giovedì 31 luglio 2014

AFORISMA DI GIOVEDÌ 31 LUGLIO 2014

Kaliméra di Adriana Zarri:” Ogni autunno mi sembra di morire; in un certo senso muoio. Le foglie cadono ai miei piedi, i rami restano nudi e sbattono, al vento e al freddo; la linfa si arresta e un lungo sonno cade su di me... A primavera poi tutto ricomincia da capo, ed è una sorpresa nuova”.

Con questo aforisma mi congedo per le ferie di tutti, ma anche capovolgerne il senso: in autunno ( settembre) “ tutto ricomincia da capo” , in estate “ le foglie cadono”, in autunno gli aforismi rinverdiscono, a meno di cadere in un lungo e sterile letargo: Kalipanta=bel-buon tutto!
Don Carlo
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“Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra e dissi gemendo: – Chi mai potrà scamparne? E udii una voce che mi disse: – l'umiltà.”
Sant’Antonio abate 

martedì 29 luglio 2014

AFORISMA DI MARTEDÌ 29 LUGLIO 2014


“L'umiltà è come una bilancia: più ci si abbassa da una parte, più ci si innalza dall'altra.”
Giovanni Maria Vianney, "Curato d'Ars" 
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Kaliméra di Noa: "Se di nuovo scegliamo la spada al posto della parola, se santifichiamo la terra anziché la vita dei nostri figli, ben presto saremo costretti a cercare una patria sulla luna, perché la nostra terra sarà così inzuppata di sangue e stipata di tombe che non resterà più posto per i vivi".
Havete!
Don Carlo

Messaggio di Julián Carrón - Pellegrinaggio Czestochowa 2014

  

Cari amici, questo è il dramma dell’uomo: desiderare qualcosa che non si può dare da sé, perché il
nostro bisogno è incommensurabile a tutto ciò che possiamo fare o generare con le nostre forze.
Quale sia il nostro bisogno non lo decidiamo noi, ma ce lo troviamo addosso come esperienza di
una «sproporzione strutturale» − dice don Giussani − che ci rende desiderio di infinito, di totalità.
Possiamo avere più o meno coscienza che questa è la questione, ma è impossibile che il desiderio
della totalità non sia presente in tutto quello che facciamo. Per questo diciamo con Cesare Pavese
che «ciò che un uomo cerca nei piaceri è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di
conseguire questa infinità» (Il mestiere di vivere).
Se con tutto quello che generiamo e facciamo non siamo in grado di rispondere, l’unica possibilità è
che la risposta venga da fuori di noi. Senza aprirsi a qualcosa d’altro l’uomo non può compiersi. Ma
come può avvenire questa apertura, se tante volte si pensa di perdere se stessi aprendosi a un altro?
Solo sperimentando un’attrattiva tale (pensiamo nell’amore) che riesce ad aprire il proprio
“fortino”; solo se l’attrattiva di una presenza è così potente da vincere la tentazione di chiuderci nel
nostro cerchio, l’uomo potrà aprirsi. Per questo il Mistero è entrato nella storia, ponendosi con
un’attrattiva tale da rendere possibile all’uomo il rapporto con una presenza, che lo apre – diciamo
−, che lo disarma dallo stare sulle barricate, sulla difensiva, per aprirsi a qualcosa che lo compie.
Noi a andiamo a Czestochowa a chiedere che questa Presenza sia talmente reale nella nostra vita
che ci consenta di aprirci alla sua attrattiva. Perché è inevitabile che ciascuno, se non trova questo
Altro, cercherà di compiere la propria vita con il suo fare, dal momento che il desiderio permane
comunque, come gigante «in solitario campo» (G. Leopardi, «Il pensiero dominante»). Tutta la
pretesa di Gesù è questa – non nel senso che voglia imporre qualcosa, ma perché porta una
promessa –: soltanto se l’uomo lascia entrare nella propria vita la Sua presenza, si può compiere.
Ma chi è disponibile a questo? Come vediamo nel Vangelo, davanti a una simile pretesa sono sorte
tante resistenze, al punto tale che quasi tutti l’hanno rifiutato. Ci vuole un amore per riconoscerlo, è
un problema di affezione. Il problema della vita non è la riuscita, ma è un amore; capire bene questo
dall’interno della propria esperienza è cruciale.
Il pellegrinaggio è un momento privilegiato perché, per la dinamica stessa del gesto, per la
stanchezza, per lo sforzo, per la durezza del cammino, ciascuno si rende più facilmente conto della
natura del proprio bisogno, è facilitato a prendere consapevolezza di sé, e quindi a domandare
qualcosa d’Altro.
«La vita è mia, irriducibilmente mia» («Movimento, “regola” di libertà», 1978), diceva don
Giussani, e niente è così serio come la vita, perché è in gioco la felicità, cioè la ragione del vivere.
Andare a Czestochowa per chiedere questa consapevolezza che ci è stata data fin dal primo
momento in cui abbiamo avuto un’esperienza seria del vivere, per cui ci siamo trovati addosso un
desiderio di essere felici, domandare che non venga meno questo desiderio, è la cosa che urge di
più.
Vi domando di camminare verso la Madonna di Czestochowa aggiungendo a tutte le vostre
intenzioni questa: che il movimento di Comunione e Liberazione, nel sessantesimo del suo inizio,
rimanga fedele al carisma ricevuto, perché noi abbiamo visto con i nostri occhi la fecondità del
carisma, l’abbiamo visto incarnato in don Giussani, che ci ha affascinato tutti.
Potremo dare il contributo a cui papa Francesco ci chiama – portare Cristo nelle periferie
dell’esistenza, nei luoghi in cui si svolge la vita di tutti – solo se noi per primi siamo testimoni del
carisma ora, di un cristianesimo vissuto con questa attrattiva.

