lunedì 7 settembre 2015

Papa Angelus: ogni parrocchia ospiti famiglia di migranti. Non basta dire "coraggio, pazienza!"

 - AFP
Il dramma dei migranti scuota le coscienze: non basta dire “coraggio, pazienza!”: Il Papa all’Angelus ha chiesto gesti concreti di solidarietà a tutte le Chiese e i fedeli d’Europa, in vista del Giubileo della Misericordia.
PAPA FRANCESCO
ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 6 settembre 2015

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi (Mc 7,31-37) racconta la guarigione di un sordomuto da parte di Gesù, un evento prodigioso che mostra come Gesù ristabilisca la piena comunicazione dell’uomo con Dio e con gli altri uomini. Il miracolo è ambientato nella zona della Decapoli, cioè in pieno territorio pagano; pertanto quel sordomuto che viene portato da Gesù diventa simbolo del non-credente che compie un cammino verso la fede. Infatti la sua sordità esprime l’incapacità di ascoltare e di comprendere non solo le parole degli uomini, ma anche la Parola di Dio. E san Paolo ci ricorda che «la fede nasce dall’ascolto della predicazione» (Rm 10,17).
La prima cosa che Gesù fa è portare quell’uomo lontano dalla folla: non vuole dare pubblicità al gesto che sta per compiere, ma non vuole nemmeno che la sua parola sia coperta dal frastuono delle voci e delle chiacchiere dell’ambiente. La Parola di Dio che il Cristo ci trasmette ha bisogno di silenzio per essere accolta come Parola che risana, che riconcilia e ristabilisce la comunicazione.
Vengono poi evidenziati due gesti di Gesù. Egli tocca le orecchie e la lingua del sordomuto. Per ripristinare la relazione con quell’uomo “bloccato” nella comunicazione, cerca prima di ristabilire il contatto. Ma il miracolo è un dono dall’alto, che Gesù implora dal Padre; per questo alza gli occhi al cielo e comanda: “Apriti!”. E le orecchie del sordo si aprono, si scioglie il nodo della sua lingua e si mette a parlare correttamente (cfr v. 35).
L’insegnamento che traiamo da questo episodio è che Dio non è chiuso in sé stesso, ma si apre e si mette in comunicazione con l’umanità. Nella sua immensa misericordia, supera l’abisso dell’infinita differenza tra Lui e noi, e ci viene incontro. Per realizzare questa comunicazione con l’uomo, Dio si fa uomo: non gli basta parlarci mediante la legge e i profeti, ma si rende presente nella persona del suo Figlio, la Parola fatta carne. Gesù è il grande “costruttore di ponti”, che costruisce in sé stesso il grande ponte della comunione piena con il Padre.
Ma questo Vangelo ci parla anche di noi: spesso noi siamo ripiegati e chiusi in noi stessi, e creiamo tante isole inaccessibili e inospitali. Persino i rapporti umani più elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa… E questo non è di Dio! Questo è nostro, è il nostro peccato.
Eppure all’origine della nostra vita cristiana, nel Battesimo, ci sono proprio quel gesto e quella parola di Gesù: “Effatà! - Apriti!”. E il miracolo si è compiuto: siamo stati guariti dalla sordità dell’egoismo e dal mutismo della chiusura e del peccato, e siamo stati inseriti nella grande famiglia della Chiesa; possiamo ascoltare Dio che ci parla e comunicare la sua Parola a quanti non l’hanno mai ascoltata, o a chi l’ha dimenticata e sepolta sotto le spine delle preoccupazioni e degli inganni del mondo.
Chiediamo alla Vergine Santa, donna dell’ascolto e della testimonianza gioiosa, di sostenerci nell’impegno di professare la nostra fede e di comunicare le meraviglie del Signore a quanti incontriamo sul nostro cammino.
APPELLO
Cari fratelli e sorelle,
la Misericordia di Dio viene riconosciuta attraverso le nostre opere, come ci ha testimoniato la vita della beata Madre Teresa di Calcutta, di cui ieri abbiamo ricordato l’anniversario della morte.
Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere “prossimi”, dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio, pazienza!...”. La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura.
Pertanto, in prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Un gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia.
Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma.
Mi rivolgo ai miei fratelli Vescovi d’Europa, veri pastori, perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello, ricordando che Misericordia è il secondo nome dell’Amore: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Anche le due parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi.
Dopo l'Angelus:
Ora dirò una parola in spagnolo sulla situazione tra Venezuela e Colombia. En estos días, los Obispos de Venezuela y Colombia se han reunido para examinar juntos la dolorosa situación que se ha creado en la frontera entre ambos Países. Veo en este encuentro un claro signo de esperanza. Invito a todos, en particular a los amados pueblos venezolano y colombiano, a rezar para que, con un espíritu de solidaridad y fraternidad, se puedan superar las actuales dificultades.
Ieri, a Gerona in Spagna, sono state proclamate Beate Fidelia Oller, Giuseppa Monrabal e Faconda Margenat, religiose dell’Istituto delle Suore di San Giuseppe di Gerona, uccise per la fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Malgrado le minacce e le intimidazioni, queste donne rimasero coraggiosamente al loro posto per assistere i malati, confidando in Dio. La loro eroica testimonianza, fino all’effusione del sangue, dia forza e speranza a quanti oggi sono perseguitati a motivo della fede cristiana. E noi sappiamo che sono tanti.
Due giorni fa sono stati inaugurati a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, gli undecimi Giochi Africani, a cui partecipano migliaia di atleti da tutto il Continente. Auspico che questa grande festa dello sport contribuisca alla pace, alla fraternità e allo sviluppo di tutti i Paesi dell’Africa. Salutiamo gli africani che stanno facendo questi undecimi Giochi.
Saluto cordialmente tutti voi, cari pellegrini venuti dall’Italia e da vari Paesi; in particolare, la corale “Harmonia Nova” di Molvena, le Suore Figlie della Croce, i fedeli di San Martino Buon Albergo e Caldogno, e i giovani della diocesi di Ivrea, giunti a Roma a piedi sulla via Francigena.
A tutti auguro una buona domenica. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Un pensiero che faccia pensare attraverso di noi al mondo intero: AYLAN Kurdi

