È evidente che Matteo Renzi sta puntando a una radicale riorganizzazione del sistema politico italiano, ed è anche evidente che, piaccia o non piaccia, ci sta riuscendo. Il “dopo-Leopolda” che ora inizia ce lo confermerà sin dalla corrente settimana.
Benché avesse subito un gigantesco scossone con il passaggio dalla prima alla seconda repubblica, in fin dei conti sino a poco tempo fa tale sistema era ancora quello uscito dalle elezioni del 1948, e poi riassestato con la nascita nel 1962 del “centro-sinistra”. Non c’erano più la Dc (con il Psi, suo principale alleato) e il Pci. Restava però, al di là dei nomi e dei leader, la sostanza del sistema con Forza Italia, poi PdL, che aveva raccolto l’eredità della Dc e del Psi, e il Pd per così dire “storico” che aveva raccolto l’eredità del Pci. Ciascuno dei due nuovi partiti capo-fila aveva ereditato il grosso del personale politico dei partiti di cui era erede, nonché i loro rispettivi rapporti di prossimità con questa o quella grande organizzazione di rappresentanza, dai sindacati alle Camere di commercio, dalla Confindustria alle cooperative, dalle associazioni degli artigiani a quelle degli agricoltori.
Con l’iniziativa politica che Renzi ha preso, convocando all’ex stazione Leopolda di Firenze, gli stati generali dei suoi amici, in concomitanza con la manifestazione indetta contro il suo governo a Roma dalla Cgil, il rimescolamento delle carte comincia a diventare irreversibile. L’alleanza tipica e fondamentale tra Pci e poi Pd da un lato e Cgil dall’altro è stato rotta irreparabilmente. Il nuovo Pd di Renzi corre verso il centro, togliendo sempre più spazio a Berlusconi e ai suoi alleati. E lo fa senza temere di ricuperare persino una parola e un concetto, che dal 1945 erano catastroficamente scomparsi dalla scena politica italiana, insieme a Mussolini: quello di Nazione. Il premier ha infatti annunciato l’alba nientemeno che di un “partito della Nazione”. E pur di costruirlo non esita a indicare la porta alla vecchia sinistra del Pd. Per salvare il salvabile, Berlusconi si riscopre sempre più erede, come d’altronde è, del Psi di Bettino Craxi e anche del Partito Radicale di Marco Pannella. Uscendo dal PdL Angelino Alfano e dei suoi amici si sono infatti portati (nel fosso) con sé tutto il poco che ancora restava della sensibilità di Berlusconi per la visione del mondo cristiana.
Per parte sua Matteo Renzi - la cui fede personale ovviamente non è in discussione - in quanto leader politico e uomo di governo, è un prodotto tipico dello scoutismo (come peraltro anche diversi altri membri del suo governo). Il cristianesimo come morale e come osservanza liturgica; e la cultura “laica” per tutto il resto: questo dualismo ben intenzionato, che da De Gasperi ad oggi non ha mai smesso di fare dei danni all’esperienza cristiana in Italia, ha due distinte origini. Una deriva dalla cultura idealistica di matrice tedesca, poi magari rivisitata in forza di una certa interpretazione del pensiero di Maritain (come fu ad esempio il caso di Lazzati); l'altra invece deriva dal pensiero umanitario anglosassone, e quindi dallo scoutismo, che ne è una tipica espressione. Sia in una prospettiva che nell’altra, siamo all’irrilevanza politica (e all’irrilevanza pubblica, in genere) della cultura di matrice cristiana. In questo quadro, allo stato attuale delle cose, sulla scena politica italiana non c’è più spazio per una presenza cristiana di qualche rilievo. Si pone quindi per i cristiani in Italia, quindi per i cattolici, il problema di come ricostituirla, e nel frattempo di come costruire nella società civile punti di forte interlocuzione nei confronti di chi è al potere.Robi Ronza
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