Lidia Macchi è molto più dell’”omicidio della ragazza scout”. Così raccontò in una lettera l’incontro con «uno che si chiama don Giussani»


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Il mistero del nostro esserci, le domande censurate, la forza segreta di quel sacerdote che «parlava di me» in un’aula della Cattolica. «Voglio uscire dalla foresta


Lidia Macchi, studentessa universitaria varesina attiva nei boy scout e militante di Comunione e Liberazione, venne ritrovata uccisa con 29 coltellate il 7 gennaio 1987 in una radura nei pressi dell’ospedale di Cittiglio, Varese, dove era andata a trovare un’amica. Aveva 21 anni. Lo scorso venerdì 25 luglio, dopo 27 anni che il caso giaceva insoluto presso la procura di Varese e avendolo avocato a sé soltanto otto mesi orsono, il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda ha depositato presso la Corte d’Appello del capoluogo lombardo l’avviso della conclusione delle indagini e una richiesta di archiviazione della posizione di un sacerdote che il pm di Varese Agostino Abate non aveva mai ufficialmente espunto dall’albo degli indagati (vedi per esempio la cronaca dell’Ansa).
Qui di seguito riportiamo la lettera in cui Lidia confida a un’amica la circostanza del suo primissimo incontro con don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. La lettera, risalente agli anni in cui Lidia è già iscritta e frequenta l’Università statale di Milano, proviene dall’archivio personale del direttore di 
Tempi e all’epoca fu trascritta e fatta circolare dai ciellini in forma di ciclostilato.
Carissima Mara,
abbiamo appena appeso il telefono ed io mi sono con amarezza resa conto che in fondo ti ho raccontato solo le cose più banali della mia vita di adesso. A me sta capitando una cosa straordinaria e un po’ confusa ma veramente grande; è come se in me adesso ribollissero con chiarezza un sacco di domande e di desideri sulla vita. Il desiderio d’essere felice, d’essere libera, cioè di trattare con libertà, senza essere schiacciata od appesantita da tutte le circostanze della vita, il desiderio di amare con profondità le persone che mi sono care, gli amici; il desiderio di costruire anch’io un pezzetto di storia perché altrimenti la storia ce la fanno gli altri sulla nostra testa e noi viviamo la nostra vita completamente indifferenti a ciò che accade fuori dal nostro cantuccio, che per quanto comodo è pur sempre meschino e determinato da piccole stupidaggini ed angherie quotidiane.
Ecco è come se la mia incoscienza, il fare sempre solo ciò che istintivamente mi salta in mente, mi avesse profondamente annoiato con la sua stupidità e superficialità. Mai come adesso la vita mi sembra profonda e grande e soprattutto misteriosa.
È proprio un mistero grandissimo che io ci sia, esista, che sia un fragile puntolino su questo pianeta che ruota con leggi straordinariamente perfette intorno al sole, ed il sole non è che un microbo nell’immensità spaziale e temporale del cosmo.
Ma cavoli, basta sollevare gli occhi al cielo di notte per intuire che la vita di tutto questo universo è un mistero grandioso e noi che siamo uomini e abbiamo e possiamo avere la coscienza di ciò, sprechiamo il nostro tempo afflitti da piccole banalità e da piccoli dolori, senza chiederci – perché ci fa troppa paura ascoltarci per un attimo, ascoltare quella voce che parla in noi, che grida che la vita non può non avere un senso – senza chiederci perché ci siamo, perché siamo fatti così uno diverso dall’altro, eppure al fondo, tutti con lo stesso desiderio.