La foto del bambino che scuote il mondo: le tragedie in uno scatto
L'ultima immagine di Aylan ha inorridito e fatto piangere cittadini comuni, politici e uomini delle istituzioni di tutto il mondo. Suo fratello di 5 anni, Ghalib, e la madre, sono morti nello stesso modo: durante uno dei tanti viaggi della speranza per sfuggire alla guerra.

Un pensiero che faccia pensare attraverso di noi al mondo intero:

“Ho tre anni e mi chiamo Aylan e non ho bisogno delle vostre lacrime ipocrite.
Vi servite di me per voi stessi.
Alzatevi, muovetevi migliaia di bambini come me non vogliono,
come io non volevo, arenarsi senza  vita su una  spiaggia.
La tragedia di oggi, come sovente capita nella storia
Un bimbo morto come me, fa notizia; centomila bimbi come me fanno solo una statistica.
Non è possibile vivere in un mondo dove ora tutti si commuovono di questo bambino
e non hanno fatto nulla per fermare quello che poteva avvenire,
quello che chiunque diceva che sarebbe avvenuto in quella nazione in quella zona.
Sono morto annegato assieme a mia mamma e a mio fratello e sono arrabbiato.”
Perché nessuno è venuto a prendermi al di là del mare?
Perché nessuno è venuto a fermare la mano assassina che ci ha fatti fuggire?
Perché nessuno si è commosso prima?
Eppure come me muoiono ogni giorno.
Perché loro no e io si, sbattuti in prima pagina...

Loro  no e io si faccio piangere i potenti...?

domenica 6 settembre 2015

Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano - Domenica 6 settembre 2015

giornata creato 2015 scola duomo
Messa del creato
Is 63,7-17; Sal 79 (80); Eb 3,1-6; Gv 5, 37-47

 

Duomo di Milano

Domenica 6 settembre 2015




Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano



Carissime sorelle, carissimi fratelli in Cristo Gesù, qui presenti e che ci seguite attraverso i mezzi di comunicazione,

