sabato 29 aprile 2017

Esercizi fraternità CL 2017 appunti sabato 29 aprile mattina


Il mio cuore è lieto perché Tu, Cristo, vivi! // Sabato mattina

Esercizi della fraternità di Comunione e Liberazione, 28/30 Aprile 2017
(Appunti personali)

Il canto all’inizio: Errore di prospettiva, di Claudio Chieffo

Tutti abbiamo letto il Papa che ha approfittato dell’occasione della nostra offerta per il giubileo per darci qualche suggerimento: per noi, per la Chiesa e per il mondo. Grande consolazione è il non aver dimenticato le persone bisognose. Ci ha ricordato che i poveri infatti ci rammentano l’essenziale della vita cristiana. La radicalità di questo richiamo la comprendiamo in forza della citazione di san Agostino fatta nella lettera: preferiamo dare i beni ai poveri, invece che diventare poveri noi stessi. Agostino parla di coloro che sono pieni di sé e non bisognosi di Dio. Agostino cita san Paolo. Se avessi dato anche tutti i beni ai poveri, ma non avessi l’amore, il tutto non servirebbe a niente. Questa povertà ci descrive il bisogno che abbiamo di Lui. La nostra povertà è così profonda che abbiamo bisogno di Lui. Don Giussani ci ricorda che il povero è tutta attesa. Il povero attende ciò che gli permette di vivere il momento dopo. Questa povertà non ha nessuna pretesa. Tutto è nel momento. Dobbiamo riscoprire la nostra povertà.

Primo passo. La povertà è il riconoscimento di ciò di cui è fatto il nostro cuore. Un aspirazione senza fine, un’attesa senza confine. Questa attesa è l’originalità dell’uomo. Tutto l’uomo ha bisogno di questo. Sembra essere la scoperta dell’acqua calda. Come vedremo tutto ciò che pensiamo di sapere è ciò che ci porta al formalismo. La vera sfida è come scoprire Cristo sempre di nuovo dall’intimo delle vicende che viviamo per non finire in moralismo e formalismo. Una formula è sensata se dice una vittoria già accaduta. E per tutti importanti, ma in primo luogo è importante per noi comprendere queste cose. La dottrina formalistica non muove neppure una piega del nostro io. Abbiamo davanti un cammino da fare, per scoprirlo dal di dentro della nostra esperienza. Dobbiamo accorgerci dell’umano che c’è in noi. Guardarci con simpatia e guardare gli altri con simpatia. Prendere sul serio ciò che proviamo. Cercare tutto il significato. Molti di noi sanno il discorso corretto, anche quello sul cuore. Possiamo trascorrere intere giornate vuote, piene di dimenticanza, senza avere il desiderio di Lui, pur avendo la formula e la dottrina nella testa. C’è un cammino da fare, come si è accorto don Giussani da giovane. La mancanza costitutiva che caratterizzava la sua umanità. La romanza di Donizzetti metteva in evidenza la mancanza costitutiva di sé. Il cuore esige una risposta, non vive che per questo. Se non si parte da questo non possiamo capire più niente del resto. Don Giussani sapeva che noi spesso non partiamo dall’esperienza, anche quando conosciamo la formula corretta. Spesso identifichiamo l’esperienza con delle parti di essa (con certe immagini e sensazioni che essa ci da). Quali sono  le vere domande che ci pone la nostra esperienza? Accettare l’umano in tutto ciò che esige, se no oscilliamo tra superbia e disperazione. Dunque la questione è scoprire i bisogni veri. Dobbiamo impegnarci con la nostra esperienza in modo libero. Questo metodo non è un aggiunta per appesantire la vita, ma ci permette di capire i nostri veri bisogni che nascono nell’esperienza che viviamo. L’umano è provocato a venire fuori. Senza realtà noi confonderemo i veri bisogni con delle immagini di noi stessi. 30 anni fa diceva don Giussani con stupore: quando dicevo queste cose non credevo che dopo 30 anni avrei dovuto dirle così tanto per farle comprendere a chi faceva parte della nostra storia da 10 anni. Non siamo seri con la realtà che le parole indicano. Il formalismo è sempre in agguato. Meno male che la realtà è testarda e continua a bussare alla nostra porta. Le ideologie sono troppo deboli di fronte alla concretezza della realtà. Dobbiamo renderci conto di cosa manca. Moravia: la noia per l’insufficienza del reale. Leopardi: il vuoto di significato. Ernesto Sabato : la mia vita è piena di una nostalgia a cui mai sono „arrivato“. Non ho potuto mai addomesticare la nostalgia. La nostalgia è per me uno struggimento mai soddisfatto. Questo sentimento di ciò che ci manca.  Così si scopre il criterio con cui questo uomo giudica tutto: la natura della nostra povertà. Come siamo bisognosi, questa nostalgia come uno sfondo invisibile con cui confrontiamo tutta la nostra vita. Sono solo esempi  per la drammaticità del vivere. Non dobbiamo complicare la nostra vita, ma scoprire i bisogni veri. Tutto serve, anche la delusione. Questa esaspera la  „sete“ (un altra immagine della povertà). Chi è il povero? Chi non ha nulla da difendere, se non la propria sete che non si è dato ed è proteso a riconoscere la risposta adesso. Per questo Gesù dice che i poveri sono beati. Essere poveri non è una disgrazia. Tutte le beatitudini sono dei sinonimi per parlare della povertà di spirito (don Giussani). Perché insistono don Giussani e il Papa sulla mancanza costitutiva? Sono fissati? Essa ci fa conoscere l’accento della Sua parola (di Cristo). Ciò che ci fa conoscere Cristo è la lealtà, sincerità di conoscere il portatore della risposta del Regno, il portatore della risposta alla povertà. Questa sete è la cosa più importante per noi cristiani. È nella misura in cui non ho senso di questa povertà non riconoscerò la risposta. Noi abbiamo la dimenticanza del senso religioso, perché Cristo ci ha incontrato ed amato. La samaritana ha subito percepito che Gesù poteva saziare la sua attesa. La sete si desta solo nell’incontro con Cristo - cioè è l’incontro che ci fa percepire la fede. L’incontro storico con questo uomo - il Figlio dell’uomo -  chiarifica l’’esistenza umana. Abbiamo un bisogno di Cristo „contemporaneo“ perché il senso religioso venga ridestato. Cosa succede quando si prende sul serio queste cose? Lettera: sono divorziata, tu sei fortunato, ho pensato più volte, che non hai avuto problemi veri con i tuoi genitori. Avevo sempre un obiezione pur avendo fatto un incontro eccezionale. La mia obiezione era una tarlo che mi perseguitava. Poi mi è successo nell’ultima sdc di sentire una tua frase che mi ha scosso: „impegnarsi nella realtà“, proprio in quella realtà in cui faccio una grande fatica. Mi aspettavo la felicità da momenti solari. Gesù era la compagnia o momenti di essa. Il Don Gius mi ha svegliata: il motivo per cui la gente crede senza credere o vive la compagnia in modo formalistico è perché  l’incontro eccezionale non incide, perché non vive la propria umanità. Non è impegnata con la propria coscienza e la propria umanità. Ho cominciato a respirare, quando ho capito questo. Quando Cristo entra lo riconosciamo subito. Cominciamo a respirare. Mi avevi fatto capire, mi ha scritto, il nodo della mia vita e d ho cominciato a prendere sul serio tutto di me: fatica e solitudine. Ogni mattina mi decido di prendere sul serio tutto, in modo particolare la mia fatica e la mia delusione, le mie paure e il mio sovraccarico di impegni. E ciò che capita quando si mette le mani in pasta, sapendo che non siamo mai soli. Quando si vince la lontananza da Cristo, si vince anche la lontananza degli altri. Adesso ho visto che i problemi non mi determinano più. Ultimamente mi dicono, dice sempre questa donna, una di voi, che sono diventata più bella anche se ho più di 50 anni. Voglio imparare il metodo del don Gus. Voglio che la vita diventi più gustosa. Prego per te che la Madonna ti sostenga. Non perché non ci sono più problemi cominciamo a respirare, ma ci apriamo a prendere sul serio la proposta.

