domenica 13 settembre 2009

Non ci basta -«Non ci basta una ripetizione, pur giusta, di un discorso pulito e corretto».


Tracce N.8, Settembre 2009
A molti, magari, capiterà di farlo dopo aver sfogliato il giornale. E servirà tempo per andare a fondo in quella proposta, per non lasciarla scorrere via in fretta, presi dall’affanno dell’anno che riprende e del lavoro che incalza di nuovo. Ma se lo avete già fatto, se avete già aperto il libretto allegato a questo numero, e scorso almeno l’Introduzione di quell’Assemblea che il mese scorso ha raccolto a La Thuile quattrocento responsabili di Cl di tutto il mondo, è probabile che abbiate sentito almeno un’eco del contraccolpo subìto da chi c’era.
Diciamoci la verità: con quel primo «non ci basta» buttato in pista da don Julián Carrón di fronte alla confusione che viviamo, qualche familiarità ce l’avevamo già. «Non ci basta una ripetizione, pur giusta, di un discorso pulito e corretto». Il cristianesimo non è una faccenda di parole, o di principi da applicare alla vita per sostenerla. «E questo lo sappiamo anche noi», aggiungeva Carrón: «Abbiamo ripetuto tante volte la cosa giusta, ma questo non ci fa stare in piedi, non ci fa respirare». Non ci basta, appunto. «Abbiamo bisogno di vedere davanti a noi persone che nel loro porsi, nel loro modo di affrontare il reale (…) introducono una luce, una chiarezza in mezzo alla confusione nel modo in cui vivono gli affetti, il lavoro, le circostanze». Abbiamo bisogno di testimoni. La fede vive di questo. Chi ha seguito Tracce - e il lavoro educativo di cui cerca di rendere conto - nell’ultimo anno, sa bene di cosa stiamo parlando.

Subito dopo, però, è arrivato un altro affondo. «Ma il testimone non basta. Il testimone ci mostra una reale possibilità più umana di vivere nelle circostanze cui siamo chiamati, e per questo ci colpisce; ma non basta, perché ciascuno di noi (io, tu) ha bisogno che accada nella sua vita, nelle circostanze che è costretto ad affrontare, cioè ha bisogno di fare l’esperienza personale di ciò che il testimone mostra. Perché diventi mio!».
Ecco, lì in parecchi sono rimasti spiazzati. Meglio: provocati. Perché non si tratta di una sterzata, di un cambio di direzione. Non ci sono cesure in questo passaggio, non ci sono salti, come se l’insistenza sulla testimonianza fosse da archiviare per passare ad altre parole “di moda”: giudizio, esperienza… È un percorso da fare (e nelle pagine di quel libretto lo trovate tutto, passo per passo). Perché una cosa è chiara, se si guarda alle nostre vite: solo in quel «mio» c’è tutto. Certezza e speranza. E se non arrivo a dire «mio», non posso neanche dire «io». «Senza che questo diventi veramente esperienza noi non cresciamo nella certezza della fede».

Per molti, il Meeting di quest’anno è stato proprio una documentazione di questo percorso, come abbiamo cercato di spiegare nel “primo piano”. E le vacanze pure. Ma pensate che prospettiva si spalanca per chi riprende le occupazioni “normali” dell’anno con questo passo chiaro da compiere, con questo lavoro avviato di paragone continuo tra ciò che ci accade e il nostro cuore, con questo approfondimento di certezza della Sua Presenza nelle nostre vite. Pensate che cosa può essere delle battaglie che ci attendono a scuola, sul lavoro, in famiglia. O nel contesto sempre più confuso e per certi versi barbaro - lo testimoniano le vicende di questi ultimi giorni - della vita pubblica: media, politica, cultura… Pensate che cosa accade se lì dentro, non un briciolo prima - in astratto - o una frazione di secondo dopo - come etichetta da appiccicare -, ma dentro il reale iniziamo ad accorgerci davvero della presenza inestirpabile di Chi, essendo risorto, domina il reale. Qui e ora.
Diceva san Gregorio Nazianzeno, in quella frase tanto cara a don Giussani: «Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita». Ma se arriviamo a dire «mio»…

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