venerdì 7 giugno 2013

Papa Francesco ai giovani delle Scuole dei Gesuiti: abbiate un cuore grande, trovatelo in Gesù

Il cuore aperto alla magnanimità orientata in Cristo, la ricerca di nuove forme di educazione non convenzionali, le sfide in politica per i cristiani, la povertà che avvicina a Gesù: questi i temi principali al centro dell’incontro di Papa Francesco, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, con circa 8mila studenti delle Scuole dei Gesuiti in Italia e in Albania. Tanto l’affetto e la gioia dei ragazzi che hanno sollecitato il Papa con le loro domande e Francesco, rompendo ogni schema, ha avviato un dialogo diretto con i giovani.

“Ho preparato questo per dirvi … ma, sono cinque pagine! Un po’ noioso … Facciamo una cosa: io farò un piccolo riassunto e poi consegnerò questo, per iscritto, al padre provinciale, lo darò anche al padre Lombardi, perché tutti voi lo abbiate per iscritto. E poi, c’è la possibilità che alcuni di voi facciano una domanda, e possiamo fare un piccolo dialogo. Ci piace questo, o no? Sì? Bene. Andiamo su questa strada”.

Così il Papa oggi ha rotto ogni schema davanti all’affetto, gli applausi, le risate. Francesco, prima di iniziare a dialogare con i ragazzi, ha parlato della “magnanimità” che apre il cuore e forma la persona:

“Noi dobbiamo essere magnanimi, con il cuore grande, senza paura. Scommettere sempre sui grandi ideali. Ma anche magnanimità con le cose piccole, con le cose quotidiane. Il cuore largo, il cuore grande … E questa magnanimità è importante trovarla con Gesù, nella contemplazione di Gesù. Gesù è quello che ci apre le finestre all’orizzonte. Magnanimità significa camminare con Gesù, con il cuore attento a quello che Gesù ci dice”.

Agli educatori e ai genitori ha ribadito la centralità della libertà, la necessità di bilanciare quei passi che ha definito tra “la sicurezza e la zona di rischio” e li ha incoraggiati a cercare nuove forme di “educazione non convenzionali, secondo la necessità di luoghi, tempi e persone”. Poi le domande dei ragazzi, il primo Francesco:

“Io cerco di essere fedele. Però, ho delle difficoltà. Ti volevo chiedere qualche parola per sostenermi in questa crescita e sostenere tutti i ragazzi come me”.

“Camminare è proprio l’arte di guardare l’orizzonte - ha detto il Papa -, pensare dove io voglio andare ma anche sopportare la stanchezza del cammino” e restare fedele a questo. Quindi, Papa Francesco invita a non avere “paura dei fallimenti, non avere paura delle cadute”:

“Nell’arte di camminare, quello che importa non è di non cadere, ma di non rimanere caduti. Alzarsi presto, subito, e continuare ad andare. E questo è bello: questo è lavorare tutti i giorni, questo è camminare umanamente. Ma anche, è brutto camminare da soli: brutto e noioso. Camminare in comunità con gli amici, con quelli che ci vogliono bene, questo ci aiuta, ci aiuta ad arrivare proprio alla meta a cui noi dobbiamo arrivare”.

La piccola Sofia ha chiesto a Papa Francesco se vede ancora gli amici:

“Ma, io sono Papa da due mesi e mezzo … I miei amici sono a 14 ore di aereo da qui, sono lontani. Ma voglio dirti una cosa: sono venuti tre, di loro, a trovarmi e a salutarmi, e li vedo e mi scrivono e voglio loro tanto bene. Non si può vivere senza amici”.

In un’atmosfera divertita Teresa ha domandato: “Ma volevi fare il Papa?”

“Ma, tu sai che cosa significa che una persona non voglia tanto bene a se stessa? Una persona che vuole, che ha voglia di fare il Papa, non vuole bene a se stessa, eh?, Dio non lo benedice, eh? No, io non ho voluto fare il Papa…”.

Mi piaceva la missionarietà dei Gesuiti. Così ha replicato sul perché della scelta vocazionale, poi ancora domande sulla decisione di vivere a Santa Marta in Vaticano, più in povertà:

“Ma, credo che non è soltanto una cosa di ricchezza. Per me è un problema di personalità … Io ho necessità di vivere fra la gente, e se io vivessi solo, forse un po’ isolato, non mi farebbe bene. Ma questa domanda me l’ha fatta un professore: ‘Ma perché lei non va ad abitare là?’. Io ho risposto: ‘Ma, mi senta, professore: per motivi psichiatrici’, eh? Perché, ma … è la mia personalità”.

