lunedì 5 ottobre 2015

«Fidiamoci di questo Papa, la famiglia è uomo-donna: il Sinodo non si dividerà»



«Fidatevi del Papa, fidiamoci del Papa. Il Sinodo dei Vescovi non è un tribunale istituito per giudicare le periferie dell’umanità contemporanea. È, invece, un’opportunità per riproporre al mondo la verità della fede cristiana attraverso la libertà. Dal Sinodo non mi attendo una guerriglia tra dottrina e pastorale, ma la ricerca di nuove modalità per riproporre l’annuncio di sempre della Chiesa davanti alle nuove sfide della società, a partire dall’accoglienza di chi soffre. Ci vuole accompagnamento da parte della Chiesa, senza discriminazioni. Non servono muri, ma ponti, la fede deve soccorrere l’uomo, ovunque sia bloccato per una difficoltà o una sofferenza, comunicando l’evento cristiano che libera».

Don Julián Carrón guida Comunione e Liberazione da dieci anni, successore di don Luigi Giussani. È un sacerdote spagnolo di 65 anni che, fino al 2020, sarà a capo di un «popolo di Dio» nato in Italia ma ormai diffuso in ben 90 Paesi del globo. È figlio di contadini e, per genetica, sa bene che si raccoglie se si semina. È l’uomo della svolta di Cl: stop al movimento braccio della politica, sì al recupero dell’esperienza cristiana. È notte fonda quando in un albergo di Napoli ha ancora forza e fiato per incontrare i giovani delle comunità di Cl della città.

Don Carrón, sappiamo come è uscita la Chiesa dal Sinodo dello scorso anno, anche divisa su temi fondamentali della vita e della famiglia. Secondo lei saranno superate le divisioni evocate perfino da cardinali di prima fila della Chiesa?
«Nulla sarà come prima dopo la predicazione americana di Papa Francesco, con l’affermazione sostanziale del concetto di famiglia come un dono. Il Papa dall’America, e significativamente dall’America, ha detto al mondo che la famiglia non è un motivo di preoccupazione, ma un dono per la società. Come possono le famiglie, con la loro testimonianza e la loro vita, destare nei giovani il desiderio di sposarsi?».


Il Papa recupera al dibattito nel mondo il concetto di famiglia...
«Lo recupera in positivo, non dialetticamente. Non ne fa oggetto di un lamento e non la tratta come una difficoltà da superare, ma insiste sulla bellezza della famiglia come possibilità di un bene per tutti».

La Chiesa continua a parlare di una famiglia come nell’ordine della Creazione, cioè come unione tra uomo e donna?
«Senza dubbio, non potrebbe fare altrimenti. Anzi, discutere della famiglia e della sua missione nella Chiesa e nel mondo parte dal riconoscimento di questo dato originale. Ma noi cristiani dobbiamo testimoniare di più il matrimonio come esperienza di amore tra due persone che si legano liberamente per camminare verso il loro destino, e non come vincolo che limita, schiaccia e alla fine delude. Spesso sento giovani che impauriti dicono: “Forse è meglio non sposarsi”, sono spaventati. Proprio per questo siamo chiamati ad annunciare Cristo come la risposta che vince la paura. Il cristianesimo è l’invito a partecipare a una esperienza dove si può verificare che quello che è impossibile agli occhi degli uomini è possibile a Dio».

Nella esperienza concreta?
«La Chiesa deve creare più luoghi per le famiglie che definire nuove regole. Non serve alimentare polemiche dottrinali su punti fermi della tradizione; la Chiesa deve accogliere le famiglie, ascoltare le persone che faticano a trovare un lavoro, a garantire un futuro ai figli. Chi ascolta oggi queste solitudini esistenziali? Ecco l’evento di un Cristianesimo che si fa incontro e ascolto».

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