Intervista con il presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione: «Ci sono passi del Nuovo Testamento che non ho ancora sentito citare e che potrebbero orientare» verso soluzioni nuove. Bisogna superare «il legalismo». La Chiesa vuole accogliere «come una madre e non come un giudice»
ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO
«Avrei un'idea per uscire dall'impasse...». L'arcivescovo Rino Fisichella, teologo, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, in questo colloquio con Vatican Insider apre alla possibilità di «soluzioni differenti» per le famiglie ferite e in difficoltà. Invita a non cadere nel legalismo, spiega che la dottrina non si può «alterare» ma che nella storia della Chiesa viene continuamente approfondita e sviluppata, com'è accaduto con il Concilio Vaticano II, ad esempio in merito ai temi della coscienza e della libertà religiosa. Ricorda che la Chiesa vuole accogliere tutti «come una madre e non come un giudice». E propone dei passi del Nuovo Testamento riflettendo sui quali si potrebbero aprire vie nuove.
Come giudica il dibattito di questi primi tre giorni di Sinodo?
«I lavori si svolgono in un clima positivo, si percepisce la cattolicità della Chiesa, entrando in aula bisogna dimenticare la propria nazionalità altrimenti non ci si sintonizza con gli altri».
Dalle sintesi degli interventi sembra che molti manifestino vicinanza e attenzione alle situazioni difficili. È così?
«La Chiesa non è estranea ai problemi che vivono uomini e donne del nostro tempo. Questo cammino è il frutto di decenni, è un atteggiamento che risale al Concilio Vaticano II, poi ripreso da Paolo VI e da Giovanni Paolo II, il quale nell'enciclica "Redemptor hominis" ha detto la Chiesa nel cammino verso l'uomo non può essere fermata da niente e da nessuno. Francesco non fa che portare alle più immediate e visibili conseguenze quello che è il sentire della Chiesa. D'altra parte al responsabile del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione questo non può che allargare il cuore: l'evangelizzazione si gioca in una presenza dei cristiani là dove questi vivono».
La dottrina sul matrimonio secondo lei sarà modificata dopo il percorso sinodale?
«Non ho ascoltato neanche un intervento in aula che mettesse in dubbio la dottrina sull'indissolubilità. Questo Sinodo è chiamato a dare delle prime risposte in vista del cammino che porterà al Sinodo ordinario, sullo stesso tema della famiglia, in programma per l'ottobre 2015. La vera preoccupazione è pastorale: come dare il segno dell'accoglienza, di una Chiesa che è chiamata a camminare accompagnando gli uomini e le donne di oggi, senza escludere nessuno, rimanendo nell'insegnamento di Gesù? Questa è la vera sfida. Tutti abbiamo chiara consapevolezza dei principi fondamentali, ma dobbiamo essere capaci di trovare dei linguaggi, delle forme, delle espressioni e dei comportamenti che siano più possibile segno di vicinanza della Chiesa e non di esclusione. Tutti percepiamo il grande divario che intercorre tra la proposta culturale maggioritaria presente nel mondo globalizzato di oggi, e la proposta cristiana sul matrimonio e la famiglia. Ci sono poi differenze notevoli nelle varie realtà ecclesiali e culturali: l'Europa non è l'Africa né America Latina».
Un padre sinodale ha invitato a valutare gli aspetti positivi del matrimonio civile e ha proposto l'analogia fra quanto ha riconosciuto la Chiesa al Concilio, a proposito delle altre confessioni cristiane, e certe situazioni di coppie sposate civilmente. Che cosa ne pensa?
«Nella mia vita ho fatto il teologo e faccio il pastore, e cerco di coniugare la mia azione pastorale con l'intelligenza della fede. Vivo della dimensione espressa da un principio che è quello di Vincenzo da Lerίns, che nel V secolo affermava: chi potrebbe non amare la chiesa a tal punto da non vedere uno sviluppo nella sua dottrina? Il progresso, lo sviluppo non è l'alterazione dei contenuti della fede. Spiegava anche che bisogna preoccuparsi perché sia conservato ciò che in ogni luogo, sempre e da tutti è stato creduto. Questo è il criterio fondamentale non per cambiare ma per creare il progresso, per non alterare ma per evidenziare lo sviluppo della dottrina. Certo se noi pensiamo al cammino compiuto dalla Chiesa sul tema della coscienza, o su quello della libertà religiosa - che ancora oggi crea non pochi problemi in alcuni settori della stessa Chiesa - è ovvio che il Concilio Vaticano II ha fatto fare un balzo in avanti. Solo che oggi noi siamo dinnanzi a una tale pluralità di proposte che è difficile riportarle ad unità. Il matrimonio civile non è la convivenza, sono due realtà differenti, chi convive spesso compie una scelta di delegittimazione del matrimonio, e non è un caso che uno dei padri sinodali abbia detto in aula che c'è il tentativo di de-istituzionalizzare il concetto stesso di famiglia. Bisogna verificare, ad esempio, se chi vive in un'unione di fatto, la considera un punto di partenza o il punto di arrivo. Se è il punto di partenza, ovvio che c'è lo sguardo di accompagnamento e dialogo, se è solo il punto d'arrivo dobbiamo far comprendere a queste persone conviventi che questa non è la tappa finale».
Ci sono situazioni dolorose, storie diverse tra di loro. Ci sono persone che fanno un'esperienza di fede e desiderano essere riammessi ai sacramenti. Lei riammetterebbe, in certi casi, i divorziati risposati all'eucaristia?