Papa Francesco ha ribadito che la povertà nel mondo è uno scandalo, “un grido” in un mondo dove ci sono tante ricchezze, tante risorse” per “tutti”. “Non si può capire come ci siano tanti bambini affamati – ha stigmatizzato - ci siano tanti bambini senza educazione, tanti poveri”. “Tutti noi dobbiamo pensare se possiamo diventare un po’ più poveri”, “per assomigliare meglio a Gesù”. Dopo i ragazzi hanno chiesto se fosse stato difficile seguire la vocazione, lasciare tutto e tutti:

“Ci sono difficoltà. Ma è tanto bello seguire Gesù, andare sulla strada di Gesù, che tu poi bilanci e vai avanti. E poi arrivano momenti più belli. Ma nessuno deve pensare che nella vita non ci saranno le difficoltà. Anche io vorrei fare una domanda, adesso: come pensate voi di andare avanti con le difficoltà? Non è facile! Ma dobbiamo andare avanti con forza e con fiducia nel Signore: con il Signore, tutto si può”.

Il Santo Padre ha poi incoraggiato i giovani e parlando delle difficoltà che vive il mondo è tornando a sottolineare che “la crisi che in questo momento stiamo vivendo è una crisi della persona” perché “oggi non conta la persona”, ma “contano i soldi, conta il denaro”. E quindi è necessario “liberarci di queste strutture economiche e sociali che ci schiavizzano”. Il sorriso dei ragazzi è esploso quando il Papa, rispondendo alla curiosità di Francesco, ha spiegato che non è mai stato in Sicilia, “per ora”, ma che conosce la “bellissima regione” grazie al film Kaos ispirato a quattro racconti i Pirandello. Quindi sollecitato sul compito dei cristiani in politica, ha spiegato che è un dovere lavorare per il bene comune:

“Coinvolgersi nella politica è un obbligo, per un cristiano. Noi cristiani non possiamo giocare da Pilato, lavarci le mani: non possiamo. Dobbiamo immischiarci nella politica, perché la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. E i laici cristiani devono lavorare in politica. Lei mi dirà: ‘Ma, non è facile’. Ma neppure facile è diventare prete. Non ci sono cose facili, nella vita: non è facile. La politica è troppo sporca, ma io mi domando: è sporca, perché? Perché i cristiani non si sono immischiati con lo spirito evangelico? … è facile dire ‘la colpa è di quello’. Ma io, cosa faccio? Ma, è un dovere! Lavorare per il bene comune, è un dovere di un cristiano! E tante volte la strada per lavorare è la politica”. 

Dunque Francesco è tornato a parlare direttamente ai giovani e sollecitato più volte sui mali della società, ha alzato lo sguardo sul cuore dell’uomo:

“Non lasciatevi rubare la speranza. Per favore: non lasciatevela rubare. E chi ti ruba la speranza? Lo spirito del mondo, le ricchezze, lo spirito della vanità, la superbia, l’orgoglio … tutte queste cose ti rubano la speranza. Dove trovo la speranza? In Gesù povero: Gesù che si è fatto povero per noi. E tu hai parlato di povertà. La povertà ci chiama a seminare speranza”. 
Con forza ha rimarcato la centralità dell’esperienza:

“Non si può parlare di povertà, di povertà astratta: quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste … Andare, guardare laggiù la carne di Gesù. Ma non lasciatevi rubare la speranza dal benessere, dallo spirito del benessere che alla fine ti porta a diventare un niente nella vita! Il giovane deve scommettere su alti ideali: questo è il consiglio. Ma la speranza, dove la trovo? Nella carne di Gesù sofferente e nella vera povertà. C’è un collegamento tra i due”. 
Poi ancora i canti, gli applausi, la commozione e la gioia, che hanno accolto Papa Francesco, lo hanno salutato al termine di questo incontro straordinario con i giovani delle Scuole dei Gesuiti in Italia e in Albania.

Massimiliano Menichetti:
http://it.radiovaticana.va

La scuola serve ad imparare la libertà e il servizio

papa-francesco 
Il testo integrale del discorso del Papa ai giovani delle Scuole dei Gesuiti, sostituito dal discorso a braccio, ma dato per letto

Cari ragazzi, cari giovani!
sono contento di ricevervi con le vostre famiglie, gli educatori e gli amici della grande famiglia delle Scuole dei Gesuiti italiani e d’Albania. A voi tutti il mio affettuoso saluto: benvenuti! Con tutti voi mi sento veramente “in famiglia”. Ed è motivo di particolare gioia la coincidenza di questo nostro incontro con la solennità del Sacro Cuore di Gesù.

