Ricorre domenica prossima il 25.mo della caduta del Muro di Berlino, un evento spartiacque della storia contemporanea. Per giudizio pressoché unanime degli storici, Giovanni Paolo II fu tra coloro che più contribuirono a quello straordinario avvenimento e al successivo dissolvimento dell’impero sovietico. Per una testimonianza su come Karol Wojtyla ha vissuto quel 9 novembre del 1989, Alessandro Gisotti ha intervistato l’ex direttore della Sala Stampa Vaticana, Joaquin Navarro-Valls:
R. - Quando si guarda indietro, con la memoria, forse si coglie meglio ancora la dimensione straordinaria di quell’evento: una dimensione che non è fondamentalmente politica, ma che è soprattutto umana. L’altro aspetto da sottolineare - che naturalmente fa di quell’evento una cosa storica da tutti i punti di vista, ma anche sorprendente - è che questo gigantesco cambiamento rappresentato dalla caduta del Muro sia avvenuto senza spargimento di sangue.
D. - Che ricordi ha di come San Giovanni Paolo II reagì a questo evento epocale? Ha dei ricordi proprio di quella sera del 9 novembre 1989?
R. - Curiosamente, era quasi come se lui se lo aspettasse. Entrava questa possibilità pienamente nel suo modo di pensare e per lui era quasi una non notizia. Naturalmente c’era anche un elemento di sorpresa per la data… Però in tutti quegli anni, che sono stati 10 anni - dal ’79, data del suo primo viaggio in Polonia, all’89 data della caduta del Muro, quindi 10 anni - in cui lui continuava ad andare in Polonia, continuava con il suo messaggio… Era un lavoro straordinario, anzi direi un capolavoro straordinario che lui ha fatto in tutti quegli anni.
D. - Possiamo dire che anche quando nessuno ci sperava o quasi, Karol Wojtyla invece credeva fermamente nella caduta del Muro di Berlino e poi nella fine dell’impero sovietico?
R. - Sembra di sì, anzi ne sono convinto! Lui aveva già detto agli inizi, subito dopo il suo primo viaggio in Polonia nel ’79, che il più grave errore, l’errore fondamentale del socialismo, del socialismo reale, era antropologico. Questa era una cosa che fu sorprendente anche a livello delle cancellerie europee e anche americane. Lui capiva benissimo che l’errore di base di questo socialismo reale era di natura antropologica e cioè una visione sbagliata dell’uomo: quell’uomo nuovo che il comunismo voleva ricreare, perché la società che loro immaginavano funzionasse, era un mito, un grande errore. Quindi lui se lo aspettava, aspettava questo cambiamento e per questo continuava - in tutto quel lungo periodo di dieci anni - a ripetere il suo messaggio, che fu perfettamente capito in tutto il centro-est europeo.
D. - Mikhail Gorbaciov ha affermato che senza Giovanni Paolo II non si può capire ciò che è avvenuto in Europa in quegli anni e in particolare nel 1989…
R. - Ho avuto l’occasione di parlare diverse volte con Mikhail Gorbaciov, la prima volta anche prima che lui venisse - più di un anno prima, nell’88 - a Mosca; nell’89 aveva scritto una lettera, un lunga lettera a Giovanni Paolo II - conosco naturalmente quel testo - e in quella lettera una delle cose per me sorprendenti è che lui citava e faceva delle citazioni letterali piuttosto frequentemente delle cosiddette encicliche sociali di Giovanni Paolo II: non c’è dubbio che lui abbia trovato alcuni punti di ispirazione, nei cambiamenti che lui rappresenta, in quello che Giovanni Paolo II aveva scritto, aveva detto. Questa sua affermazione - non si può capire ciò che è successo in Europa senza tener conto del lavoro, della presenza e delle parole di Giovanni Paolo II - è non soltanto da parte sua molto sincera e molto autentica nel dirlo, ma è anche una verità storica.
D. - Nel memorabile e a tratti anche commovente discorso alla Porta di Brandeburgo nel 1996, Giovanni Paolo II affermò con forza che l’uomo è chiamato alla libertà, lo ha ripetuto più volte. Questo è il messaggio più forte che resta?
R. - In qualche modo sì. Dobbiamo però anche ricordare che Giovanni Paolo II, che adoperava spesso la parola “libertà”, la abbinava sempre al concetto di verità: se è possibile per l’essere umano essere libero e decidere è perché può conoscere la verità e quindi questa conoscenza della verità è quello che gli permette poi di decidere e alla fine di agire. Nel contesto del socialismo reale questo era completamente nuovo, perché era l’impero della menzogna organizzata. Era questo, era il rivendicare la verità delle cose. E questo va strettamente unito al concetto di libertà.
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