1. All’inizio dell’Assemblea liturgica abbiamo pregato con queste significative parole: «Dio onnipotente e provvido, che hai affidato all’uomo la terra perché ne fosse il custode saggio e il solerte operatore a gloria del tuo nome e a servizio dell’umanità presente e futura, svela ai tuoi figli la sapiente armonia che presiede e governa l’universo e dona loro di rispettarla religiosamente, trasformando la creazione con lavoro illuminato e fecondo». In esse è concentrato lo stile di vita con cui la giornata di oggi ci chiama a prenderci cura del creato. Ci è stato affidato perché ne siamo custodi saggi, solerti operatori a servizio dell’umanità presente e futura» (Orazione All’inizio dell’Assemblea liturgica) .
La Lettura, tratta dal profeta Isaia, è una supplica. In essa emerge il rapporto tra Dio autore del creato e le Sue creature. Dice infatti il profeta: «Dov’è colui che lo fece salire dal mare,… che divise le acque,… che li fece avanzare tra i flutti come un cavallo nella steppa,… come armento che scende per la valle…? Guarda dal cielo…» (Lettura, Is 63-11-15). «Il fremito delle tue viscere e della tua misericordia» reggono e sorreggono angeli, uomini, esseri viventi e cosmo intero… Tu sei nostro Padre» (Lettura, Is 63,15-16).
In questo abbraccio del Padre possiamo compiere quell’esperienza di unità che consente un rapporto costruttivo non solo con noi stessi, con gli altri e con Dio, ma anche con tutto il creato. Questo sguardo unitario è stata chiamato da Papa Francesco «ecologia integrale» (Laudato si’ (nn. 137-162). Sarà un aspetto importante dell’Anno Santo della Misericordia, un giubileo che domanda una relazione adeguata con tutte le creature.

2. Nel Salmo responsoriale ricorre il tema della vigna che il Signore pianta e lavora perché dia frutto. E questa vigna siamo noi. Nell’Epistola si parla della casa (Eb 3,6), dimora di cui siamo parte, prima in relazione a Mosè e poi a Gesù Cristo. Termini questi che ci riportano al tema del creato.
Papa Francesco con l’enciclica Laudato si’ colloca il tema del rapporto col creato all’interno di una visione dinamica. «Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso noi di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto» (Laudato si’, 83).
A questa consapevolezza noi veniamo educati dalla vita quotidiana della Chiesa, che fa del pane e del vino elementi essenziali dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. Questo armonico rapporto con il creato è un cammino niente affatto scontato, per il quale il Papa non teme di parlare di conversione (cfr Laudato si’, 217). Miliardi di uomini siamo chiamati a cambiare centinaia di comportamenti. Per mantenere viva questa urgenza di conversione ecologica il Papa, in comunione con la Chiesa Ortodossa, ha istituito La Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, che abbiamo celebrato per la prima volta lo scorso 1° settembre.


3. Come nutrire il pianeta? Come “uscire” incontro all’affamato e al povero per guardare con occhio semplice il cammino della famiglia umana? Come vivere adeguatamente il bisogno nostro e come condividere, in atteggiamento di ordinata accoglienza, quello degli altri come faceva Gesù? Come sostenere fattivamente quanti, fratelli cristiani, uomini delle religioni e costruttori di giustizia, vengono perseguitati? Come accogliere la misericordia di Dio che ci libera dal nostro peccato?
Sono domande che sgorgano da questa Giornata per la custodia del creato e rivelano quanto l’ecologia integrale ci chieda di avere gli stessi «sentimenti di Cristo» (Fil 2,5) e il suo stesso pensiero (cfr 1Cor 2,16). Eviteremo in tal modo di cadere sotto il severo monito di Gesù misericordioso: «Voi non volete venire a me per avere la vita» (Vangelo, Gv 5,40), perché «non avete in voi l’amore di Dio» (Vangelo, Gv 5,42).


4. Maria Nascente, aurora di salvezza, che festeggeremo tra due giorni come patrona del Duomo di Milano, aumenti in noi il desiderio di cercare, con tutte le nostre forze, il volto di Gesù che la Vergine ha intensamente contemplato. Amen.

sabato 5 settembre 2015

L'esperienza della Misericordia di Dio


 



           
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LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
CON LA QUALE SI CONCEDE L'INDULGENZA
IN OCCASIONE DEL GIUBILEO STRAORDINARIO DELLA MISERICORDIA