Vorrei dirvi anzitutto una cosa che si riferisce a Sant’Ignazio di Loyola, il nostro fondatore. Nell’autunno del 1537, andando a Roma con il gruppo dei suoi primi compagni si chiese: se ci domanderanno chi siamo, che cosa risponderemo? Venne spontanea la risposta: «Diremo che siamo la “Compagnia di Gesù”!» (Fontes Narrativi Societatis Iesu, vol. 1, pp. 320-322). Un nome impegnativo, che voleva indicare un rapporto di strettissima amicizia, di affetto totale per Gesù di cui volevano seguire le orme. Perché vi ho raccontato questo fatto? Perché sant’Ignazio e i suoi compagni avevano capito che Gesù insegnava loro come vivere bene, come realizzare un’esistenza che abbia un senso profondo, che doni entusiasmo, gioia e speranza; avevano capito che Gesù è un grande maestro di vita e un modello di vita, e che non solamente insegnava loro, ma li invitava anche a seguirlo su questa strada.

Cari ragazzi, se adesso vi facessi la domanda: perché andate a scuola, che cosa mi rispondereste? Probabilmente ci sarebbero molte risposte secondo la sensibilità di ciascuno. Ma penso che si potrebbe riassumere il tutto dicendo che la scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere, per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita. Come vi aiuta a crescere la scuola? Vi aiuta non solo nello sviluppare la vostra intelligenza, ma per una formazione integrale di tutte le componenti della vostra personalità.

Seguendo ciò che ci insegna sant’Ignazio, nella scuola l’elemento principale è imparare ad essere magnanimi. La magnanimità: questa virtù del grande e del piccolo (Non coerceri maximo contineri minimo, divinum est), che ci fa guardare sempre l’orizzonte. Che cosa vuol dire essere magnanimi? Vuol dire avere il cuore grande, avere grandezza d’animo, vuol dire avere grandi ideali, il desiderio di compiere grandi cose per rispondere a ciò che Dio ci chiede, e proprio per questo compiere bene le cose di ogni giorno, tutte le azioni quotidiane, gli impegni, gli incontri con le persone; fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande aperto a Dio e agli altri. E’ importante allora curare la formazione umana finalizzata alla magnanimità. La scuola non allarga solo la vostra dimensione intellettuale, ma anche umana. E penso che in modo particolare le scuole dei Gesuiti sono attente a sviluppare le virtù umane: la lealtà, il rispetto, la fedeltà, l’impegno. Vorrei fermarmi su due valori fondamentali: la libertà e il servizio. Anzitutto: siate persone libere! Che cosa voglio dire? Forse si pensa che libertà sia fare tutto ciò che si vuole; oppure avventurarsi in esperienze-limite per provare l’ebbrezza e vincere la noia. Questa non è libertà. Libertà vuol dire saper riflettere su quello che facciamo, saper valutare ciò che è bene e ciò che è male, quelli che sono i comportamenti che fanno crescere, vuol dire scegliere sempre il bene. Noi siamo liberi per il bene. E in questo non abbiate paura di andare controcorrente, anche se non è facile! Essere liberi per scegliere sempre il bene è impegnativo, ma vi renderà persone che hanno la spina dorsale, che sanno affrontare la vita, persone con coraggio e pazienza (parresia e ypomoné). La seconda parola è servizio. Nelle vostre scuole voi partecipate a varie attività che vi abituano a non chiudervi in voi stessi o nel vostro piccolo mondo, ma ad aprirvi agli altri, specialmente ai più poveri e bisognosi, a lavorare per migliorare il mondo in cui viviamo. Siate uomini e donne con gli altri e per gli altri, dei veri campioni nel servizio agli altri.
Per essere magnanimi con libertà interiore e spirito di servizio è necessaria la formazione spirituale. Cari ragazzi, cari giovani, amate sempre di più Gesù Cristo! La nostra vita è una risposta alla sua chiamata e voi sarete felici e costruirete bene la vostra vita se saprete rispondere a questa chiamata. Sentite la presenza del Signore nella vostra vita. Egli è vicino a ognuno di voi come compagno, come amico, che vi sa aiutare e comprendere, che vi incoraggia nei momenti difficili e mai vi abbandona. Nella preghiera, nel dialogo con Lui, nella lettura della Bibbia, scoprirete che Lui vi è veramente vicino. E imparate anche a leggere i segni di Dio nella vostra vita. Egli ci parla sempre, anche attraverso i fatti del nostro tempo e della nostra esistenza di ogni giorno; sta a noi ascoltarlo.