«Ho timore di cadere nella casistica, perché sono figlio di una teologia che l'ha superata, e quindi si tratta di una forma di pensiero che mi risulta un po' estranea. Riportando il discorso a una visione generale, oggi nella situazione in cui ci troviamo, chi può dire di non avere nella sua cerchia familiare dei casi di convivenza o di divorzio? Tutti conosciamo purtroppo situazioni in cui la bellezza del matrimonio è stata ferita, adombrata. Io penso che il matrimonio abbia subito un eccesso di accentuazione canonistica, e quindi legale, cadendo molte volte nel legalismo, che ha adombrato invece la dimensione sacramentale. Un recupero di quest'ultima dimensione credo potrebbe favorire l'individuazione di soluzioni differenti, pur in continuità con la dottrina originaria. Qui allora torniamo al primato della coscienza, sulla quale niente e nessuno può intervenire. È ovvio però che deve essere una coscienza illuminata dalla parola di Dio, sostenuta, accompagnata, che si sottopone al discernimento, che accetta l'obbedienza di un cammino. Ovvio che non può essere una coscienza libertina».
Come coniugare allora la dottrina e l'attenzione a certe situazioni? Come risponde il teologo Fischella?
«Avrei un'idea per uscire dall'impasse. Ci sono esempi nel Nuovo Testamento che non ho visto citati nel dibattito che ha preceduto questo Sinodo. Il primo è questo: Gesù dice che i peccati contro il Figlio dell'Uomo saranno perdonati, mentre non saranno perdonati quelli contro lo Spirito Santo. Credo che nel primo caso si tratti dei peccati di ignoranza, e dunque dovremmo capire quali siano questi peccati commessi senza rendersene conto, che potrebbero trovare un nuovo spazio nel confessionale. E poi c'è san Paolo: nella prima Lettera ai Corinzi aveva ordinato di cacciare dalla comunità una persona che viveva l'incesto, un peccato gravissimo. Ma poi, nella seconda Lettera ai Corinzi, l'apostolo ritorna sul caso e dice a quella comunità: voi lo dovete perdonare, lo dovete accogliere nuovamente, perché non abbia a soccombere sotto il peso della tristezza e perché noi non dobbiamo essere sopraffatti da Satana. Come fare per non essere sopraffatti da Satana, che è colui che divide? Non sappiamo quale sia stata la vita successiva di quest'uomo, ma san Paolo qui dà un ordine preciso e dice chiaramente che la comunità deve "consolare". Non potremmo trovare qui una dimensione utile come orientamento per coniugare i principi e la vita concreta delle comunità?».
Lei crede che ci sia un problema di accoglienza dei divorziati risposati?
«Fino adesso abbiamo parlato del momento culminante della vita cristiana, che è la partecipazione all'eucaristia, ma non dimentichiamo che tanti dei nostri fedeli divorziati risposati, i quali pure comprendono e accettano il divieto della Chiesa, sono però continuamente posti in una condizione di esclusione, una forma di discriminazione insensata. Mi domando perché delle persone divorziate risposate che frequentano la comunità non debbano avere l'opportunità di insegnare in una scuola cattolica o in una università le normali scienze e materie. Perché a un divorziato risposato non deve essere permesso di cantare in chiesa? Queste forme di esclusione urtano e non fanno poi capire quando poi la Chiesa dice che vuole accogliere»
Al Sinodo una coppia ha parlato dell'accoglienza di un figlio gay e del suo compagno. Qualcuno sul web ha parlato di uno spot...
«Non facciamo dietrologie e soprattutto non roviniamo la bellezza di una testimonianza di vita vissuta nella quotidianità! Anche a me più volte è capitato di avere a che fare con famiglie che mi hanno presentato situazioni simili. Quando mi chiedono perché la Chiesa si oppone, cerco di spiegare che la Chiesa non può riconoscere un matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma accoglie tutti come una madre e non come un giudice».
Come giudica l'iniziativa del ministro degli Interni italiano Angelino Alfano, che è intervenuto contro la trascrizione nei Comuni dei matrimoni gay contratti all'estero?
«Se ognuno si comporta come crede più opportuno, è inutile fare le leggi: penso che il ministro si sia mosso nell'ambito di sua competenza. Il Parlamento, con saggezza, discuta. Ognuno sia capace di ascoltare le ragioni dell'altro e non si creino situazioni di discriminazione per nessuno».
Che cosa si aspetta che emerga da questo Sinodo?
«Emergerà un metodo: un confronto, nel rispetto e perché no, anche nella chiarezza delle singole posizioni, ma che nessuno tra di noi pretenda di avere la verità in tasca. Come già ci insegnava Giovanni Paolo II nell'enciclica "Fides et ratio", la verità raggiunta è sempre una tappa che spinge oltre e quindi che ci spinge a ricercare ancora di più quello la dimensione di una coerente presenza nella Chiesa nel mondo di oggi. La Chiesa ha il compito di essere una voce profetica in tutti gli ambiti, sia quando è voce critica, sia quando è voce di difesa, sia quando è voce che promuove. Certamente siamo in un momento in cui la Chiesa è chiamata a compiere un passo importante e tutti ci auguriamo che sia un passo in avanti nel comprendere la missione di nuova evangelizzazione che compete in primo luogo alla famiglia».
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