Al Venerato Fratello
Mons. Rino Fisichella
Presidente del Pontificio Consiglio
per la Promozione della Nuova Evangelizzazione
La vicinanza del Giubileo Straordinario della Misericordia mi permette di focalizzare alcuni punti sui quali ritengo importante intervenire per consentire che la celebrazione dell’Anno Santo sia per tutti i credenti un vero momento di incontro con la misericordia di Dio. È mio desiderio, infatti, che il Giubileo sia esperienza viva della vicinanza del Padre, quasi a voler toccare con mano la sua tenerezza, perché la fede di ogni credente si rinvigorisca e così la testimonianza diventi sempre più efficace.
Il mio pensiero va, in primo luogo, a tutti i fedeli che nelle singole Diocesi, o come pellegrini a Roma, vivranno la grazia del Giubileo. Desidero che l’indulgenza giubilare giunga per ognuno come genuina esperienza della misericordia di Dio, la quale a tutti va incontro con il volto del Padre che accoglie e perdona, dimenticando completamente il peccato commesso. Per vivere e ottenere l’indulgenza i fedeli sono chiamati a compiere un breve pellegrinaggio verso la Porta Santa, aperta in ogni Cattedrale o nelle chiese stabilite dal Vescovo diocesano, e nelle quattro Basiliche Papali a Roma, come segno del desiderio profondo di vera conversione. Ugualmente dispongo che nei Santuari dove si è aperta la Porta della Misericordia e nelle chiese che tradizionalmente sono identificate come Giubilari si possa ottenere l’indulgenza. È importante che questo momento sia unito, anzitutto, al Sacramento della Riconciliazione e alla celebrazione della santa Eucaristia con una riflessione sulla misericordia. Sarà necessario accompagnare queste celebrazioni con la professione di fede e con la preghiera per me e per le intenzioni che porto nel cuore per il bene della Chiesa e del mondo intero.
Penso, inoltre, a quanti per diversi motivi saranno impossibilitati a recarsi alla Porta Santa, in primo luogo gli ammalati e le persone anziane e sole, spesso in condizione di non poter uscire di casa. Per loro sarà di grande aiuto vivere la malattia e la sofferenza come esperienza di vicinanza al Signore che nel mistero della sua passione, morte e risurrezione indica la via maestra per dare senso al dolore e alla solitudine. Vivere con fede e gioiosa speranza questo momento di prova, ricevendo la comunione o partecipando alla santa Messa e alla preghiera comunitaria, anche attraverso i vari mezzi di comunicazione, sarà per loro il modo di ottenere l’indulgenza giubilare. Il mio pensiero va anche ai carcerati, che sperimentano la limitazione della loro libertà. Il Giubileo ha sempre costituito l’opportunità di una grande amnistia, destinata a coinvolgere tante persone che, pur meritevoli di pena, hanno tuttavia preso coscienza dell’ingiustizia compiuta e desiderano sinceramente inserirsi di nuovo nella società portando il loro contributo onesto. A tutti costoro giunga concretamente la misericordia del Padre che vuole stare vicino a chi ha più bisogno del suo perdono. Nelle cappelle delle carceri potranno ottenere l’indulgenza, e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà.
Ho chiesto che la Chiesa riscopra in questo tempo giubilare la ricchezza contenuta nelle opere di misericordia corporale e spirituale. L’esperienza della misericordia, infatti, diventa visibile nella testimonianza di segni concreti come Gesù stesso ci ha insegnato. Ogni volta che un fedele vivrà una o più di queste opere in prima persona otterrà certamente l’indulgenza giubilare. Di qui l’impegno a vivere della misericordia per ottenere la grazia del perdono completo ed esaustivo per la forza dell’amore del Padre che nessuno esclude. Si tratterà pertanto di un’indulgenza giubilare piena, frutto dell’evento stesso che viene celebrato e vissuto con fede, speranza e carità.
L’indulgenza giubilare, infine, può essere ottenuta anche per quanti sono defunti. A loro siamo legati per la testimonianza di fede e carità che ci hanno lasciato. Come li ricordiamo nella celebrazione eucaristica, così possiamo, nel grande mistero della comunione dei Santi, pregare per loro, perché il volto misericordioso del Padre li liberi da ogni residuo di colpa e possa stringerli a sé nella beatitudine che non ha fine.
Uno dei gravi problemi del nostro tempo è certamente il modificato rapporto con la vita. Una mentalità molto diffusa ha ormai fatto perdere la dovuta sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita. Il dramma dell’aborto è vissuto da alcuni con una consapevolezza superficiale, quasi non rendendosi conto del gravissimo male che un simile atto comporta. Molti altri, invece, pur vivendo questo momento come una sconfitta, ritengono di non avere altra strada da percorrere. Penso, in modo particolare, a tutte le donne che hanno fatto ricorso all’aborto. Conosco bene i condizionamenti che le hanno portate a questa decisione. So che è un dramma esistenziale e morale. Ho incontrato tante donne che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa. Ciò che è avvenuto è profondamente ingiusto; eppure, solo il comprenderlo nella sua verità può consentire di non perdere la speranza. Il perdono di Dio a chiunque è pentito non può essere negato, soprattutto quando con cuore sincero si accosta al Sacramento della Confessione per ottenere la riconciliazione con il Padre. Anche per questo motivo ho deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario, di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono. I sacerdoti si preparino a questo grande compito sapendo coniugare parole di genuina accoglienza con una riflessione che aiuti a comprendere il peccato commesso, e indicare un percorso di conversione autentica per giungere a cogliere il vero e generoso perdono del Padre che tutto rinnova con la sua presenza.
Un’ultima considerazione è rivolta a quei fedeli che per diversi motivi si sentono di frequentare le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X. Questo Anno giubilare della Misericordia non esclude nessuno. Da diverse parti, alcuni confratelli Vescovi mi hanno riferito della loro buona fede e pratica sacramentale, unita però al disagio di vivere una condizione pastoralmente difficile. Confido che nel prossimo futuro si possano trovare le soluzioni per recuperare la piena comunione con i sacerdoti e i superiori della Fraternità. Nel frattempo, mosso dall’esigenza di corrispondere al bene di questi fedeli, per mia propria disposizione stabilisco che quanti durante l’Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione presso i sacerdoti della Fraternità San Pio X, riceveranno validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati.
Confidando nell’intercessione della Madre della Misericordia, affido alla sua protezione la preparazione di questo Giubileo Straordinario.
Dal Vaticano, 1 settembre 2015
Francesco
 