Non voglio essere troppo lungo, ma una parola specifica vorrei rivolgerla anche agli educatori: ai Gesuiti, agli insegnanti, agli operatori delle vostre scuole e ai genitori. Non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà che la sfida educativa presenta! Educare non è un mestiere, ma un atteggiamento, un modo di essere; per educare bisogna uscire da se stessi e stare in mezzo ai giovani, accompagnarli nelle tappe della loro crescita mettendosi al loro fianco. Donate loro speranza, ottimismo per il loro cammino nel mondo. Insegnate a vedere la bellezza e la bontà della creazione e dell’uomo, che conserva sempre l’impronta del Creatore. Ma soprattutto siate testimoni con la vostra vita di quello che comunicate. Un educatore - Gesuita, insegnante, operatore, genitore - trasmette conoscenze, valori con le sue parole, ma sarà incisivo sui ragazzi se accompagnerà le parole con la sua testimonianza, con la sua coerenza di vita. Senza coerenza non è possibile educare! Tutti siete educatori, non ci sono deleghe in questo campo. La collaborazione allora in spirito di unità e di comunità tra le diverse componenti educative è essenziale e va favorita e alimentata. Il collegio può e deve fare da catalizzatore, esser luogo di incontro e di convergenza dell’intera comunità educante con l’unico obiettivo di formare, aiutare a crescere come persone mature, semplici, competenti ed oneste, che sappiano amare con fedeltà, che sappiano vivere la vita come risposta alla vocazione di Dio, e la futura professione come servizio alla società. Ai Gesuiti poi vorrei dire che è importante alimentare il loro impegno nel campo educativo. Le scuole sono uno strumento prezioso per dare un apporto al cammino della Chiesa e dell’intera società. Il campo educativo, poi, non si limita alla scuola convenzionale. Incoraggiatevi a cercare nuove forme di educazione non convenzionali secondo “le necessità dei luoghi, dei tempi e delle persone”.

Infine un saluto a tutti gli ex-alunni presenti, ai rappresentanti delle scuole italiane della Rete di Fe y Alegria, che conosco bene per il grande lavoro che compie in Sud America, specialmente tra i ceti più poveri. E un saluto particolare alla delegazione del Collegio albanese di Scutari, che
dopo i lunghi anni di repressione delle istituzioni religiose, dal 1994 ha ripreso la sua attività, accogliendo ed educando ragazzi cattolici, ortodossi, musulmani e anche alcuni alunni nati in contesti familiari agnostici. Così la scuola diventa un luogo di dialogo e di sereno confronto, per promuovere atteggiamenti di rispetto, ascolto, amicizia e spirito di collaborazione.
Cari amici, vi ringrazio tutti per questo incontro. Vi affido alla materna intercessione di Maria e vi accompagno con la mia benedizione: il Signore vi è sempre vicino, vi rialza dalle cadute e vi spinge a crescere e a compiere scelte sempre più alte “con grande ánimo y liberalidad”, con magnanimità. Ad Maiorem Dei Gloriam.

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giovedì 6 giugno 2013

Il carrierismo è una lebbra, siate uomini interiormente liberi: così il Papa ai futuri diplomatici vaticani


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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALLA COMUNITÀ DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA
Sala Clementina
Giovedì, 6 giugno 2013


