovo ha pronunciato in messaggio in forma poetica: “Di Geremia, il profeta, rimbomba la voce: ‘Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più’. Non ti abbandoneremo uomo dell’Appennino: l’ombra della tua casa tornerà a giocare sulla natia terra. Dell’alba ancor ti stupirai”.
A fine celebrazione hanno preso la parola i sindaci di Accumoli, Stefano Petrucci, e di Amatrice, Sergio Pirozzi, che hanno rincuorato i loro concittadini, incoraggiandoli a diventare parte attiva nella ricostruzione. “Dopo la morte c’è la resurrezione – ha detto Pirozzi, visibilmente emozionato – siamo pronti a fare la nostra parte. Nei momenti di emergenza, l’Italia è una grandissima nazione”. Il commovente abbraccio tra il sindaco e il vescovo ha segnato la fine della cerimonia.

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