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Francesco: nella Chiesa c'è una malattia, seminare divisione

Il Papa nella Cappella di Casa Santa Marta - OSS_ROM
Nella Chiesa c’è una malattia: quella di seminare divisione e zizzania. I cristiani, invece, sono chiamati a pacificare e riconciliare, come ha fatto Gesù: è quanto ha detto il Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. 
Semino pace o zizzania?
Nella Lettera ai Colossesi San Paolo mostra la carta d’identità di Gesù, che è il primogenito di Dio - ed è Dio stesso - e il Padre lo ha inviato per “riconciliare e pacificare”  l’umanità con Dio dopo il peccato. “La pace è opera di Gesù” – ha detto il Papa - di quel suo “abbassarsi per obbedire fino alla morte e morte di Croce". “E quando noi parliamo di pace o di riconciliazione, piccole paci, piccole riconciliazioni, dobbiamo pensare alla grande pace e alla grande riconciliazione” che “ha fatto Gesù. Senza di Lui non è possibile la pace. Senza di Lui non è possibile la riconciliazione”. “Il compito nostro” – ha sottolineato Papa Francesco – in mezzo alle “notizie di guerre, di odio, anche nelle famiglie” – è essere “uomini e donne di pace, uomini e donne di riconciliazione”:
“E ci farà bene domandarci: ‘Io semino pace? Per esempio, con la mia lingua, semino pace o semino zizzania?’. Quante volte abbiamo sentito dire di una persona: ‘Ma ha una lingua di serpente!’, perché sempre fa quello che ha fatto il serpente con Adamo ed Eva, ha distrutto la pace. E questo è un male, questa è una malattia nella nostra Chiesa: seminare la divisione, seminare l’odio, seminare non la pace. Ma questa è una domanda che tutti i giorni fa bene che noi ce la facciamo: ‘Io oggi ho seminato pace o ho seminato zizzania?’. ‘Ma, alle volte, si devono dire le cose perché quello e quella…’: con questo atteggiamento cosa semini tu?”.
Chi porta pace è santo, chi "chiacchiera" è come un terrorista
I cristiani, dunque, sono chiamati ad essere come Gesù, che “è venuto da noi per pacificare, per riconciliare”:
“Se una persona, durante la sua vita, non fa altra cosa che riconciliare e pacificare la si può canonizzare: quella persona è santa. Ma dobbiamo crescere in questo, dobbiamo convertirci: mai una parola che sia per dividere, mai, mai una parola che porti guerra, piccole guerre, mai le chiacchiere. Io penso: cosa sono le chiacchiere? Eh, niente, dire una parolina contro un altro o dire una storia: ‘Questo ha fatto…’. No! Fare chiacchiere è terrorismo perché quello che chiacchiera è come un terrorista che butta la bomba e se ne va, distrugge: con la lingua distrugge, non fa la pace. Ma è furbo, eh? Non è un terrorista suicida, no, no, lui si custodisce bene”.
Mordersi la lingua
Papa Francesco ripete una piccola esortazione:
“Ogni volta che mi viene in bocca di dire una cosa che è seminare zizzania e divisione e sparlare di un altro… Mordersi la lingua! Io vi assicuro, eh? Che se voi fate questo esercizio di mordersi la lingua invece di seminare zizzania, i primi tempi si gonfierà così la lingua, ferita, perché il diavolo ci aiuta a questo perché è il suo lavoro, è il suo mestiere: dividere”.
Quindi, la preghiera finale: “Signore tu hai dato la tua vita, dammi la grazia di pacificare, di riconciliare. Tu hai versato il tuo sangue, ma che non mi importi che si gonfi un po’ la lingua se mi mordo prima di sparlare di altri”.
 Sergio Centofanti