Caro Fratello nell’episcopato,
cari sacerdoti,
care suore,
amici.
Rivolgo a tutti il più cordiale benvenuto! Saluto cordialmente il vostro Presidente, Mons. Beniamino Stella, e lo ringrazio per le amabili parole che mi ha indirizzato a nome vostro, facendo memoria delle gradite visite che ho potuto rendere in passato alla vostra Casa. Ricordo anche la cordiale insistenza con cui Mons. Stella mi convinse, ormai due anni orsono, ad inviare all’Accademia un sacerdote dell’arcidiocesi di Buenos Aires! Monsignor Stella sa bussare alle porte! Un grato pensiero rivolgo anche ai suoi collaboratori, alle Suore e al personale, che offrono il loro generoso servizio presso la vostra comunità.
Cari amici, voi vi state preparando ad un ministero di particolare impegno, che vi porrà a servizio diretto del Successore di Pietro, del suo carisma di unità e comunione, e della sua sollecitudine per tutte le Chiese. Quello che si presta nelle Rappresentanze Pontificie è un lavoro che richiede, come del resto ogni tipo di ministero sacerdotale, una grande libertà interiore, grande libertà interiore. Vivete questi anni della vostra preparazione con impegno, generosità e grandezza d’animo, affinché questa libertà possa davvero prendere forma in voi!
Ma che cosa significa avere libertà interiore?
Anzitutto significa essere liberi da progetti personali, essere liberi da progetti personali, da alcune delle modalità concrete con le quali forse, un giorno, avevate pensato di vivere il vostro sacerdozio, dalla possibilità di programmare il futuro; dalla prospettiva di permanere a lungo in un “vostro” luogo di azione pastorale. Significa rendervi liberi, in qualche modo, anche rispetto alla cultura e alla mentalità dalla quale provenite, non per dimenticarla e tanto meno per rinnegarla, ma per aprirvi, nella carità, alla comprensione di culture diverse e all’incontro con uomini appartenenti a mondi anche molto lontani dal vostro. Soprattutto, significa vigilare per essere liberi da ambizioni o mire personali, che tanto male possono procurare alla Chiesa, avendo cura di mettere sempre al primo posto non la vostra realizzazione, o il riconoscimento che potreste ricevere dentro e fuori la comunità ecclesiale, ma il bene superiore della causa del Vangelo e il compimento della missione che vi sarà affidata. E questo essere liberi da ambizioni o mire personali per me è importante, è importante. Il carrierismo è una lebbra, una lebbra. Per favore: niente carrierismo. Per questo motivo, dovrete essere disposti ad integrare ogni vostra visione di Chiesa, pure legittima, ogni personale idea o giudizio, nell’orizzonte dello sguardo di Pietro e della sua peculiare missione al servizio della comunione e dell’unità del gregge di Cristo, della sua carità pastorale, che abbraccia il mondo intero e che, anche grazie all’azione delle Rappresentanze Pontificie, vuole rendersi presente soprattutto in quei luoghi, spesso dimenticati, dove maggiori sono le necessità della Chiesa e dell’umanità.
In una parola, il ministero al quale vi preparate - perché voi vi preparate a un ministero! Non a una professione, a un ministero - questo ministero vi chiede un uscire da voi stessi, un distacco da sé che può essere raggiunto unicamente attraverso un intenso cammino spirituale e una seria unificazione della vita attorno al mistero dell’amore di Dio e all’imperscrutabile disegno della sua chiamata. Nella luce della fede, noi possiamo vivere la libertà dai nostri progetti e dalla nostra volontà non come motivo di frustrazione o di svuotamento, ma come apertura al dono sovrabbondante di Dio, che rende fecondo il nostro sacerdozio. Vivere il ministero a servizio del Successore di Pietro e delle Chiese a cui sarete inviati, potrà apparire esigente, ma vi permetterà, per così dire, di essere e di respirare nel cuore della Chiesa, della sua cattolicità. E questo costituisce un dono speciale, poiché, come ricordava proprio alla vostra comunità il Papa Benedetto XVI, «laddove c’è apertura all’oggettività della cattolicità, lì c’è anche il principio di autentica personalizzazione» (Discorso alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, 10 giugno 2011).
Abbiate grande cura della vita spirituale, che è la sorgente della libertà interiore. Senza preghiera non c'è libertà interiore. Potrete fare tesoro prezioso degli strumenti di conformazione a Cristo propri della spiritualità sacerdotale, coltivando la vita di preghiera e facendo del vostro lavoro quotidiano la palestra della vostra santificazione. Mi piace ricordare qui la figura del Beato Giovanni XXIII, del quale abbiamo celebrato pochi giorni fa il cinquantesimo anniversario della morte: il suo servizio come Rappresentante Pontificio è stato uno degli ambiti, e non il meno significativo, nei quali la sua santità ha preso forma. Rileggendo i suoi scritti, impressiona la cura che egli sempre pose nel custodire la propria anima, in mezzo alle più svariate occupazioni in campo ecclesiale e politico. Da qui nascevano la sua libertà interiore, la letizia che trasmetteva esternamente, e la stessa efficacia della sua azione pastorale e diplomatica. Così annotava nel Giornale dell’Anima, durante gli Esercizi spirituali del 1948, mentre era Nunzio a Parigi: «Più mi faccio maturo d’anni e di esperienze, e più riconosco che la via più sicura per la mia santificazione personale e per il miglior successo del mio servizio della Santa Sede, resta lo sforzo vigilante di ridurre tutto, principi, indirizzi, posizioni, affari, al massimo di semplicità e di calma; con attenzione a potare sempre la mia vigna di ciò che è solo fogliame inutile… ed andare diritto a ciò che è verità, giustizia, carità, soprattutto carità. Ogni altro sistema di fare, non è che posa e ricerca di affermazione personale, che presto si tradisce e diventa ingombrante e ridicolo» (Cinisello Balsamo 2000, p. 497). Lui voleva potare la sua vigna, cacciare via il fogliame, potare. E qualche anno dopo, giunto al termine del suo lungo servizio come Rappresentante Pontificio, ormai Patriarca di Venezia, così scriveva: «Ora io mi trovo in pieno ministero diretto delle anime. In verità ho sempre ritenuto che per un ecclesiastico la diplomazia così detta deve sempre essere permeata di spirito pastorale; diversamente non conta nulla, e volge al ridicolo una missione santa» (ibid.,pp. 513-514). E questo è importante. Sentite bene: quando in Nunziatura c'è un Segretario o un Nunzio che non va per la via della santità e si lascia coinvolgere nelle tante forme, nelle tante maniere di mondanità spirituale si rende ridicolo e tutti ridono di lui. Per favore, non rendetevi ridicoli: o santi o tornate in diocesi a fare il parroco; ma non siate ridicoli nella vita diplomatica, dove per un sacerdote vi sono tanti pericoli per la vita spirituale.
Una parola vorrei dirla anche alle Suore - grazie! - che svolgono con spirito religioso e francescano il loro servizio quotidiano in mezzo a voi. Sono delle buone Madri che vi accompagnano con la preghiera, con le loro parole semplici ed essenziali e soprattutto con l’esempio di fedeltà, di dedizione e di amore. Insieme a loro vorrei ringraziare il personale laico che lavora nella Casa. Sono presenze nascoste, ma importanti che vi permettono di vivere con serenità e impegno il vostro tempo in Accademia.
Cari sacerdoti, vi auguro di intraprendere il servizio alla Santa Sede con lo stesso spirito del Beato Giovanni XXIII. Vi chiedo di pregare per me e vi affido alla custodia della Vergine Maria e di Sant’Antonio Abate vostro patrono. Vi accompagni l’assicurazione del mio ricordo e la mia benedizione, che di cuore estendo a tutte le persone a voi care. Grazie.



