La Curia di Milano è sotto attacco dei movimenti Lgbt per aver inviato una lettera ai 6mila insegnanti di religione della Diocesi chiedendo di segnalare le scuole gay friendly. Cioè quegli istituti in cui negli ultimi tempi si sono fatti incontri, assemblee o semplicemente lezioni in classe sull’omosessualità o l’identità di genere. “Le Sentinelle a Schola”, l’ha buttata simpaticamente sul ridere il Foglio. Un po' meno spiritosi, anzi decisamente infuriati, i laicissimi giornaloni e giornalini accomunati dallo stesso mainstream liberal e arcobaleno, arrivati a definire “schedature” quello che invece, ha precisato l’Ufficio catechistico della Curia, voleva essere solo una semplice ricognizione sullo ”stato educativo” delle scuole milanesi. Allo scopo di poter “addestrare” meglio i docenti preparati, è bene ricordarlo, dalla stessa Curia all’insegnamento della religione. Nessuna schedatura, dunque, semmai sola un’indagine socio-statistica. Che male c’è? L’avesse fatta l’Istat tale inchiesta, qualcuno avrebbe avuto da ridire? Certo il cardinale Scola non è Pagnoncelli, ma l’arcivescovado ha tutto il diritto di sapere in che razza di ambiente si trovano a lavorare i “suoi” insegnanti.
Ecco, se qualcuno ancora dubita che in Italia non comandi già la lobby gay e anticattolica, fino alla demonizzazione e all’ostracismo legislativo delle opposizioni, quel che è successo a Milano rappresenta un formidabile “case history”. Dove il messaggio è chiaro: non solo chi tocca i gay muore, ma basta sfiorarli per rimanere fulminati. Non solo da associazioni e movimenti Lgbt, che da sempre sono l’intolleranza fatta omo, ma pure dalla stampa che generosamente offre la sua fascina alla pira dove mettere al rogo i cattolici. Grottesca la cronaca che ne fa Repubblica, quotidiano faro delle sinistra chic e liberal e bollettino della parrocchia gender. “La Curia scheda le classi pro gay. Lettera segreta ai seimila docenti di religione della Lombardia”, strilla il titolo. Beh, a parte il coraggio di definire “segreta” una lettera inviata in seimila copie, la fantasia allucinata della cronista repubblichina galoppa libera anche su altri pascoli. La Curia milanese è descritta come una sorta di Stasi e i suoi insegnanti sono “spie” chiamate a «collaborare a questa schedatura di massa delle scuole pubbliche».
Ma occhio al finale: la registrazione ordinata dai Vopos di Scola, svela la giornalista, «doveva restare segreta, svolta senza dare nell’occhio dai 6102 docenti cattolici destinatari di una lettera pubblicata on line su un portale riservato. Ma quando il documento arriva a Repubblica scoppia un caso nazionale». Portale riservato? Sì, magari in Curia c’è pure un “telefono rosso”, quello che durante la guerra fredda usavano i capataz dl Cremlino. Pare di vederli, quei seimila agenti a servizio del cardinale che con il bavero alzato svolgono “senza dare nell’occhio” le loro ricerche. Oggi le comiche: più che James Bond qui siamo all’ispettore Clouseau a caccia della Pantera Rosa. Comunque, il sasso di Repubblica è lanciato e gli altri cagnolini scodinzolanti vanno subito a rincorrerlo.
Ma occhio al finale: la registrazione ordinata dai Vopos di Scola, svela la giornalista, «doveva restare segreta, svolta senza dare nell’occhio dai 6102 docenti cattolici destinatari di una lettera pubblicata on line su un portale riservato. Ma quando il documento arriva a Repubblica scoppia un caso nazionale». Portale riservato? Sì, magari in Curia c’è pure un “telefono rosso”, quello che durante la guerra fredda usavano i capataz dl Cremlino. Pare di vederli, quei seimila agenti a servizio del cardinale che con il bavero alzato svolgono “senza dare nell’occhio” le loro ricerche. Oggi le comiche: più che James Bond qui siamo all’ispettore Clouseau a caccia della Pantera Rosa. Comunque, il sasso di Repubblica è lanciato e gli altri cagnolini scodinzolanti vanno subito a rincorrerlo.