Francesco: Chiesa accolga senza giudicare, c'è posto per tutti

Papa Francesco all'udienza con le Cellule Parrocchiali di Evangelizzazione - ANSA
Accogliere tutti “senza giudicare nessuno”, perché la Chiesa è “casa paterna”, aperta a “buoni e cattivi” e c’è posto per tutti. Così Papa Francesco ricevendo in Aula Paolo VI circa 5 mila membri delle Cellule Parrocchiali di Evangelizzazione, organismo internazionale nato in Italia nella seconda metà degli anni ’80 grazie all’opera di don Piergiorgio ‘PiGi’ Perini, sacerdote milanese. Prima dell’incontro col Pontefice, sul tema “La gioia del Vangelo è una gioia missionaria”, i ‘cellulini’ hanno partecipato alla Santa Messa presieduta dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Presenti i cardinali Stanislaw Rylko, Francesco Coccopalmerio e Paolo Romeo. 
Accogliere tutti senza giudicare nessuno
Essere una comunità eucaristica dove “spezzare il pane” equivale a riconoscere la “reale presenza di Gesù Cristo in mezzo a noi”, testimoniando la “tenerezza” di Dio e la sua vicinanza ad ognuno, “soprattutto a chi è più debole e solo”. È un invito ad “accogliere tutti senza giudicare nessuno” quello che Papa Francesco ha lanciato alle Cellule Parrocchiali di Evangelizzazione, organismo riconosciuto dal Pontificio Consiglio per i Laici nell’aprile scorso, nella solennità della Divina Misericordia, e guidato dallo “zelo sacerdotale” di don ‘PiGi’ Perini:
“Il nostro giudice è il Signore e se ti viene in bocca di dire una parola di giudizio su uno o sull’altro, chiudi la bocca. Il Signore ci ha dato il consiglio: ‘Non giudicate e non sarete giudicati’. Convivere con la gente con semplicità, accogliere tutti”.
Perché accoglienza, ha aggiunto, è “offrire l’esperienza della presenza di Dio e dell’amore dei fratelli”:
“L’evangelizzazione sente forte l’esigenza dell’accoglienza, della vicinanza, perché è uno dei primi segni della comunione che siamo chiamati a testimoniare per avere incontrato Cristo nella nostra vita”.
Lo Spirito Santo spinge a percorrere sentieri poco conosciuti
In Aula Paolo VI, dei 4 mila ‘cellulini’ italiani e dei mille rappresentanti da tutto il mondo - tra cui alcuni provenienti da Cina, Brasile, Nuova Caledonia, Burkina Faso - il Papa che da sempre chiede alla Chiesa di essere aperta, ‘uscire’, farsi prossima a tutti ha ricordato la vocazione ad essere come “un seme mediante il quale la comunità parrocchiale si interroga sul suo essere missionaria”, sentendo “irresistibile” la chiamata a “incontrare tutti per annunciare la bellezza del Vangelo”.
“Questo desiderio missionario richiede, anzitutto, ascolto della voce dello Spirito Santo, che continua a parlare alla sua Chiesa e la spinge a percorrere sentieri a volte ancora poco conosciuti, ma decisivi per la via dell’evangelizzazione”.
Non avvenga che per custodire gli Statuti perdiate il carisma
Francesco ha quindi spiegato la “condizione” per essere fedeli alla Parola del Signore, cioè rimanere “sempre aperti” a tale ascolto e avere cura che “non si esaurisca mai per la stanchezza o le difficoltà del momento”: ciò, ha proseguito, è pure una spinta a superare i “vari ostacoli” che si incontrano nel cammino dell’evangelizzazione. Ai ‘cellulini’ ha quindi ricordato il riconoscimento dei loro Statuti nella domenica della Divina Misericordia:
“Gli Statuti aiutano a andare sulla strada, ma quello che fa l’opera è il carisma! Non avvenga che, per custodire tanto gli Statuti, perdiate il carisma”.
Aiutare la comunità parrocchiale a diventare una famiglia
Come le altre realtà ecclesiali, anche le Cellule aiutano la comunità parrocchiale a “diventare una famiglia” in cui si ritrova la “ricca e multiforme” realtà della Chiesa:
“Incontrarsi nelle case per condividere le gioie e le attese che sono presenti nel cuore di ogni persona, è un’esperienza genuina di evangelizzazione che assomiglia molto a quanto avveniva nei primi tempi della Chiesa”.
La Chiesa è casa paterna dove c'è posto per tutti
Uno stile di vita comunitaria, dunque, facendo dell’Eucaristia il “cuore” della missione di evangelizzazione, in modo da trovare sempre la forza per proporre la “bellezza” della fede: d’altra parte nell’Eucaristia, ha proseguito Francesco, facciamo esperienza “dell’amore che non conosce limiti” e diamo il “segno concreto che la Chiesa è ‘la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa’”:
“La Chiesa è la casa paterna. C’è posto per tutti: per tutti. E Gesù dice, nel Vangelo: ‘Chiamate buoni e cattivi, tutti, senza differenza’”.
Il servizio di Giada Aquilino   http://it.radiovaticana.va/