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Dio mio, ma perché se queste domande e desideri ci sono noi ci rassegniamo, viviamo in fondo disperati cioè non attendendoci niente dal domani, chiudendoci in una gabbia che diventa la nostra tomba al limite concedendoci qualche ricordo nostalgico dei bei tempi? Ma quali tempi! È inutile piagnucolare, siamo noi che per primi abbiamo presuntuosamente rinunciato ad essere seri, a prendere in considerazione tutti i grandi desideri che si agitano in noi, perché ci fa comodo piagnucolare, stare nel nostro brodo, fare dei piccoli e miseri peccatucci per credere che se almeno non siamo santi, beh, un po’ cattivelli però lo siamo; invece i nostri peccati fanno ridere i polli, consistono al massimo nella sensualità, in trasgressioni che in realtà fanno tutti, sono alla portata di tutti, perché in fondo siamo solo dei mediocri. Magari si incontrasse qualche grande peccatore profondamente abbagliato dal male!
E quand’anche io sappia tutto, come funziona l’universo intero, e come faccio a respirare, a camminare, a mangiare, chi si sogna per un attimo di ascoltarti quando ti chiedi chi sei, che cosa ci fai sulla faccia di questa terra? Di queste domande hanno tutti paura e nessuno ne parla… Ma perché oggi ci sei, domani muori, e buonanotte…
Buonanotte un corno! Io ci sono, le domande ci sono e voglio sapere, fossi anche l’unica con questo desiderio, in questo mondo superficiale – perché vuole essere tale – urlerò fino a squarciagola, finché morirò, quello che io sento.
Un mese fa mi è capitato, quasi per caso, di andare alla Cattolica con dei miei amici di Varese e di ascoltare uno che si chiama don Giussani, che faceva una lezione di teologia o morale, qualcosa del genere, perché questi esami lì sono obbligatori, e al posto di parlare dei santi e tutto il resto, parlava proprio di queste domande, con un entusiasmo ed una forza che mi hanno molto colpito e spiegava tutti i procedimenti tecnici e pratici che gli uomini escogitano per non starle ad ascoltare, per fare come se non ci fossero o non fossero importanti. Mi sembrava che parlasse proprio di me e ritrovavo tutti i nostri comportamenti abituali spiegati così chiaramente.
Io ero andata lì quasi per caso perché queste persone di Varese e altre di Milano che lo conoscono, mi avevano invitato ed io sono andata lì pensando di ascoltare le solite cose, e invece no.
È strano perché più delle sue parole, mi ha colpito lui, il suo sguardo profondo e attento, qualcosa di inafferrabile, un uomo libero, aperto, non arrabbiato o irato con la vita. Non so dirti niente di più preciso ma è come se custodisse un segreto, una forza non sua.
Io sento che devo parlargli, che lui non ha calpestato le domande che si agitano dentro di me, avrei molte cose da chiedergli, in un modo o nell’altro devo incontrarlo ancora.
Adesso non mi sembra più di essere sola alla ricerca disperata di qualcosa di cui tutti se ne fregano; è come se qualcuno, facendomi sobbalzare, perché è arrivato inaspettatamente, mi avesse detto: “Ehi, sono qui, non urlare e non disperarti, perché seguendo questa strada usciremo dalla foresta”.
E io voglio uscire dalla foresta, perché la vita è mare, cielo, monti e pianure, case, alberi, volti umani, stelle, sole e vento e noi siamo fatti per questo Infinito che c’è; basta solo guardarsi in giro e per questo seguire questo “Qualcuno” che mi è venuto incontro nel groviglio della foresta e che mi dice: “Guarda lassù tra le foglie, vedi, c’è un pezzettino di cielo blu, blu, usciamo a vederlo”.