Al Pd non par vero di poter denunciare «il bullismo omofobico e transfobico» (copyright di Alessandro Zan, deputato) dei cattolici; per i radicali, invece, la «Curia di Milano dimostra di non aver rispetto più neanche per gli insegnanti di religione che vorrebbe trasformare in delatori», mentre per l’Arcigay «questa è l'ennesima posizione omofobica della Chiesa in un ambito delicatissimo com'è quello dell'educazione e della formazione dei giovani». In tale turbinio di parole allo sbaraglio, il più sobrio è alla fine proprio Ivan Scalfarotto, il sottosegretario che con la sua proposta di legge ha imposto l’emergenza omofobia in Italia. «Indagine inopportuna», ha liquidato in modo molto british l’iniziativa curiale. L’onorevole furbetto deve aver capito che in questi casi non serve alzare i toni: la stampa amica e le associazioni arcobaleno fanno già egregiamente il lavoro sporco necessario alla causa.
Altri sono, invece, quelli che prima hanno pasticciato in modo leggero e ingenuo e dopo l’imboscata diRepubblica hanno reagito in modo ancor più disastroso. Appare, infatti, del tutto incomprensibile la strategia dell’Arcivescovado che ha abbandonato le posizioni e indossato il saio francescano (ogni riferimento al Papa è puramente casuale), per recitare il mea culpa. La lettera aveva modi e parole fuori luogo, ha ammesso la Curia: «La comunicazione è formulata in modo inappropriato e di questo chiediamo scusa». “Inopportuna”, aveva suggerito Scalfarotto, “inappropriato” confessa don Gian Battista Rota, responsabile dell’Ufficio catechistico della Curia, in una concordanza lessicale un tantino inquietante. Sorry, il caso è chiuso e amici come prima. Non è chiaro, invece, quello che gli insegnanti di religione dovranno fare della lettera scarlatta: bruciarla, rispedirla al mittente oppure girarla anche ai quotidiani locali.
Va bene arrendersi e deporre le armi, ma una fuga appare un po’ troppo precipitosa. Eppure, c’era stato all’inizio un tentativo di resistenza, ma è durato solo qualche ora. «L'intento originario» della lettera agli insegnanti, spiegava all’inizio la Diocesi, «era esclusivamente quello di conoscere dagli insegnanti di religione il loro bisogno di adeguata formazione per presentare, dentro la società plurale, la visione cristiana della sessualità in modo corretto e rispettoso di tutti». Per questa ragione, si chiedeva di segnalare «l'effettiva diffusione dell'ideologia del gender» e dove «erano state attuate iniziative in questo senso». Era così difficile mantenere fino all’ultimo questa posizione? Cosa mai c’era di offensivo e vergognoso nel voler conoscere la situazione nelle scuole lombarde su temi tanto sensibili da parte della Chiesa che per vocazione e missione deve educare? Adesso, dopo le reverendissime scuse dell’Arcivescovado, quale insegnante, e non solo di religione, avrà ancora il coraggio di opporsi a quella mentalità che nega ogni differenza, fa piazza pulita della natura e delle evidenze umane, assolutizza una libertà sotto vuoto spinto?
Del resto, le scuse (ma a chi, poi?) della Curia ambrosiana hanno illustri precedenti. A Moncalieri, ad esempio, un'insegnante di religione dopo essere stata accusata da un militante di Arcigay di omofobia per cose che non ha mai detto, ha pure dovuto subire il predicozzo dell’arcivescovo di Torino. Lì, a sollevare il polverone, erano stati i gruppi Lgbt, a Milano a spifferare la lettera a Repubblica ci hanno pensato alcuni insegnanti di religione. Insomma, vittima di fuoco amico, di “delatori” che solo qualche tempo fa la Diocesi ha ritenuto competenti e degni di insegnare ai ragazzi la dottrina cattolica. Beh, adesso costoro potranno vantarsi di aver sventato l’oscuro progetto della Chiesa di schedare e spiare scuole e docenti fuori norma. E visti i successi, attenderanno con impazienza la prossima missiva in arrivo dall’Ufficio catechistico di piazza Fontana. Basterà rigirarla ai giornali, con tante scuse da parte dell’arcivescovo. Anche Repubblica ha le sue Sentinelle e la prossima volta, la Curia milanese, prima che sui gay, farebbe bene a indagare sugli insegnanti di religione.
Luigi Santambrogio
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