sabato 6 novembre 2010

SAGRADA FAMÍLIA «Qui c'è tutto il cristianesimo»



05/11/2010 - Il 7 novembre Benedetto XVI consacra l'ultima cattedrale d'Europa, capolavoro di Antoni Gaudí. Joan Bassegoda, uno dei suoi massimi esperti, ci presenta «un uomo capace di vedere le cose come sono». Che ha sempre cercato la gloria di Dio













Un giorno, un architetto andò a trovare Gaudì. Era al tavolo, intento a fissare un pezzo di carta: “Guardi, qui c’è tutto il cristianesimo”, gli spiegò. Quella era la pianta della Sagrada Família». Basterebbe questo episodio raccontato da Joan Bassegoda i Nonell, tra i massimi esperti mondiali di Antoni Gaudí, per capire che la Sagrada è più di una chiesa. E perché quel che succederà il 7 novembre, quando Benedetto XVI consacrerà questa «Bibbia di pietra» nel cuore dell’Europa, è un evento epocale. Classe 1930, Bassegoda per 32 anni (fino al 2000) è stato titolare della Real Catedra Gaudí. Architetto e storico, al genio catalano ha dedicato varie opere (la più recente pubblicata in Italia è Gaudí. L’architettura dello spirito, Ares 2009). Ma il suo non è tanto un interesse accademico per Gaudí, quanto una sorta di amicizia, nata a distanza con un artista scomparso quattro anni prima che Bassegoda nascesse: «E il fratello di mio nonno era compagno di studi di Gaudí, così si può dire che io sia un “gaudinista” di terza generazione». Alla vigilia della visita del Papa, lo abbiamo incontrato nella sua casa a Barcellona.

Che uomo era Gaudí?
Uno che parlava poco, ma quando parlava lo faceva in maniera molto ponderata. E non era un inventore, ma un grande “copista”: anziché inventare forme nuove, ha messo in architettura tutte le forme che ha trovato in natura. Perché lì c’è una geometria diversa da quella degli architetti: in natura non troveremo mai una retta, un piano o un punto, sono astrazioni nate con Euclide e i Greci. Pensi invece al corpo umano, o a un albero: questa è la geometria frutto della creazione di Dio.

Per questo nelle sue opere non si trovano mai due elementi uguali, come in natura?
Gaudí non aveva bisogno di ripetere una soluzione: guardandosi attorno, trovava tutte le forme che gli servivano. Non è paragonabile, quindi, a nessun altro nella storia dell’architettura: i suoi edifici sono diversi da tutti gli altri, oltre ad essere diversi tra loro. Guardi, per esempio, la casa Pedrera e la casa Batlló: pur essendo molto vicine nel tempo, sono completamente diverse. Il segreto di Gaudí è questo: mentre tutti gli architetti si sono copiati l’uno con l’altro, lui ha copiato la natura.

Da dove proveniva questo approccio?
Innanzitutto, prendiamo la sua famiglia: non c’erano né architetti né pittori, ma calderai e contadini. Se un calzolaio crea un paio di scarpe, non punta alla perfezione geometrica, ma obbedisce alla forma del piede. Gaudí ha imparato così questa capacità di vedere le cose come sono. Un giorno, ad un falegname che gli chiedeva un consiglio per una sedia, ha risposto: «Metti il gesso su questa tavola e siediti». Solo in questo modo può essere comoda. In Gaudí tutto è semplice: forse per questo, molti fanno fatica a comprenderlo.

Che cosa intende?
Noi siamo portati ad essere intellettuali, invece lui guardava la realtà per com’è. Non per come dovrebbe essere. La domenica, per esempio, dopo la messa faceva due passi con qualche allievo fino al porto. Lì osservava le onde che sbattevano contro il molo: quel che lo catturava, però, non era la geometria dei blocchi di cemento, ma le forme sempre diverse che l’acqua creava. Per questo, come mi faceva notare un messicano appassionato di surfing, alcuni archi di Gaudí hanno la stessa forma delle ondate che si vedono ad Acapulco. E i campanili della Sagrada Família corrispondono alla forma delle colate di sabbia bagnata.

