Per Gesù regnare non è comandare, “alla maniera di questo mondo”, ma “obbedire al Padre”, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza. È la riflessione di Papa Francesco che, nella solennità di nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, ha celebrato in Piazza San Pietro la Santa Messa con rito di canonizzazione degli italiani Giovanni Antonio Farina, Ludovico da Casoria, Nicola da Longobardi, Amato Ronconi e degli indiani Kuriakose Elias Chavara della Sacra Famiglia ed Eufrasia Eluvathingal del Sacro Cuore. Al termine, la recita dell'Angelus. Il servizio di Giada Aquilino:
La salvezza comincia “dall’imitazione delle opere di misericordia” mediante le quali Cristo ha realizzato il suo regno, di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace. Papa Francesco lo ha ricordato ai circa 50 mila fedeli che, nonostante il cielo su Piazza San Pietro minacciasse a tratti pioggia, hanno assistito commossi al rito di canonizzazione dei sei Beati, unendo in un’unica scenografia i colori e la spiritualità dell’India e dell’Italia. Dopo la richiesta pronunciata dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, la formula recitata in latino dal Pontefice:
“Beatos Ioannem Antonium Farina, Cyriacum Eliam Chavara a Sacra Familia, Ludovicum a Casaurea, Nicolaum Laongobardis, Euphrasiam a Sacro Corde et Amatum Ronconi Sanctos esse decernimus et definimus”…
Oggi la Chiesa, ha detto il Papa, ci pone dinanzi come modelli i nuovi Santi che, “proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno servito, ognuno nel proprio ambito, il regno di Dio e - ha proseguito - ne sono diventati eredi”:
“Ciascuno di essi ha risposto con straordinaria creatività al comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Si sono dedicati senza risparmio al servizio degli ultimi, assistendo indigenti, ammalati, anziani, pellegrini. La loro predilezione per i piccoli e i poveri era il riflesso e la misura dell’amore incondizionato a Dio. Infatti, hanno cercato e scoperto la carità nella relazione forte e personale con Dio, dalla quale si sprigiona il vero amore per il prossimo”.
Riflettendo su come Gesù abbia realizzato il suo regno, il Papa - rifacendosi all’odierna prima Lettura del profeta Ezechiele sull’amore e la premura del Pastore “verso il suo gregge” - ha spiegato come Cristo sia davvero “il Pastore grande delle pecore e custode delle nostre anime”:
“E quanti nella Chiesa siamo chiamati ad essere pastori, non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari”.
Dopo la Risurrezione, che segna “la sua vittoria”, Gesù porta avanti il regno preparato “fin dalla fondazione del mondo”. E’ il Padre, ha aggiunto Papa Francesco, “che a poco a poco sottomette tutto al Figlio, e al tempo stesso il Figlio sottomette tutto al Padre”:
“Gesù non è un re alla maniera di questo mondo: per Lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a Lui, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza. Così c’è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre”.
L’ultimo nemico ad essere annientato, ha proseguito il Pontefice, sarà la morte. E alla fine, “quando tutto sarà stato posto sotto la regalità di Gesù”, e tutto, anche Cristo stesso, sarà stato sottomesso al Padre, “Dio sarà tutto in tutti”. Il Vangelo, ha affermato, “ci ricorda che la vicinanza e la tenerezza sono la regola di vita anche per noi”, e su questo saremo giudicati: questo - ha notato il Santo Padre - “sarà il protocollo del nostro giudizio”:
“Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita - il regno incomincia adesso - facendoci concretamente prossimo al fratello che chiede pane, vestito, accoglienza, solidarietà, catechesi. E se veramente ameremo quel fratello o quella sorella, saremo spinti a condividere con lui o con lei ciò che abbiamo di più prezioso, cioè Gesù stesso e il suo Vangelo”.
L’auspicio del Pontefice è stato quindi “che i nuovi Santi, col loro esempio e la loro intercessione, facciano crescere in noi la gioia di camminare nella via del Vangelo, la decisione di assumerlo come la bussola della nostra vita”.
“Seguiamo le loro orme, imitiamo la loro fede e la loro carità, perché anche la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. E ci guidi nel cammino verso il regno dei Cieli la Madre, Maria, Regina di tutti i Santi”.
Al termine della celebrazione, l’Angelus recitato in Piazza. Il Papa si è soffermato sull’esempio dei quattro Santi italiani, nati in provincia di Vicenza, Napoli, Cosenza e Rimini:
“Aiuti il caro popolo italiano a ravvivare lo spirito di collaborazione e di concordia per il bene comune e a guardare con speranza al futuro, in unità, confidando nella vicinanza di Dio che mai abbandona, anche nei momenti difficili”.
Quindi, l’auspicio del Pontefice per l’intercessione dei due Santi indiani, provenienti dal Kerala, “grande terra - ha ricordato - di fede e di vocazioni sacerdotali e religiose”:
“Il Signore conceda un nuovo impulso missionario alla Chiesa che è in India - che è tanto brava - affinché ispirandosi al loro esempio di concordia e di riconciliazione, i cristiani dell’India proseguano nel cammino della solidarietà e della convivenza fraterna”.
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