venerdì 14 gennaio 2011

Qui, perché il filo non si spezzi e perché questo è paradiso


HAITI UN ANNO DOPO: UN ABBRACCIO NUOVO

È passato un anno. Tempo di bilanci sembrerebbe, tempo per guardarsi indietro e dire cosa si è fatto e cosa non si è fatto, chi ha lavorato bene e chi no, di chi i meriti e di chi le colpe.

A noi del Vilaj Italyen di Haiti non interessa guardare indietro, vogliamo guardare avanti e per farlo capiamo che dobbiamo guardare all’istante che oggi ci è dato di vivere.

E così… guardiamo all’oggi, chiedendoci cosa ci ha tenuto qui in questi lunghi mesi, cosa ci ha fatto muovere sfidando l’impossibile della ricostruzione di un Paese da sempre devastato, cosa ci muove oggi davanti agli alti e bassi del colera. E perché continuiamo a proporre ai nostri amici di aiutarci e continuiamo, su un immondezzaio che sembrerebbe non aver futuro, a vivere le giornate con la nostra gente, indicando una strada, una speranza, un abbraccio nuovo.
Guardando il volto della mia gente, fermandomi a parlare con loro o prendendo in braccio i loro bimbi sporchi e nudi, è come se mi fosse data la possibilità di ripartire ogni giorno dall’unica ragione che può tenere una persona qui: la generosità ed il buonismo finiscono in fretta in un posto così.

Per cosa si resta e si continua a credere che anche qui sia possibile l’esperienza di felicità per l’uomo? Per Cristo, per l’Unico che questa condizione umana l’ha abbracciata come compito e l’ha vissuta fino in fondo, non rifiutando nulla di ciò che comportava.
Quale speranza avrebbe questa gente fuori dall’abbraccio di Cristo al proprio destino? Volti polverosi, consumati dalla fatica e dal dolore, senza una storia e senza un futuro. Volti che vagano nella notte in attesa non sanno neanche di cosa o di chi.

Volti che potrebbero gridare al tradimento, all’inganno. Perché nascere quaggiù custodendo nel cuore la promessa di felicità e il desiderio di buono, bello, giusto, può sembrare un inganno.

E se poi ti travolge un terremoto, vivi in una tendopoli, vedi morire i tuoi figli di fame, i tuoi amici di colera, beh, allora l’inganno diventa insopportabile ed il grido diventa rabbia e tutto viene distorto perché staccato dall’origine.

Allora non si resta qui a dire che bisogna essere buoni e che c’è soluzione a tutto, battendo una pacca sulla spalla e dicendo 'coraggio'. Si resta qui perché l’Origine riaccada per questa gente, perché il filo non si spezzi, perché Cristo possa usare della nostra povera umanità per abbracciare i suoi figli nel dolore. Ieri una suora che è venuta a trovarci, vedendomi circondata dai miei ragazzi, mi ha detto: «Ma tu qui sei in Paradiso». Sì, sono in Paradiso: si resta qui per questo.

Per che cosa si continua a lavorare?

Per Cristo

SUOR MARCELLA CATOZZA

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