La vita di un filosofo rappresenta una via d’accesso privilegiata al suo pensiero. Questo vale a anche per Robert Spaemann, che ha attinto all’esperienza di una vita attraversata dai drammi del XX secolo come ad un serbatoio inesauribile di spunti di riflessione. È quanto emerge dalla sua Autobiografia pubblicata nel 2012 (Über Gott und die Welt, Klett-Cotta, Stuttgart) e ora, da pochi giorni, disponibile al pubblico italiano che ha mostrato un crescente e significativo interesse per il pensiero dell'autore (Dio e il mondo. Un’autobiografia in forma di dialogo, Cantagalli, Siena, 2014).
Dal dramma del nazismo, evocato in pagine dove Spaemann racconta come, sedicenne, si sottrasse al giuramento di fedeltà al Führer, i ricordi mettono a fuoco il periodo della contestazione. Fu allora che il filosofo, contro l’arrendevolezza dei colleghi di Heidelberg nei confronti del movimento studentesco, dopo soli due anni di insegnamento rinunciò alla Cattedra che era stata di Karl Jaspers e H.G. Gadamer. Poi le vicende che lo hanno visto interlocutore di Giovanni Paolo II e dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, richiamate nel denso resoconto degli incontri di Castelgandolfo. La filosofia di Spaemann, infatti, non è mai impersonale né disincarnata, bensì interroga e si lascia interrogare dall’esistenza e dalla vita della "polis" elaborando una vera e propria "critica dell'utopia politica", come recita il titolo di una sua nota opera.
Il realismo metafisico che ne orienta la riflessione è ben condensato nell’espressione che compendia il rapporto fra “libertà” e “verità”: «L’uomo ha come alternativa la prigione in se stesso o la Croce. Dalla prigionia in se stesso, dalla curvatio in se ipsum, come si dice nella tradizione agostiniana, egli può uscire soltanto inchiodandosi alla croce della realtà». Ora, la “croce” della realtà contemporanea si chiama nichilismo: «L’ultimo uomo di Nietzsche: ecco la personificazione del nichilismo banale. Oggi si chiama anche “liberalismo” e per tutto ciò che non si rassegna a esso si ha già a disposizione il termine intimidatorio “fondamentalismo” (Cfr. R. Spaemann, L’Europa e il nichilismo banale, in: Studi cattolici, gennaio, 2013).
Come dimostra l'Autobiografia, ancor più gradevole per le parti in cui vibra la vivacità del dialogo, l'esistenza di Spaemann è segnata proprio dal confronto con il tema del nichilismo e della violenza politica, dallo sforzo di interpretare la modernità e il dualismo che la caratterizza. Le armi a sua disposizione derivano dalla riscoperta dei fondamenti più autentici della metafisica cristiana e classica. Volume pienamente accessibile ad un pubblico di non specialisti, l'Autobiografia è anche la perfetta sintesi e la migliore introduzione al pensiero dell'autore, i cui temi fondamentali ricorrono in titoli come Concetti morali fondamentali (Piemme, 2002), Felicità e benevolenza (Vita e Pensiero, 1998), Le origini della sociologia dallo spirito della Restaurazione. Studi su G.A. Bonald, 2002), Per la critica dell’utopia politica (F. Angeli, 1998),Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno” (Laterza, 2006), Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teleologico (Ares, 2013), Rousseau, cittadino senza patria (Ares, 2009), La diceria immortale. La questione di Dio e l’inganno della modernità (Cantagalli, 2008).
L’"essere-se-stesso", concetto d'indiscutibile centralità, è raggiunto solo in una relazione feconda con l’idea di verità. Una libertà come intende una certa modernità, che infrange l'intima relazione con l’idea di verità, non può che auto-distruggersi. Come già per Chesterton, il luogo in cui «tutte le verità si danno appuntamento» resta la Chiesa Cattolica. «Guardo con un po’ di scetticismo all’odierno culto dell’autenticità», scrive Spaemann. «Per molte persone oggi l’autenticità tende semplicemente a prendere il posto della ricerca della verità. ... L’autenticità, nella misura in cui è cercata o esibita, tende a pervertirsi nel suo opposto, in altre parole diviene un ruolo teatrale. L’insegnamento di Gesù, del resto, non inizia con un invito all’autenticità, a “essere se stessi”, incomincia piuttosto, con l’esortazione a convertire».
La filosofia ha allora l'obiettivo di superare quella dialettica tra spiritualismo e naturalismo che segna la modernità disponendola a una reale negazione del Mistero dell’Incarnazione: quell'evento, cioè, che ci offre l'unica spiegazione possibile della fragilità e insieme della grandezza della natura umana. È l'intuizione delle parole di J.E.L. Tolkien che chiudono il libro: «Ed è sempre così per tutte le cose che gli Uomini incominciano, una gelata in primavera, o la siccità in estate, ed essi non portano a compimento la loro promessa. Eppure è raro che i loro semi non germoglino”, disse Legolas. Anche in mezzo alla polvere o al marcio, li si vede improvvisamente spuntare nei luoghi più imprevisti. Le azioni degli uomini sopravvivono alle nostre, Gimli. Riducendosi però dopo tutto a potenzialità fallite, suppongo, disse il Nano. A ciò gli Elfi non sanno rispondere, disse Legolas».
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