Monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, è stato tra i pochi uomini di Chiesa a intervenire subito per denunciare le gravi intimidazioni e le violenze subite dalle Sentinelle in Piedi nel loro raduno di domenica scorsa in cento piazze italiane. Ieri, l’arcivescovo è tornato a parlare ai microfoni di Radio Vaticana ribadendo la sua preoccupazione per il fatto che in Italia «si stia determinando una situazione di pensiero unico dominante e, conseguentemente, di una prassi morale e culturale – ma più che morale, si potrebbe dire di immoralismo – che viene sostanzialmente giudicata ingiudicabile, quindi che viene di fatto presentata a tutti i livelli come l’unica mentalità possibile nella nostra società. Chi, per qualsiasi motivo, esercita la sua libertà di coscienza e di espressione non negli ambiti fissati da questa ideologia dominante, viene necessariamente estromesso con tutti i mezzi. Cioè, il diverso – in quanto diverso da quello che io sento, penso, ecc. – deve essere annientato e lo si deve fare con tutti i mezzi. Quindi, in questo senso è veramente una preoccupante limitazione, della quale direi che la maggior parte della gente non si accorge e comincia ad accorgersene adesso, di fronte a questi fenomeni che comunque, pur essendo limitati numericamente, hanno certamente il senso di un grandissimo campanello di allarme».
UNO DA ANNIENTARE. Secondo Negri la violenza mostrata nei confronti delle pacifiche Sentinelle «è un’alternativa a una difficoltà, per non dire un’incapacità, di dare ragione della propria posizione. Io credo che questo ci debba profondamene interrogare, come cristiani ma ancor prima come cittadini di questo Paese». D’altronde, nota con un certo sarcasmo già «Aristotele diceva che quando non si hanno ragioni forti, si ricorre alle mani». Purtroppo «oggi, chi non sostiene posizioni che mettono in discussione la morale naturale e tradizionale viene sentito come uno che deve essere annientato».
LA CRISI DELLA FAMIGLIA. Per questo, l’auspico dell’arcivescovo è che, proprio in questo giorni in cui la Chiesa si riunisce nel Sinodo, «la realtà della famiglia venga individuata nella sua crisi. La crisi della famiglia è una crisi epocale, è una crisi antropologica, è una crisi culturale. Non c’è più spazio per quella gratuità che costituisce l’essenza ultima del rapporto tra un uomo e una donna a livello naturale, che nel Sacramento del matrimonio trova la sua definitiva espressione e il suo sostegno. Quindi, come cristiani e in particolare come responsabili della vita ecclesiale, dobbiamo fare un cammino di accompagnamento ma che consenta alle famiglie di riscoprire la loro identità, per poter essere poi coerenti con questa identità. Ho in mente le lucidissime pagine della “Familiaris Consortio”, mi pare al numero 7, in cui San Giovanni Paolo II diceva: “Famiglia, diventa quello che sei”. Credo che la crisi stia tutta qui. Il resto sono conseguenze particolari sulle quali ci si può addentrare, anche in soluzioni che possano essere innovative sul piano pratico o pastorale. Ma la famiglia dev’essere aiutata a riscoprire la sua identità: questa è la crisi delle crisi. Tutte le altre sono conseguenza».
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