lunedì 30 luglio 2012
Il Messaggio di Julián Carrón in occasione del Pellegrinaggio Czestochowa (6-11 agosto 2012)
Cari amici, ricordatevi che valgono anche per voi le parole di don Giussani che ci siamo ripetuti tante volte: «Aspettatevi un cammino, non un miracolo che eluda le vostre responsabilità, che elida la vostra fatica, che renda meccanica la vostra libertà». Imparate a memoria questa frase, perché vi faccia compagnia lungo il pellegrinaggio, per mettervi nell’atteggiamento giusto, per non aspettarvi qualcosa di miracoloso, di meccanico dal gesto che compite al termine della scuola e dell’università.
Un gesto di questo calibro apre il cuore, la mente, la disponibilità, la totalità dell’io. Se possibile, cavalcate questa apertura del vostro cuore che vi ha fatto desiderare di compiere il pellegrinaggio.
Portate con voi i vostri desideri, le vostre speranze, ma anche i vostri drammi, le difficoltà e le perplessità; proprio la fatica del cammino farà emergere con tutta la sua potenza il bisogno infinito del vostro cuore. Approfittatene per rendervi consapevoli che è il bisogno che abbiamo tutti, che non è soltanto di un momento ma di sempre.
Così sarà quasi naturale per voi riconoscere che domandare è di ogni passo, costantemente. Occorre un cammino affinché l’apertura del cuore provocata dalle circostanze non si chiuda. Perché inevitabilmente tenderà a chiudersi: non è meccanico che permanga, e neanche una situazione dolorosa come una malattia o la morte di un amico − di per sé − ci può riuscire. L’unica cosa che riesce a mantenere viva la consapevolezza del bisogno è una presenza che ci sfidi di continuo: la Chiesa. Per questo è necessario fare il cammino che ci propone la Chiesa attraverso il Movimento, perché diventi stabile e sempre più familiare questa apertura, questa coscienza del nostro bisogno.
Vi auguro di verificare voi stessi − nell’esperienza − la convenienza umana di vivere così almeno una settimana. Allora vi verrà da gridare: «Questo è vivere!», fino al punto di dire ciò che dicevano alla Samaritana gli abitanti del suo paese, dopo avere incontrato Gesù: «Non crediamo più per quello che tu ci hai detto, ma per quello che abbiamo visto noi nell’esperienza».
Questo «è il tempo della persona» perché, come dice don Giussani, se l’esperienza cristiana non riesce a generare un “io” certo, non potrà resistere in un mondo in cui tutto dice il contrario. Non basta una predica, non basta un discorso, non basta una serie di regole, per suscitare questo “io”. Occorre un gesto che ci consenta di fare esperienza di quello che ci diciamo. Non abbiamo altro scopo che questo: che ciò che abbiamo incontrato e che ci ha affascinati − e per cui fate il pellegrinaggio − diventi sempre più nostro. Ma c’è un inconveniente: proprio perché il Mistero tiene così tanto alla nostra dignità di uomini, non vuole entrare di nascosto nella nostra vita e per questo chiede il mio, il tuo impegno. Per non rimanere estrinseco, desidera entrare nella nostra vita attraverso la nostra umanità, attraverso la nostra ragione e la nostra libertà: tocca a noi accoglierlo.
Nella memoria di don Giussani, affidate alla Madonna il Movimento. In questo momento molto bello e molto importante del nostro cammino portate con voi nelle vostre preghiere la nostra fragile e grande compagnia al destino.
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