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mercoledì 5 giugno 2013

Messaggio di Julián Carrón .«Domandiamo la fede come esperienza presente»



Cari amici, il vostro pellegrinaggio di questo anno è tutto segnato dal fatto di svolgersi all’interno dell’Anno della fede. È questa circostanza che mette davanti ai nostri occhi la domanda da portare lungo il cammino: chiedere la fede in Gesù Cristo, Signore e Dio nostro. Come il padre del fanciullo, che dice a Gesù: «Credo, aiuta la mia incredulità» (Mc 9,24). O come gli apostoli: «Accresci in noi la fede» (Lc 17,5).
La ragione dell’urgenza di questa domanda alla Madonna ce l’ha spiegata Benedetto XVI: «Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato» (Porta fidei).
Da dove possiamo ripartire? Da dove attingere l’energia per riprendere costantemente? Solo domandando la fede come una esperienza presente: «Per la mia formazione in famiglia e in seminario prima, per la mia meditazione dopo, mi ero profondamente persuaso che una fede che non potesse essere reperta e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe stata una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l’opposto» (L. Giussani, Il rischio educativo). La vostra meta non è la reliquia di un passato, ma il segno di qualcosa che, iniziato nel passato, sta accadendo ora.
Papa Francesco è, in questo momento, il testimone più potente di questa fede presente che lo Spirito ha mandato alla Sua Chiesa: «L’importante è l’incontro con Gesù, l’incontro con Lui, e questo ti dà la fede, perché è proprio Lui che te la dà! (...) Sottolineo allora l’importanza di questo: lasciarsi guidare da Lui» (18 maggio 2013).
Non ci accada con Gesù quello che il Papa ha descritto il giorno di Pentecoste: «Spesso lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino ad un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti» (19 maggio 2013).
Solo se riaccade la fede come evento reale nella nostra vita, potremo essere all’altezza − non perché più bravi e capaci, ma perché più abbandonati a Colui che «dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa» (Atti 17,25) − dell’appello di Papa Francesco ad uscire per andare nelle «periferie esistenziali» a testimoniare la fede.
Julián Carrón

PELLEGRINAGGIO MACERATA LORETO Quei 27 chilometri lunghi 35 anni

Era il giugno del 1978. Allora, guidati da un prete che insegnava religione, si incamminarono da Macerata alla volta di Loreto trecento persone, di cui tanti studenti che avevano accettato l’invito del sacerdote a fare un gesto di ringraziamento alla fine dell’anno scolastico. L’11 giugno 2012, all’arrivo, davanti al Santuario della Santa Casa, i pellegrini erano sessantamila. Come se anno dopo anno, lungo quei ventisette chilometri tra le colline marchigiane si fosse radunato un popolo sempre più numeroso.

Accadrà anche quest’anno, con il trentacinquesimo Pellegrinaggio a piedi Macerata Loreto che è già pronto a ripartire dallo stadio Helvia Recina della cittadina marchigiana la sera dell’8 giugno. Proposto da Comunione e Liberazione con le diocesi di Macerata e Loreto, vedrà la partecipazione di migliaia di persone, con comitive di fedeli in arrivo anche dall’estero e già accreditate.

All’appuntamento ci sarà anche quell’insegnante di religione “della prima ora”, oggi vescovo della diocesi di Fabriano-Matelica, monsignor Giancarlo Vecerrica, per accogliere, con il vescovo di Macerata, monsignor Claudio Giuliodori e quello di Loreto, monsignor Giovanni Tonucci, il cardinale canadese Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, invitato a celebrare la messa prima della partenza. Proprio Ouellet, in un’intervista sul bollettino del pellegrinaggio, ha spiegato il valore di un gesto così, «una testimonianza di fede viva che indica un cammino di rinnovamento ecclesiale», segno visibile del «cammino interiore di ogni cristiano che è chiamato a far crescere la fede battesimale fino a raggiungere la pienezza dell’uomo nuovo in Cristo». Un invito, quello del porporato, cui fa eco il messaggio di don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione: «Il vostro pellegrinaggio di questo anno è tutto segnato dal fatto di svolgersi all’interno dell’Anno della fede. È questa circostanza che mette davanti ai nostri occhi la domanda da portare lungo il cammino: chiedere la fede in Gesù Cristo, Signore e Dio nostro».

