domenica 5 agosto 2012

“La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”

“La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”, questo è il tema della XXXIII edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli che si apre il prossimo 19 agosto a Rimini. È un’affermazione di don Luigi Giussani, che certamente non può essere ridotta alla banale constatazione che nell’uomo c’è l’esigenza di un progresso all’infinito, affermazione che certamente troverebbe un consenso più ampio. Si tratta, invece, del riconoscimento di una drammatica verità: l’uomo è costituito dal rapporto con l’infinito, una realtà che può abbracciare e amare come fonte del proprio essere, oppure bestemmiare come faceva il Capaneo dantesco, questo gigante incatenato nell’inferno. Una realtà che comunque non può fare a meno di desiderare. L’uomo è costituito dal desiderio di Dio. Questa è la convinzione della coscienza cristiana fondata sulla rivelazione e sull’esperienza umana. Questo desiderio è la firma dell’autore nella natura umana, l’impronta del Creatore, il principio della grandezza di questa creatura rispetto a tutte le altre. Si tratta dell’esigenza di “ciò che vale e permane sempre”, come ci ricorda la Lettera Apostolica con la quale Benedetto XVI ha indetto l’Anno della Fede (Porta Fidei, n. 10). Uno scrittore siciliano, Gesualdo Bufalino, in una sorta di autobiografia romanzata, che ha pubblicato sotto il titolo di Argo il cieco, ovvero i sogni della memoria, fa gridare ad uno dei suoi personaggi, un certo Iaccarino, in un momento di verità che il vino aveva favorito, come suonando “verso i quattro canti del cielo il suo debole corno di postiglione”, in una sorta di dialogo con Dio nel quale “supplicava e sacramentava”: “Ehi tu, t’ho visto, non fare il furbo, non fingere di non esistere!, Dio esisti, ti prego! Esisti, te lo ordino!”. Anche se fino alla fine si è dichiarato agnostico, questa esigenza che Dio ci sia, è quella che egli ha affermato in ogni sua opera, insieme al desiderio di conoscerne il volto. Questa ineludibile necessità che “costringe” l’uomo a stare dentro il rapporto con l’infinito è documentata anche dalla forma particolare che ha assunto l’ateismo moderno. Esso – ha scritto il Papa nella Spe salvi – è caratterizzato dalla “protesta contro Dio”. Una protesta contro le ingiustizie del mondo e della storia universale: “Un mondo, nel quale esiste una tale misura di ingiustizia, di sofferenza degli innocenti e di cinismo del potere, non può essere l’opera di un Dio buono. Il Dio che avesse la responsabilità di un simile mondo, non sarebbe un Dio giusto e ancor meno un Dio buono. È in nome della morale che bisogna contestare questo Dio” (Spe salvi, n. 42). Anche quando l’uomo contesta Dio, dunque, esprime quella inestirpabile esigenza di verità e di giustizia che nasce dall’essere fatto per Lui. È la stessa esigenza che porta a riconoscere come nell’annuncio cristiano del Verbo fatto carne si realizza in modo impensabile e gratuito quello che nella coscienza dell’uomo emerge talora come presentimento o profezia. Cristo morto risorto conclama che tutto nella storia è redimibile, che non si perde nulla nel vortice degli eventi, che si può vivere, pertanto, senza nulla dimenticare e rinnegare. In occasione della sua recente visita pastorale alla città di Milano, Benedetto XVI, dopo il grandioso concerto della IX Sinfonia di Beethoven, si è rivolto al pubblico e, facendo riferimento al terremoto che aveva distrutto tanti paesi dell’Italia centrale, ha audacemente corretto le parole dell’“Inno alla gioia” di Schiller: “Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza”. Solo nel volto di Gesù crocifisso si manifesta, infatti, in modo accettabile il destino dell’uomo e della storia. La ragione che ha portato Benedetto XVI ad indire un “Anno della Fede” è quella dichiarata all’inizio del suo ministero come Successore di Pietro, cioè “mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo” (Porta Fidei, n. 2). Sapranno i cristiani essere oggi il luogo in cui splende la gioia e il rinnovarsi dell’entusiasmo di questo incontro in cui soltanto è possibile all’uomo sostenere il rapporto con l’infinito? È la sfida del Meeting di Rimini! Esso si lega così alle intenzioni profonde di questo pontificato. EDITORIALE SU "L'OSSERVATORE ROMANO" SUL TEMA DEL MEETING DI RIMINI E SULLE RAGIONI DELL'ANNO DELLA FEDE Francesco Ventorino

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