Secondo passaggio. La povertà più profonda è bisogno di perdono. Siamo incapaci di costruire proprio dove siamo più coinvolti (famiglia, lavoro). Diventiamo giudici spietati di noi stessi, quando ci sbagliamo. Così da considerarci imperdonabili. Questa è la parte più terribile della nostra povertà e della nostra impotenza. Siamo come i poveri, i peccatori con cui ha a che fare con Gesù. Siamo nell’attesa di uno sguardo che ci faccia ripartite anche se non lo confessiamo neppure a noi stessi, proprio perché siamo circondati da una mentalità moralistica. Joachim Jeremias: ci sentiamo guardati come il pubblicano. Il pubblicano è sopraffatto dal dolore di essere cosi lontano da Dio. Lui e la sua famiglia sono senza speranza, deve restituire il denaro ma come può sapere quante persone ha imbrogliato. Tutto sembra troppo. Come aspettarci misericordia se abbiamo sbagliato così tanto?. I carcerati: e come se non riuscissimo a toglierci da dosso il male fatto. Anche il male che sappiamo solo noi. Papa Francesco identifica bene questa questione. Nessuno poteva credere a quel messaggio, a quel dito che lo indicava (Matteo). E come se il peccatore non potesse credere che la lontananza sia superabile. Non basta la presenza sentimentale piena di tenerezza di Gesù per fare l’esperienza del perdono. Dobbiamo arrenderci con tutta la nostra libertà al suo perdono. L’innominato: se c’è questo Dio cosa vuoi che faccia di  me? Non può che annientarmi. Il cardinale Federico: cosa può fare Dio di voi? Un segno della sua potenza e della sua bontà. UNA GLORIA CHE nessuno può fare di voi. Compiere in voi l’opera della redenzione. Dove compare la sua gloria in modo più esplicito che laddove un io pieno di se stesso può essere perdonato? Il volto dell’innominato si tese e cominciò a piangere. Dapprima una grande disperazione, poi è venuta una commozione più profonda. Si vede come la faccia da stravolta e confusa diventa attonita ed attenta. Senza la libertà però una tale esperienza di perdono non sarà mia. Noi non ci sostituiamo a Dio per salvarci da noi stessi. Questo però a volte non è così semplice. Dopo essersi confessato un personaggio di M. Manara  andava dall’abate a lamentarsi dai propri peccati. Possiamo uscire dal confessionale come siamo entrati: il peccato sembra essere più grande che il perdono. Soltanto lo stesso gesto della povertà può staccarmi da me stesso e farmi lieto perché Cristo vive. Dobbiamo cedere. I peccati non sono mai esisti. Solo Dio è! Per essere veramente liberi dai peccati confessati non basta confessarli,  dipende dalla chiarezza e dalla certezza che Cristo c’é e che Cristo è il perdono. Noi vogliamo che la salvezza sia acquisita da noi stessi e per questo siamo appesantiti. Gesù viene da Zaccheo, poi c’é bisogno di una mossa di Zaccheo. Per questo ill Papa ci dice che chi si sente colpevole deve imparare ad essere amato ed accettato. Accettare di essere così bisognosi da dipendere dalla misericordia di un altro. Niente in noi è sostegno. Dobbiamo accettare il perdono. Gesù sapeva che non poteva saltare la nostra libertà e per questo ci ha amato per prima. Senza libertà non vi è salvezza. In forza della misericordia vuole che cambiamo. Il primo cambiamento è cedere. La prima attività e una passività E quanto abbiamo bisogno di questa libertà di cui parla il Papa . Non siamo dei titani, non dobbiamo assumere una sfida solitaria di fronte al mondo . La morale cristiana non è titanismo, è risposta al primerear dell’amore di Cristo. Cristo è uno che conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso. La morale cristiana non è non cadere mai, ma alzarci sempre in forza della mano che ci solleva - come dice il Papa.

