sabato 5 settembre 2015

Pregare, su una spiaggia d’agosto, quasi contro la corrente

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Su una spiaggia d’agosto, nell’ora del solleone, notare pigramente come l’estate al mare è sempre uguale. Da quando io la ricordo, almeno, uguale: con i giorni dell’afa e l’aria molle come un mantello sulle cose, e le bandiere sulla riva immote. Con le domeniche di folla che si accalca e ride e si stordisce di sole, e il ritmo battente della musica negli stabilimenti, e le auto roventi, all’ora di tornare. L’estate al mare è uguale, con la sabbia liscia e pettinata dai bagnini al mattino, e le mamme, le prime ad arrivare con i passeggini. Come una volta, lotte estenuanti con i figli che vogliono entrare in acqua prima delle dieci. E sempre nuovi bambini sulla riva, barcollanti nei primi passi incerti, e sempre nuovi castelli laboriosamente eretti, e torri, e fossati. Poi, a sera, le onde li cancelleranno, e la spiaggia sarà di nuovo vergine, il mattino dopo, come una pagina bianca.
Da bambini non si sa che l’estate è uguale, perché è la prima volta. Da giovani non ci si fa caso, e comunque non importa. È a una certa età che cominci ad accorgerti, con un malessere sottile, di come il rito dell’agosto si perpetua identico, del tutto indifferente al tuo invecchiare. Fino a che non ti è chiaro che la tua spiaggia sarà perfettamente la stessa, quando non ci sarai più tu, a guardare.
Inopportuno, molesto pensiero. C’è chi lo rimuove, chi si inventa altre vite, chi si rassegna. Non è facile, nei giorni in cui il sole picchia come un fabbro e il rumore sulle spiagge colma ogni minima fessura di silenzio, esercitarsi ad affrontare l’onda del tempo che, apparentemente amabile, ti incalza.
Pregare, su una spiaggia d’agosto? Certo è più facile in una chiesa, o nell’aria tersa della montagna. E però mi viene in mente don Oreste Benzi, in giro per le notti d’estate della sua Rimini, fra gente mezza nuda, paonazza di sole, chiassosa, spesso bevuta. «Non le dà fastidio questo casino?», gli domandai, mentre inseguivo la sua tonaca nera svolazzante sul lungomare. «Affatto – mi rispose serafico – faccio contemplazione. Cerco Cristo nella faccia di tutti quelli che incontro». Allora, alle sue spalle, tentai anche io di cercare. E mi pareva di non vedere niente: solo ragazzi alticci, belle donne abbronzate, vecchie signore troppo truccate.
Eppure, stando più attenta, che cosa c’era in fondo a quell’ansia vorace di consumare una notte di Ferragosto, di essere, per una notte almeno, felici? Un desiderio di vita tanto immenso da non poter essere detto, a meno di sembrare folli, aleggiava sul lungomare come un vapore.
Pregare, su una spiaggia d’agosto, quasi contro la corrente. Chiedendo, nella festa abbagliante ed effimera, di essere certi che Cristo è vivo, e davvero “tutto in tutti”. Così che non importa se le estati, uguali, ti lasciano indietro. Non importa l’ombra che avanza, e annulla un altro giorno nel blu dell’imbrunire: come giocando, come domandandoti, nella luce che sfugge, che cosa è vero, e cosa solo apparenza. Marina Corradi


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