Mons. Negri: «Misericordia e verità non vanno contrapposte»

Mons Luigi Negri
MONS LUIGI NEGRI

Intervista sul significato teologico dell'Anno Santo Straordinario con l'arcivescovo di Ferrara-Comacchio

GIACOMO GALEAZZICITTA’ DEL VATICANO



Fin dalle origini del movimento ecclesiale “Gioventù studentesca” monsignor Luigi Negri è stato il braccio destro di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione. Dal 2012 è arcivescovo di Ferrara-Comacchio e abate di Pomposa dopo aver guidato per sette anni la diocesi di San Marino-Montefeltro. Filosofo, teologo, saggista, ha insegnato Introduzione alla teologia e Storia della filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Inoltre fa parte della commissione Cei per la Dottrina della fede e del dicastero vaticano per i Migranti oltre a presiedere la fondazione internazionale Giovanni  Paolo II per  il magistero sociale della Chiesa.


Monsignor Negri, cosa ha pensato quando ha ascoltato Papa Francesco annunciare un Anno Santo straordinario?

“Innanzitutto mi ha accompagnato, fin dai momenti iniziali della preparazione dell’anno straordinario della misericordia, un incremento di gratitudine verso il Santo Padre Francesco per l’occasione che offre all’intera Chiesa e, al di là di essa, a tanti uomini di buona volontà, di recuperare una dimensione fondamentale dello spirito umano, che si trova soltanto nella rivelazione cristiana e nell’esperienza della Chiesa, ovvero la sua definitiva rivelazione e la sua possibilità di autentica attuazione e di esperienza. Nella Chiesa, infatti, la misericordia, è un’esperienza di vita e non semplicemente un’esigenza o un desiderio o una tensione”.


Perché dedicare il Giubileo proprio alla misericordia?

“La misericordia agita positivamente la nostra vita e mobilita il nostro cuore soltanto se si capisce che essa, di cui possiamo e dobbiamo diventare protagonisti nella vita dei nostri fratelli cristiani e dei nostri fratelli uomini, è la conseguenza dell’aver accettato di essere stati fatti oggetto permanentemente dell’amore di Dio, nella vita e nella presenza del Signore Gesù Cristo. Questa misericordia, che ha investito e investe l’uomo, ha il suo aspetto più profondo e più radicale innanzitutto nella comunicazione della verità. Dio è misericordia perché rivela all’uomo tutta la verità su di Lui (Redemptor hominis n.10). La misericordia è l’apparire, davanti al cuore e alla coscienza dell’uomo - condizionato in molti modi e che sempre più spesso fa esperienza del proprio limite personale e sociale - del mondo nuovo di Dio. Il mondo nuovo di Dio avviene perché, in Gesù Cristo, il Signore usa misericordia nei confronti del suo popolo cioè lo coinvolge nel grande evento di verità che Gesù Cristo ha portato e porta in mezzo a noi”.


Lei come ne vive il significato?