Per Gaudí, quindi, seguire la realtà diventa un criterio costruttivo...
È il giudizio più semplice: vedere le cose come sono. Non come ci spiegano che devono essere. Per questo, Gaudí sosteneva che gli architetti del Rinascimento fossero solo dei decoratori, perché ciò che creavano doveva sottostare alla simmetria e alla prospettiva, il che non è reale. Mentre l’architettura popolare, dove tutto nasce per la necessità e non per l’invenzione dell’uomo, è quella più vera.

Qual era il rapporto di Gaudí coi suoi operai?
Con loro c’era un’amicizia. E un’identificazione totale. Quando s’è ammalato Juan Matamala, uno dei suoi scultori, Gaudí è andato a trovarlo in ospedale: è la stessa idea che regge la Sagrada Família. Per lui, i rapporti tra operai e padroni devono rispecchiare quelli tra san Giuseppe, la Madonna e Gesù. Poi si sa che molti muratori, usciti dai loro cantieri, andavano alla Sagrada a vedere come lavoravano quelli di Gaudí. Lui stava sempre con loro: per i balconi di casa Pedrera, per esempio, è stato da mattino a sera nell’officina dei forgiatori, mostrando come fare.

Quale peso aveva la fede, in questo suo modo di guardare la realtà?
Gaudí sapeva che la natura è opera di Dio, per cui bisogna seguire i principi che Dio ha posto. L’uomo sviluppa semplicemente la creazione, non la inventa. Gaudí, ad ogni modo, ha avuto la possibilità di scegliere tra la fede e la posizione dei rivoluzionari anticlericali, con cui aveva dei rapporti. E ha scelto la prima. Credo che questa sua libertà, ora che è in corso il processo di beatificazione, sia molto importante. Come ha raccontato un suo collaboratore, questa lotta è durata per tutta la vita. È sempre stato un uomo intero.

Una delle cose che colpiscono di più, nella Sagrada Família, è vedere che tutto ha un perché, come un simbolo che vuole trasmettere un significato oltre la pietra...
Infatti la Sagrada è detta «la Bibbia di pietra», perché vi si trova tutta la simbologia cristiana. Lo stesso vale anche per le opere non religiose, come la casa Batlló, che è coronata dalla croce. Non esiste mai una cosa senza simbolo.

Inoltre, nelle sue opere ogni cosa è in funzione dell’uomo.
Pensi che, alla casa Batlló, alcune finestre hanno dei piccoli buchi per far entrare l’aria fresca dall’esterno: una sorta di sistema di aria condizionata. Come gli è venuta questa idea? Per lui, il punto non era compiere uno sforzo di immaginazione ma guardare la realtà e trasferirla nell’architettura. Questa è l’originalità: tornare all’origine. Non vuol dire allontanarsi dalla realtà, ma arrivare alla realtà.

Da qui viene l’idea di riutilizzare tutto?
Certo. Gli avanzi della fabbrica diventano mattoni neri, gli aghi da cucire finiscono nelle grate delle finestre, cocci di ceramica vanno a comporre dei mosaici... Così è nato il trencadís, la tecnica con cui i materiali scartati potevano formare un disegno nuovo. Sempre per collaborare con il vero architetto, Dio.

E darGli gloria...
Gaudí è sempre riuscito a vedere nella natura le forme del Creatore. Per lui la fede non è cieca: vede la Gloria di Dio. Noi facciamo fatica, perché siamo abituati ad un mondo dove tutto è regolato da una legge che definisce. Invece Gaudí non dava definizioni.

Qual è il valore della visita del Papa per la Spagna e l’Europa intera?
Credo che sia fondamentale. Per questo, c’è già chi organizza delle proteste. Ma è la migliore pubblicità: se lo stupido applaudisse, sarebbe vero il contrario. Non che per me sia la prima volta: quando è venuto Giovanni Paolo II, l’ho accompagnato alla cattedrale e alla tomba di sant’Eulalia. Ma con Benedetto XVI è un’occasione davvero speciale, perché avviene in un’epoca di profondo razionalismo. Mentre la Sagrada è l’opera di un uomo che sapeva usare la ragione, per capire la realtà. Consacrando la Sagrada Família, il Papa consacra tutto Gaudí.
http://www.tracce.it/default.asp?id=329&id_n=18512

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