Immagini shock per una campagna ultra chic. Di quelle che Toscani, l’agent provocateur dello spot radical e finto liberal, faceva qualche annetto fa per spacciare forti emozioni e rifilare colorati maglioni. Adesso sono i media cattolici a scimmiottare la trita filosofia politically correct, quella delle parole che uccidono e che trapassano come proiettili il cranio a povere vittime sacrificali. Immagini forti, effetti pulp per slogan un tantino andati ma pur sempre efficaci. Oliviero stavolta non c’entra, ma la Testa (l’agenzia che ha ideato la pubblicità) è sempre quella. Un proiettile, una parola. Sei di colore? «Negro!». Sei musulmano? «Terrorista!». Sei di etnia rom? «Ladro!». Sei sovrappeso? «Ciccione!».
Si potrebbe continuare ma per il momento la campagna di Avvenire, Famiglia Cristiana e settimanali cattolici contro “ogni forma di razzismo e discriminazione”, si ferma qui. Ma già è pronto il prossimo frame: Sei gay? «Fatti curare!», pum pum! Prossimamente su queste pagine, dove è carico e pronto a sparare il catto-fuciletto di carta. Esageriamo? Speriamo, ma è la cronaca che, come sempre, supera l’immaginazione. Lo conferma il caso di Adele Caramico, dell’insegnante di religione dell’istituto tecnico Pininfarina di Moncalieri, messa in croce senza nemmeno un processo sommario per non aver detto (clicca qui) che i gay sono persone malate ma possono guarire se si fanno curare.
A picchiare sui chiodi si sono subito offerti le associazioni arcobaleno e i capofila della grande stampa gay friendly, Repubblica e il Corriere della Sera, che senza neppure verificare in loco hanno allestito la solita e farlocca sceneggiata clerical-omofoba. Stavolta, però, in benedetta compagnia della stampa cattolica, quella appunto con il fucile puntato sulle discriminazioni pisico-lessico-razziali e sulle parole come armi. Con il fuoco amico di qualche vescovo e della Curia torinese, scesi in campo non a difendere l’insegnante di religione, ma a contenere gli eventuali danni collaterali di quelle mai fatte dichiarazioni anti gay. Spettacolo a dir poco surreale e alquanto mortificante vedere la Curia torinese prendere per buone le ricostruzioni mediatiche senza neppure interrogare l’insegnante per saperne di più. Sui fatti di Moncalieri, Avvenire, quotidiano della Conferenza episcopale italiana, titolava neanche fosse Repubblica o Corriere: «“I gay sono malati", bufera sulla prof», con un seguito apocalittico di «studenti in rivolta». Épater les catholiques, insomma. Ma stavolta a parti rovesciate.
Sulla presa di distanza (a prescindere) dall'insegnante da parte dell'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, abbiamo già scritto, ma in realtà pare essere stata tutta la Curia a mobilitarsi. SuAvvenire, don Bruno Porta, responsabile dell'ufficio scuola della diocesi, si è subito allineato al tribunale del popolo: «Non si deve giudicare né discriminare, come dice papa Francesco». E don Gian Luca Carrega, docente di Sacra scrittura alla Facoltà teologica di Torino e delegato della Diocesi per la pastorale delle persone omosessuali, sempre su Avvenire, aveva già "licenziato" la Caramico: «Un'insegnante non deve rapportarsi così ai ragazzi». Forse qualcuno in Arcivescovado avrebbe dovuto telefonare alla professoressa per acquisire almeno la sua versione dei fatti. Adesso, visto che Adele Caramico quelle cose sui gay non le ha mai dette, forse la telefonatina dovrebbero fargliela, tanto per correggere un po’ il tiro. Del resto, anche queste parole un po’ scioccanti lo erano, o no?
Anche perché don Carrega non si è mica fermato lì. In un'intervista a Repubblica, l’esperto del vescovo si è spinto anche più avanti: «Probabilmente questa professoressa aderisce alle teorie riparative, come quelle di Nicolosi. Ma siamo al di là delle linee educative e dei programmi scolastici e dello stesso magistero della Chiesa. Qui siamo nel campo delle singole opinioni, opinioni che io personalmente non condivido». Okkei, ma a quanto pare neppure la prof le condivide (anche se le teorie riparative non sono affatto in contrasto con il magistero) e non è mai stata discepola dello psicologo americano citato da Carrega. Che, per chiudere ogni discussione, si è inventato una nuova tipologia di educatore: l’insegnante “fuori programma”. «Non essendo l'omosessualità una materia che rientra nei programmi scolastici, mi pare che la questione rientri puramente nell'ambito del confronto personale che ogni docente ha con i suoi allievi». Insomma, la Caramico poteva benissimo parlarne con le amiche all’ora del tè, ma non in classe perché, ricorda la Curia, l’omosessualità è argomento extra-scolastico. A domanda, insomma, bastava un secco no comment. Massì, meglio un buco che uno scoop.
Questo, purtroppo, abbiamo letto sul quotidiano e sui settimanali cattolici, mentre la campagna di Testa ci passava davanti con quei crani trapassati dai proiettili semantici del pregiudizio. Ma all’album delle figurine con l’arabo terrorista, la rom ladra, il giovane negro e il ragazzo ciccione mancava, però, la new entry più preziosa e trendy: quella del gay ucciso con la pallottola dell’omofobia. Dove insegnare religione può già costituire prova di reato. La scuola di Moncalieri potrebbe essere la giusta location per completare la campagna: al primo test ha già fornito risultati incoraggianti.
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