Terzo passo. Il mio cuore è lieto perché Cristo è vivo.. Il cristianesimo è risposta all’ insopportabilità di noi stessi, alla nostra debolezza clamorosa. Il cristianesimo è annuncio che la nostra debolezza è amata. Amare è affermare che un altro è la propria vita. Quanto più uno vede la miseria propria tanto più si accorge che un altro è la risposta al bisogno della propria vita. La risposta non è un discorso. Come ha fatto con i discepoli dopo la morte, Cristo non si accontenta di fare discorsi. Solo una presenza li ha consolati. I discepoli erano ancora insieme , uniti a porte chiuse, si ricordavano dei miracoli ma non bastava a fare passare la paura dell’adesso. L’avvenimento non è una qualcosa che è accaduto. Rende possibile il presente. Un altro presente. Volantone del 2011: qualcosa che ci viene dato adesso. Una risurrezione che accade ora. Fuori di questo ora non vi è niente. Il nostro io non può essere cambiato che attraverso una contemporaneità. Una storia particolare che accade ora non un discorso. Quando gli andavano indietro immaginate come erano colpiti (Andrea e Giovanni). Cristo è il primo nel senso qualitativo, non cronologico (Cristo, poi accade qualcosa d’altro). Fuori di questo „adesso“ non c’è niente. Per questo la fraternità per noi è il luogo dove siamo educati a questa povertà. Lettera: ho ceduto e sono andato al gruppo di comunità. Ho imparato che andavo li per essere povera. In questo luogo che è la fraternità o un gruppo di fraternità impariamo a vedere dal di dentro un rapporto vivente. La prima mossa dell’affezione è la presenza, non la realtà da possedere o ciò che dobbiamo fare. La moralità è vivere questa memoria. La sua presenza è la cosa più bella, più dolce della nostra vita. Non vi è nulla di più bello di stare con lui. Questa presenza ci cambia. Cosa introduce? La domanda come il confine ultimo della nostra libertà. Nella domanda si gioca la nostra libertà. Il tuo desiderio è la tua preghiera. Desiderare Cristo continuamente vuol dire pregare continuamente. Il nostro compito è una domanda continua. Se Cristo non fosse in grado di trasformare il nostro male allora non sarebbe Dio . Bernardo: non si cerca Dio con i passi dei piedi, ma con i desideri. La pienezza del gaudio è distruzione del desiderio? No,  è olio che la l’incendia . Siamo in cammino se il desiderio è cresciuto. Che l’avvenire sia qui senza cessare di essere avvenire, questa è la nostra preghiera. Lettera: gratitudine per la preferenza di Cristo per me. La mancanza è la cosa più cara che ho, anche se non sempre me ne accorgo . Intenzione per la Santa Messa: che ci ridesti la mancanza di Lui.

(questi appunti non sono ufficiali, sono stati scritti ascoltando don Carrón parlare e rivisti velocemente nel momento della riflessione personale)

15 commenti:

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