6^ dopo il martirio
di S. Giovanni – 5/10/2014
Giobbe 1, 13-21
il Signore ha dato, il Signore ha tolto: “Sono scampato solo io per raccontartelo”
Salmo
17 “Volgiti a me,
Signore: ascolta la mia preghiera”
2
Tim 2, 6-1 come un
lavoratore che non deve vergognarsi
Lc
17, 7-10 la ricompensa
dello schiavo, “ servo inutile”
Servi senza pretese
❶ Il dialogo, o i dialoghi, che la Liturgia offre, a
una semplice lettura sembrano inattuali per
la nostra sensibilità, o cultura contemporanea. Già il libro di Giobbe
contraddice il buon senso, i fatti raccontati hanno dell’incredibile nella
sequenza : la distruzione, momento per momento, della vita di benessere, di
vita felice; tutto questo a opera di Dio. C’è una frase emblematica (7, 6): “I
miei giorni scorrono veloci come una spola, svaniscono senza più un filo di
speranza”, compresi i miei beni, gli affetti più cari, la fede in Dio, che
premia chi ha agito secondo i suoi criteri. Tutto svanisce. Il libro di Giobbe punta l’indice
contro le contraddizioni della storia: il male celebra i suoi trionfi, mette in
crisi la fede in un Dio buono e grande nell’amore.
Ugo Foscolo
in una lettera del 1908 esalta con queste parole questo capolavoro sapienziale:
❷ “Ora sto rileggendo e copiando in un
libricciuolo tutto il libro di Giobbe… Sublime libro! Come è pieno di
grande e magnanimo dolore! Come parla con Dio senza superstizione e con le
proprie sciagure senza bassezza!”. Il protagonista vede la sua vita
sgretolarsi. Il testo non dà il tempo di ascoltare i sentimenti di chi reca la
notizia, né permette di cogliere le sue reazioni. Improvvisamente tutto tace.
Una calma irreale a fronte delle notizie terrificanti. Egli non rimane
impietrito dal dolore. Addirittura si alza e compie dei gesti rituali. Non si
accascia, si solleva. Non resta impietrito, nessuna resa disperata al corso
degli eventi. Sa che tutto viene da Dio, perciò l’umile accettazione: “Sia
benedetto il nome del Signore”. E’ il “servo senza pretese”. Domanda ai lettori
di entrare nel suo dramma, con la preghiera del Salmo: “Saggia il mio cuore, scrutalo nella notte, provami al
fuoco: non troverai malizia…mi affido alla tua
destra”. Sulla stessa linea S. Paolo:
“La parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa”. Anche tu,
ascoltatore e discepolo, “sforzati di
presentarti a Dio come una persona degna, un lavoratore che non deve
vergognarsi”.
❹ Gli
Apostoli nella Chiesa, benché investiti di autorità, non possono
pensare che il loro servizio, reso al Signore e alla comunità, costituisca una
sorta di “bonus”, che dà diritto alla
ricompensa (Giobbe). L’Apostolo-Annunciatore non è padrone del proprio lavoro,
né ha diritti sulle persone a cui porta l’annuncio, tanto meno su Dio (Giobbe):
gli Apostoli compiono ciò che è loro richiesto: “consegnati a Dio e alla Parola
della sua grazia” (Atti 20, 32 ). Si è lontani dall’atteggiamento del Fariseo
che vanta le sue buone azioni. Nel Regno di Dio non ci sono registri di
benemerenze, né orari di servizio, né limiti di attività, né diritti acquisiti.
Il servo della parabola non poteva aspettarsi che il contadino gli dicesse: “Vieni
subito, mettiti a tavola”, oppure gli chiedesse il conto delle opere compiute.
Allo stesso modo Dio non ha obblighi; nella logica del Vangelo tutto è
gratuità, le fatiche degli operai della vigna del Signore non presentano alcuna
pretesa (così Giobbe ), così il Messia “inutile”, ma solo la supplica: “Sia
fatta la tua volontà”.
Don Carlo
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