“La mia misericordia verso gli uomini che mi circondano dovrà avere innanzitutto il volto di una capacità di annunzio, ovvero la mia misericordia prolunga nella vita degli uomini la misericordia di Dio perché apre davanti ad essi il sentiero limpido e forte di una vita vera, di una vita nella quale ognuno è chiamato a sperimentare, nella concretezza della carne, nella vita storica e reale, la novità dell’uomo Gesù Cristo. La misericordia certamente si connota poi di una capacità di coinvolgimento con gli uomini, di condivisione del loro destino, di corresponsabilità nei confronti della loro quotidianità, di attitudine a portare i pesi e le fatiche dell’esistenza ma perché, prima e fondamentalmente, è l’annunzio vivo che solo Cristo salva la vita e la salva sempre, in ogni momento”.


Anche nelle gerarchie cattoliche c’è chi teme che la misericordia possa contrapporsi alla dottrina. Vede questo pericolo?

“La contrapposizione, che si esprime quasi in un’alternativa, fra verità e misericordia è assolutamente improponibile e nasce da un equivoco nella concezione della misericordia e da un non minore equivoco della concezione della verità. Come ho scritto nella mia ultima lettera pastorale: “Ancora una volta ribadisco che la contrapposizione astratta di verità e misericordia – di cui tanto si è servita la mentalità laicistica e massmediatica in questo anno – è assolutamente errata. La grandezza della fede si esprime nell’unità di carità e di verità e culmina nella misericordia. Su questo punto chiedo ai nostri cristiani e alle nostre comunità una revisione critica e attenta, anche delle esperienze pastorali che fossero in atto o che stiamo facendo nascere” (Un popolo che appartiene a Dio, Riflessioni sulla Lettera pastorale “Collaboratori della vostra gioia” 2015). «Quello che voi adorate senza conoscere io ve lo annuncio» (At 17, 23), disse San Paolo nell’Areopago, e noi ci aggiriamo negli areopaghi del nostro tempo con la stessa sicura baldanza di San Paolo che, a quella gente, volle dire e far conoscere la misericordia di Dio verso tutti gli uomini. A quella gente San Paolo volle annunciare il compimento della loro domanda religiosa, di senso, di verità, di bellezza e di giustizia che non avrebbe potuto trovare compimento unicamente sul piano delle proprie esigenze e capacità umane”.


Da teologo quale lettura ritiene giusto dare?

“È l’orizzonte trasformato di questa vita che è chiamato a dire a tutti gli uomini: «la misericordia è Cristo». Cristo che si piega su ciascuno e gli rivela la sua natura vera, il suo destino, consentendogli di vivere la vita umana come partecipazione alla vita di Dio e come comunicazione della stessa a tutti gli uomini. Così il tema della misericordia si anima nella mia vita personale, nella mia riflessione, nel mio servizio episcopale, al rinnovarsi di una missione autentica. La misericordia sta nel mondo per la fede e si comunica al mondo attraverso la testimonianza dei cristiani, fino agli estremi confini del mondo, e senza ritirarsi di fronte a nessuna possibilità di martirio che, se pur terribile, è sfolgorante di gloria e al quale, ogni giorno, siamo chiamati ad assistere con sgomento e con gratitudine”.


Il Giubileo è ancora uno strumento utile per l’evangelizzazione?

“Io credo che l’anno giubilare della misericordia sarà un anno importante perché tutta la Chiesa e ogni cristiano e, al di là di esso, ogni singolo uomo e donna potranno risentire l’impeto verso la vita nuova che noi portiamo dentro, per il fatto stesso che nasciamo, e che costituisce il contenuto profondo dell’intelligenza e del cuore che, di fatto, è l’inesausto tentativo di arrivare alla verità ultima nella quale la vita umana si quieta. Tale quiete non va intesa però come comodità ma come inesorabile capacità di annuncio, ad ogni uomo di ogni tempo, della grande misericordia di Dio che è Gesù Cristo”.


 Lei come attua la “lezione giubilare” di Francesco nella sua arcidiocesi?

“Desidero per me, e per i miei figli e figlie della chiesa di Ferrara - Comacchio, che riprendiamo il senso della grandezza del sacramento della riconciliazione, in cui la misericordia di Cristo si fa carne e sangue, si fa capacità di accogliere il nostro male e di trasformarlo in nuova possibilità di vita e di verità. Desidero che recuperiamo il senso del nostro limite che tende a sostituire a Cristo altri dei, e che sappiamo accostaci al luogo del sacramento come luogo del giudizio che diventa perdono. In questo perdono sperimenteremo così, nell’inesorabilità della carne e del sangue, che la vita nuova non è una astrazione e non è soltanto il premio finale, ma è il contenuto di un cammino che, quotidianamente, ci rende sempre meno lontani dall’esperienza della risurrezione: «Cristo in voi speranza della gloria» (Col 1,27)”.