Traettino: colpiti da umanità del Papa, sogno di Dio è l'unità



Diversità e unità. È quanto hanno detto, ripetuto e sperimentato ieri mattina Papa Francesco, il suo amico pastore Giovanni Traettino e la comunità pentecostale che a Caserta ha vissuto un incontro dal forte sapore ecumenico, in un clima di fraternità. Al microfono del nostro inviato,padre Guillermo Ortiz, il pastore Traettino racconta subito dopo l’incontro:

R. – Siamo profondamente toccati dalla semplicità, che conoscevamo già di Papa Francesco, e anche dalla sua umanità. Sono le cose che ci colpiscono di più. Inoltre il fatto di vivere, proprio a livello sperimentale, questa nostra fratellanza è una cosa che ci colpisce molto.
D. – In cosa aiuta l’atteggiamento di Francesco in questa ricerca della radicalità del Vangelo, che anche voi cercate?
R. – Io credo che sia l’esperienza di Cristo. Credo sia il rapporto personale con Cristo. Per me, è evidente che lui è un uomo che ha fatto l’incontro con Gesù e quindi quando incontra uomini che hanno questo tipo di rapporto col Signore e che vogliono vivere il Vangelo, si stabilisce quella che lui chiama un’empatia.
D. – Qualche giorno fa, lei ha detto che non vi è una Pentecoste che non dia vita e non generi unità e che nessuno può essere un pentecostale vero senza questa vocazione…
R. – Sì. Io ne sono profondamente convinto. Ogni Pentecoste – quelle dell’Antico Testamento e quelle del Nuovo Testamento – assieme a questa effusione di vita producono unità. La Chiesa è nata a Pentecoste. Quindi, è evidente che quello che è venuto fuori da molte lingue è una lingua, da molti popoli un popolo… Pentecoste ci mette sulla frontiera: dobbiamo avanzare sempre di più verso la realizzazione del sogno di Dio ed è evidente che il sogno di Dio sia l’unità, dal momento che Dio stesso è unità.
D. – Anche se questa è stata la visita a un amico e un ritrovare – come ha detto Papa Francesco – i fratelli che per primo lo hanno cercato, tanti vedono questo come un incontro ecumenico…
R. – Sì, nella dimensione del dialogo fraterno, in questo senso qua. Quindi, la dimensione teologica, dottrinale è assente, però è molto forte e presente quella prima dimensione di cui parla Paolo agli Efesini, al capitolo 4: l’unità dello Spirito da preservare. Perché quando si ha la stessa esperienza dello Spirito, l’unità “con” lo Spirito produce l’unità “dello” Spirito, l’unità con lo Spirito Santo produce l’unità dello Spirito Santo. Quindi in questo senso, io credo che nella misura in cui facciamo esperienza di Dio e abbiamo Dio dentro – “Il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo” – quando scopriamo un’altra persona che vive dentro di lui questa stessa esperienza, si stabilisce questo feeling, questo rapporto.
D. – Papa Francesco le ha fatto visita come a un fratello, un amico. Anche Radio Vaticana le apre il microfono perché lei possa rivolgere a tutti i pentecostali una parola…
R. – La parola che dico ai miei fratelli pentecostali è semplicemente di scoprire il deposito che c’è nel loro Battesimo nello Spirito Santo, che è un deposito di vita. La Scrittura dice, Gesù dice che avremo vita in abbondanza. E noi sperimentiamo a livello pentecostale questa vivacità, questa presenza. L’altro elemento, che è un po’ dormiente nel mondo pentecostale, è la dimensione della unità, che – secondo me – è insita nella grazia del Battesimo nello Spirito Santo.

WWW.TERAMOWEB.IT - VITA DI DON GIUSSANI - Giulianova 22.07.2014

lunedì 28 luglio 2014

Aforisma di lunedì 28 luglio 2014


“L'umiltà raccoglie sempre compassione; mentre la durezza di cuore e la mancanza di fede raccolgono sempre eventi duri ed imprevisti, finché all'improvviso insorge contro di loro il Male ed esse sono consegnate al giudizio finale.”
Isacco di Ninive 
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Kaliméra da i manifestanti in Germania ( vergognoso, aberrante, disumano, contro l’umanità ): "Hamas, Hamas, Juden ins gas = Gli Ebrei al gas”.
Degrado antropologico!"  E’ l’anestesia delle coscienze".
Havete!
Don Carlo