Portare questa domanda camminando nella notte di pellegrinaggio, tra canti e rosari recitati senza sosta, accompagnati da gente di ogni provenienza ed età. Suona come una sfida, ma in fondo è il nocciolo della questione: «Che cosa davvero mi soddisfa?», ribadisce Ermanno Calzolaio, presidente dell’Associazione “Comitato per il Pellegrinaggio a Loreto”. «Davvero mi bastano la famiglia, il lavoro, o il fatto le cose vadano bene?». Non basta: «Dentro ogni esperienza c’è un grido che rimanda più in là».

Se non fosse così, non te lo spiegheresti quel serpentone di persone armate di rosari e scarpe da tennis lungo la strada che collega Sambucheto, San Firmano, Chiarino, Costabianca, e poi su, fino a Loreto, all’alba, per la consacrazione solenne alla Madonna. Per chiedere, come disse monsignor Tonucci davanti a Benedetto XVI il 4 ottobre scorso, chequel «"sì" di Maria, di cui risentiamo l’eco ogni volta che entriamo in Santa Casa, possa risuonare nel cuore di ciascuno di noi con la stessa carica di amore e di fedeltà con cui risuonò nel Suo cuore». Lo stesso “abbondono” di cui parla, nel suo messaggio, don Carrón ricordando le Parole del Papa, «lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte». «Solo se riaccade la fede come evento reale nella nostra vita», prosegue Carrón, «potremo essere all’altezza - non perché più bravi e capaci, ma perché più abbandonati a Colui che “dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa” (Atti 17,25) - dell’appello di Papa Francesco ad uscire per andare nelle “periferie esistenziali” a testimoniare la fede».
 Paolo Perego

Cosa chiede quella "stretta alla gola"?

Piacenza, il luogo e l'auto dove è morto Luca.Piacenza, il luogo e l'auto dove è morto Luca.

05/06/2013 - La morte del piccolo Luca, lo sgomento e le parole che non escono. È in questo silenzio il primo contraccolpo. Ci immedesimiamo in tutto quel dolore, del padre, della madre. È una domanda che vien fuori, inevitabile: «Come si fa a vivere, ora?»


Il primo contraccolpo non è mai «di chi è la colpa?» e nemmeno «come è potuto succedere?», quello affiora dopo. Il primo dato che affiora è un altro. È «pensa a quel bimbo. A quell’uomo. Alla moglie. Pensa che dolore». Ci immedesimiamo nel loro dolore, è inevitabile. Il primo colpo è quello. «Come si fa a vivere, ora?». Occorre guardarlo, perché accade prima che passiamo oltre e ci ripieghiamo sulle idee.

A quel dolore, che scopriamo anche nostro - come un’ombra, un’eco appena del dolore di quel padre e quella madre, ma nostro, al punto da farci venire il desiderio di abbracciarli -, non bastano risposte confezionate. Neanche le più “pie”. Non basta dire «Gesù» o «Paradiso». Non basta a loro, e non basta a noi finché resta una parola già saputa. È necessario, come l’aria, che Cristo accada. Che il Mistero sia carne ora, che possa svelare ora il Suo volto buono anche in una giornata così buia. Che abbracci la vita di quei genitori, e la nostra, ora. Come sta abbracciando Luca. 
 Emanuele Braga

Il Papa: no alla cultura dello spreco, buttare il cibo è rubare al povero, custodire vita umana e creato


Nel mondo domina il denaro e la “cultura dello scarto”, che svilisce il rispetto dovuto tanto alla vita umana quanto al creato. Papa Francesco lo ha affermato con forza, all’udienza generale di stamattina in Piazza San Pietro, ispirata dai temi dell’odierna Giornata mondiale dell’ambiente.
“Buttare” un povero, un bimbo non nato, o una persona anziana o disabile – che per alcuni è come se fossero morti – in quell’immondizia in cui specie gli ambienti ricchi si disfano delle cose inutili – e che siano esseri umani è relativo – è il frutto di un mondo dove si è perso lo “stupore” e “l’ascolto della creazione” e dove, viceversa, a essere minuziosamente accolto è, per esempio, l’andamento dei mercati. Con una catechesi incalzante, Papa Francesco richiama le coscienze, dei cristiani per primi, sulle assurdità di tale situazione. E, al solito, lo fa con esempi che non lasciano adito a troppe obiezioni.

PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 5 giugno 2013

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei soffermarmi sulla questione dell’ambiente, come ho avuto già modo di fare in diverse occasioni. Me lo suggerisce anche l’odierna Giornata Mondiale dell’Ambiente, promossa dalle Nazioni Unite, che lancia un forte richiamo alla necessità di eliminare gli sprechi e la distruzione di alimenti.
Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della contemplazione, dell’ascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVI chiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”. Perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni.
Ma il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l'uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano. E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale. Non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia. Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti.
Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi.
Pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini, abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani: Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste» (Lc 9,17). Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme.
Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro. Grazie.

Saluti:
Je salue cordialement les pèlerins francophones, particulièrement les fidèles venus des Antilles, de l’Ile Maurice et de Côte d’Ivoire. Je salue également le groupe d’imams de France engagés dans le dialogue interreligieux. Chers amis, ayons soin de la création, ayons soin de la personne humaine, de sorte que personne autour de nous ne soit privé du nécessaire. Bon pèlerinage à tous !
I offer an affectionate greeting to all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Audience, including those from England, Scotland, the Netherlands, Nigeria, Singapore and the United States. God bless you all!
Einen herzlichen Gruß richte ich an alle Pilger deutscher Sprache. Wir alle sind gerufen, die Welt, die Gott geschaffen hat, als schönen Garten zu bebauen und zu hüten, in dem alle Menschen wohnen können. Der Heilige Geist gebe uns Einsicht und gute Ausdauer, dass wir Werkzeuge der Liebe Gottes auf dieser Erde werden. Ich wünsche euch allen einen guten Aufenthalt in Rom.
Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España, Colombia, Uruguay, Argentina, México y los demás países latinoamericanos. Invito a todos a respetar y cuidar la creación, a prestar atención y cuidado a toda persona, a contrarrestar “la cultura del descarte” y del desecho para promover una cultura de la solidaridad y del encuentro. Muchas gracias.
Queridos peregrinos de língua portuguesa, sede bem-vindos! Uma saudação particular aos fiéis diocesanos de Curitiba com o seu Pastor, Dom Moacyr Viti, encorajando-vos a todos a apostar em ideais grandes de serviço, que engrandecem o coração e tornam fecundos os vossos talentos. De bom grado abençoo a vós e aos vossos entes queridos.
كلمات الأب الأقدس للأشخاص الناطقين باللغة العربية:
الأخوات والإخوة الأحباء الناطقون باللغة العربية: لا يجب أن نتعود على مآسي الفقر، وعلى موت بعض الأشخاص من البرد فوق الطروقات، لأنهم بلا مأوى، أو على رؤية بعض الأطفال بدون تعليم، أو رعاية طبية. لنتذكر جيدا، أن الطعام الذي يتم إهداره، هو مثل طعام منهوب من مائدة الفقير والجائع! دعونا نلتزم جميعا بالعمل على احترام وحماية الخليقة، وعلى مقاومة ثقافة الإهدار والإقصاء، ودعم ثقافة التضامن واللقاء. وأمنح لكم جميعا البركة الرسولية!
Serdecznie witam obecnych tu Polaków. W sposób szczególny pozdrawiam kleryków i neoprezbiterów. Kochani, dziękujcie Chrystusowi za dar waszego powołania i pielęgnujcie je w świetle i mocy Ducha Świętego, abyście zawsze byli gorliwymi szafarzami łaski Bożej i prawdziwymi przewodnikami na drogach świętości. Was drodzy polscy pielgrzymi, i wszystkich Polaków proszę: dziękujcie Bogu za waszych kapłanów i wspierajcie ich modlitwą, życzliwością i dobrą radą. Niech Pan wam błogosławi!
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Un caloroso benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli delle diocesi di Aversa, Macerata e Matera, con i Vescovi Mons. Spinillo, Mons. Giuliodori e Mons. Ligorio, venuti alla Sede di Pietro per il pellegrinaggio in occasione dell’Anno della fede; saluto i numerosi gruppi parrocchiali, le associazioni, la rappresentanza dei lavoratori di ditte operanti nel Veneto con il Patriarca di Venezia, Mons. Moraglia, e le scolaresche, in particolare i giovani cresimati della diocesi di Lamezia Terme e gli universitari di Perugia, accompagnati dai loro Pastori, Mons. Cantafora e Mons. Bassetti. A tutti auguro che la visita alle Tombe degli Apostoli serva ad irrobustire la fede e la testimonianza cristiana!
Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Il mese di giugno è dedicato dalla pietà popolare alla devozione al Cuore di Gesù. Esso vi insegni, cari giovani, la bellezza dell’amare e del sentirsi amati; sia il Cuore di Cristo, cari ammalati, il vostro sostegno nella prova e nella sofferenza; e sostenga voi, cari sposi novelli, nel nuovo cammino della vita coniugale.


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