martedì 22 maggio 2012
Qual è il nostro "mestiere" quando il male ci sovrasta?
Anche quando scopriremo (speriamo presto) chi e perché ha messo la bomba fuori dalla scuola di Brindisi, si coprirà la ferita? E se anche scoprissimo tutte le ragioni geologiche e nascoste che hanno avviato il terremoto tra Emilia e Veneto, smetteremo di tremare? Comunque ci sarà chi continuerà a piangere. Ci sarà chi guarderà un vuoto dove c’era un pieno, un viso, un gesto. Questi fatti ci stordiscono. Ma in questo stordimento – proprio lì, nel non capir più niente, insomma, nel restare in quel tragico rimbambimento – possiamo acquistare una favilla di conoscenza? di sapienza? O si tratta solo di prendere botte dalla vita?
Dinanzi a fatti così non ci sono che due alternative: o si diventa più sapienti o i più fortunati – i meno investiti dalla forza dell’esplosione o dell’urto – rinforzano i ripari. In attesa di altre botte. Di altri guai. Lo diceva la fantastica spietata Lucia dei Promessi Sposi: io i guai non me li sono cercati. Per questo trovava carente il ragionamento di Renzo, il suo “bel moralista” (dice così il Manzoni educato sui testi dei moralisti francesi del 700, quelli accusati da Baudelaire d’esser la fonte di ogni equivoco). Renzo infatti dopo una faccenda di guai, di peste, di rapimenti e di amore ostacolato aveva sentenziato d’aver imparato una cosa importante: nella vita non bisogna cercar guai. Stare tranquilli, stare a posto. Non dare pretesto di lamento o di attacco a nessuno. Evitare i guai. Invece Lucia, la dona “però”, la vera avversaria del luogo comune, dice appunto: ma io i guai non me li sono cercati.
Melissa non ha cercato la bomba davanti alla scuola. Né i suoi genitori hanno cercato quel maledetto mattino. E gli operai morti nel ferrarese stavano lavorando, non cercando guai, quando il tetto è crollato loro addosso. E dunque, di fronte ai guai che arrivano non cercati – questi grandi tragici, enormi guai – o quelli anche più miseri, ma duri della vita di tutti, come si puà campare, come si può vivere? Cercando riparo? Certo, ma quando non c’è riparo? L’abisso ci tira per i piedi. Non chiede permesso di entrare nella misura della vita, nella trafila dei giorni a sconvolgerla.
Un Grande Ospite. Un terribile ospite. Davanti al grande Guaio non cercheremo di diventare più sapienti? Io non voglio accontentarmi della retorica dei rappresentanti delle Istituzioni. Né di quella dei giornalisti. Non voglio, non voglio che sian morti! grida Pascoli nella prefazione alla sua poesia. Voglio stare con questo grido. Seguitarlo, lanciarlo e continuare a lanciarlo. E seguirlo, veramente. Vedere dove mi porta. Se verso il nulla o verso una dismisura in cui la vita e la morte fanno parte di qualcosa di più grande.
Io voglio seguire il grido dei padri e delle madri e dei figli delle vittime, l’unica parola, o forse nemmeno parola, ma grido e forse persino in forma – povera, oscurata – di bestemmia. Voglio seguire quel resto di voce umana, non i discorsi preconfezionati. Vedere dove mi porta. A che sapienza maggiore. A scoprire che cosa. A vedere che cosa. Ai “moralisti” come Renzo Tramaglino lascio le chiacchiere di buon senso. I discorsi che tornano. I richiami etici. Io sto nel grido. Ci sono stato tante volte. Un grido vasto come il cielo. A cui solo il cielo se ha parola, se ha parola umanamente comprensibile, se ha gesto, se ha amicizia, se ha pietà, può rispondere. Lo faccia, Dio. Faccia il suo mestiere. Noi facciamo il nostro ora: che è quello di gridare verso di Lui.
Davide Rondoni
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