- Gruppo di volontari a Genova.
La seconda grande alluvione, a distanza di pochi anni, con la città di nuovo in ginocchio a spalare nelle strade, nei negozi, nelle cantine. E la sorpresa di quei volti lieti, di ragazzi «con il desiderio di fare qualcosa per qualcuno»
Genova è di nuovo nel fango: dopo tre anni un'alluvione ancora più devastante della precedente ha colpito le stesse zone, allargando il fronte, distruggendo cose e case "di povera gente", come diceva uno di noi. Così la realtà si è imposta di nuovo, oltre i nostri piani, anche buoni.
La settimana scorsa doveva portarci belle sorprese. Venerdì sera sarebbe dovuto arrivare tra di noi don Juliàn Carrón, per incontrare il movimento di Genova e della Liguria in occasione dei 50 anni di presenza di CL nella nostra terra. Tutto pronto, uno splendido teatro al Porto Antico, un'attesa palpabile.
E, invece, la sorpresa ci è arrivata dall'alluvione di giovedì notte, che ci ha costretto ad annullare tutto. E allora? Cosa aspettavamo davvero? Con questa domanda nel cuore ci siamo imbattuti nello sconvolgimento della nostra città: la scena si ripete, migliaia di ragazzi si spandono per le strade e diventano un popolo al lavoro senza posa.
E noi più grandi con loro, andiamo a vedere e a dare una mano. L'impatto è con volti lieti, fieri, e c'è come un fremito nei mille sguardi che incontro: tanti sono miei alunni, venuti con me o incontrati per caso. Alcuni indossano le magliette degli "angeli del fango" di tre anni fa. Ma come è possibile? Ragazzi normali, presi dal loro consueto disordine, dalla vita che incalza: come può essere che abbiano ritrovato quella maglietta, l'abbiano indossata di nuovo?
Inizio pian piano a vedere: davanti a me c'è lo spettacolo del cuore umano. I ragazzi (anche certi miei alunni che ho sempre sottovalutato da questo punto di vista) hanno desideri grandi, vogliono vivere per qualcosa e per qualcuno, sperano in una utilità del loro esserci, non si arrendono. Anzi, camminano eretti… nel fango. Mi scopro a guardarli commossa, e una di loro mi dice: «Ieri sono tornata a casa sporchissima, i miei mi hanno bloccato perché non spargessi fango in giro. Ma sono così felice, è stato così bello!».
Mi torna in mente L'illogica allegria di Gaber, che Carrón ci ha fatto scoprire: è il ritornello con cui li guardo e li accompagno. La realtà, se si impone, ci ridesta. C'è come una letizia strana che noi abbiamo il compito di accompagnare. Vorrei abbracciarli tutti.
Noi siamo lì, forse, principalmente per questo: perché abbiamo nel cuore la certezza della strada, e allora possiamo raccogliere il fango pensando alle donne di Rose, o guardare il dolore con tenerezza e accompagnare i ragazzi seguendoli nel loro impeto buono, seguendo letteralmente alcuni di loro "più grandi" che si sono imposti e ci hanno aiutato a essere insieme, rispondendo alle richieste di tutti. E magari questi "grandi" hanno i loro impicci, magari hanno perso il lavoro o lavorano troppo, si stanno per sposare o hanno in piedi questioni importanti. Ma di colpo, improvvisamente, si son trovati a servire e a condurre servendo, in questo weekend così strano. Strano come lasciarci stasera, dopo una giornata di lavoro, infangati e intristiti per la nostra città ma nello stesso tempo lieti, certi che siamo insieme per camminare seguendo, per amare perché molto amati.
Marina,
La settimana scorsa doveva portarci belle sorprese. Venerdì sera sarebbe dovuto arrivare tra di noi don Juliàn Carrón, per incontrare il movimento di Genova e della Liguria in occasione dei 50 anni di presenza di CL nella nostra terra. Tutto pronto, uno splendido teatro al Porto Antico, un'attesa palpabile.
E, invece, la sorpresa ci è arrivata dall'alluvione di giovedì notte, che ci ha costretto ad annullare tutto. E allora? Cosa aspettavamo davvero? Con questa domanda nel cuore ci siamo imbattuti nello sconvolgimento della nostra città: la scena si ripete, migliaia di ragazzi si spandono per le strade e diventano un popolo al lavoro senza posa.
E noi più grandi con loro, andiamo a vedere e a dare una mano. L'impatto è con volti lieti, fieri, e c'è come un fremito nei mille sguardi che incontro: tanti sono miei alunni, venuti con me o incontrati per caso. Alcuni indossano le magliette degli "angeli del fango" di tre anni fa. Ma come è possibile? Ragazzi normali, presi dal loro consueto disordine, dalla vita che incalza: come può essere che abbiano ritrovato quella maglietta, l'abbiano indossata di nuovo?
Inizio pian piano a vedere: davanti a me c'è lo spettacolo del cuore umano. I ragazzi (anche certi miei alunni che ho sempre sottovalutato da questo punto di vista) hanno desideri grandi, vogliono vivere per qualcosa e per qualcuno, sperano in una utilità del loro esserci, non si arrendono. Anzi, camminano eretti… nel fango. Mi scopro a guardarli commossa, e una di loro mi dice: «Ieri sono tornata a casa sporchissima, i miei mi hanno bloccato perché non spargessi fango in giro. Ma sono così felice, è stato così bello!».
Mi torna in mente L'illogica allegria di Gaber, che Carrón ci ha fatto scoprire: è il ritornello con cui li guardo e li accompagno. La realtà, se si impone, ci ridesta. C'è come una letizia strana che noi abbiamo il compito di accompagnare. Vorrei abbracciarli tutti.
Noi siamo lì, forse, principalmente per questo: perché abbiamo nel cuore la certezza della strada, e allora possiamo raccogliere il fango pensando alle donne di Rose, o guardare il dolore con tenerezza e accompagnare i ragazzi seguendoli nel loro impeto buono, seguendo letteralmente alcuni di loro "più grandi" che si sono imposti e ci hanno aiutato a essere insieme, rispondendo alle richieste di tutti. E magari questi "grandi" hanno i loro impicci, magari hanno perso il lavoro o lavorano troppo, si stanno per sposare o hanno in piedi questioni importanti. Ma di colpo, improvvisamente, si son trovati a servire e a condurre servendo, in questo weekend così strano. Strano come lasciarci stasera, dopo una giornata di lavoro, infangati e intristiti per la nostra città ma nello stesso tempo lieti, certi che siamo insieme per camminare seguendo, per amare perché molto amati.
Marina,
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