martedì 28 aprile 2009

Oltre 26mila a Rimini per gli esercizi spirituali della Fraternità di Cl -Carrón: la fede come metodo per l’esistenza



Oltre 26mila a Rimini per gli esercizi spirituali della Fraternità di Cl Rilanciata la sfida del Papa e di Giussani contro la separazione tra fede e ragione
« P rofessore, è inutile che venga qui a insegnarci religione e a parlare di fede. Per fare scuola bisogna ragiona­re, e la fede non c’entra niente con la ragione, sono due rette sghembe che non s’incontrano mai». Nel 1954, ap­pena salito in cattedra per la sua pri­ma lezione al liceo Berchet di Milano, don Luigi Giussani era stato apostro­fato così da uno studente: mica male come inizio d’anno. E dalla decisione del giovane prete brianzolo di ri­spondere a quella sfida è nata l’espe­rienza di Comunione e liberazione, che scommette tutto sulla ragione­volezza della fede. A distanza di cin­quant’anni quella sfida (che Giussa­ni aveva profeticamente intercettato in un’Italia formalmente cattolica ma già minata dall’avanzata del secolari­smo) si è fatta molto più acuta. E ri­comporre la separazione tra sapere e credere, è la battaglia più ardua con cui oggi la cristianità si cimenta. Og­gi che le antiche sicurezze religiose sono crollate, oggi che la fede è ridot­ta a sentimento, a presidio morale di valori sempre meno praticati, a di­mensione che nulla c’entra con la co­noscenza.
Per tre giorni, da venerdì a domenica, don Julián Carrón – guidando gli an­nuali esercizi spirituali della Frater­nità di Comunione e liberazione da­vanti a 26mila persone convenute a Rimini da tutta Italia e in collega­mento via satellite con 63 Paesi – ha rilanciato la scommessa di Giussani: «Dalla fede il metodo» è stato il titolo della tre giorni. Di fronte alle sfide del­la vita – la crisi economica, la trage­dia dell’Abruzzo, la vicenda di Eluana Englaro e dell’eutanasia – abbiamo tutti bisogno di incontrare una diver­sità umana, nella quale il cristianesi­mo si rende incontrabile come avve­nimento, qualcosa che ri-accade og­gi come risposta alla domanda di fe­licità che abita il cuore di ognuno. Co­me ha di recente detto Benedetto X­VI, i cui interventi sono più volte riecheggiati in questi giorni di lavoro e di preghiera: «Nel mi­stero dell’incarnazione del Verbo, nel fatto che Dio si è fatto uomo co­me noi, sta sia il conte­nuto che il metodo del­l’annuncio cristiano». La fedeltà a questo metodo scelto da Dio, argo­menta il presidente della Fraternità di Cl, rende testimoni della novità cri­stiana di fronte alla crisi generata dal­la frattura tra fede e ragione. E può rendere presente all’uomo di oggi – tanto apparentemente sicuro di sé nella rivendicazione della sua auto­nomia quanto smarrito e vittima di un’'anestesia dell’io', di una trascu­ratezza di sé – il volto misericordioso di Cristo.
La separazione tra il sapere e il crede­re, tra la ragione e la fede, non è frut­to soltanto di una dinamica esterna alla Chiesa. È un germe che si è insi­diosamente annidato nel suo stesso corpo, e ha reso il cristianesimo sem­pre più estraneo alle attese dell’uo­mo. Una realtà magari riconosciuta come fatto storico ma che non inci­de, non morde, in ultima analisi non conta. Carrón dice provocatoriamen­te che «è come se la fede avesse una data di scadenza». Cristo diventa un soprammobile da esporre nel salotto buono dei valori, piuttosto che una presenza viva incontrabile e a tutti proponibile. Un devoto ricordo, piut­tosto che una realtà che accade 'qui e ora'. Invece l’uomo ha bisogno di qualcosa che gli sia contemporaneo, che fondi la sua speranza. E per spe­rare, scrive Péguy, bisogna avere rice­vuto una grande grazia.
Perché il cristianesimo continui a es­sere un’attrattiva vivente servono te­stimoni credibili, gente che seguendo Gesù renda credibile che, come reci­ta il titolo del libro di Giussani che quest’anno guida la catechesi del Mo­vimento,
Si può vivere così. Il cardi­nale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici, inter­venuto sabato alla celebrazione eu­caristica, ha rilanciato l’ammoni­mento di Benedetto XVI: «Il cristia­nesimo non può essere ridotto a una morale, cristiani si è solo se si incon­tra Cristo. Per questo servono testi­moni che lo rendano incontrabile, e voi oggi lo siete».
Avvenire - DI GIORGIO PAOLUCCI

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