«Occorre domandare la grazia di ascoltare il grido silenzioso dei nostri fratelli, di non essere superficiali nei confronti del tanto dolore che ci circonda». La II Via Crucis guidata dall’Arcivescovo in Duomo per il cammino catechetico 2015, «Innalzato da terra attirerò tutti a me», fa memoria viva e presente delle ultime ore dell’esistenza terrena di Gesù. Si ripercorrono “Gli incontri”, attraverso la IV, V, VI e VII Stazione. Prima, con la sempre bella e suggestiva elevazione musicale, poi, durante il rito, con l’ascolto della Parola di Dio e delle testimonianze, migliaia di fedeli.
«Partecipando alla preziosissima pratica della Via Crucis siamo inseriti nell’attrazione che è attrattiva, percorrendo un tratto della Via Dolorosa in cui Gesù incontra uomini e donne», dice subito il Cardinale che ha portato la Croce all’ultima Stazione fino sull’Altare maggiore della Cattedrale. Emblema di questa attrazione sono, quindi, gli incontri con la Madre, Simone di Cirene, la Veronica, e il nostro quotidiano incontro con Lui.
«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Da questo, che l’Arcivescovo definisce il «caposaldo della esperienza cristiana», nasce la riflessione, seguendo la Passione in cui le parti, paradossalmente, tra Cristo e gli uomini, sembrano essere invertite: «Non è, come le altre volte, Lui a donare aiuto, consolazione, beneficio; questa volta è Lui che riceve sostegno da loro e anche da noi, poveri uomini, che sappiamo che un tratto decisivo dell’amore è la tensione a condividere totalmente la vita dell’amato, anche se oggi si spegne questa tensione alla totalità della fedeltà e della fecondità». È, d’altra parte, la stessa icona artistica scelta per la serata - Il bacio di Giuda della Bottega di Francesco del Cairo, magnifico olio su tela della metà del Seicento -, a dire tale paradosso in modo violento nel drammatico l’abbandono di Cristo a Giuda e al suo tradimento.
Le testimonianze del poeta Rainer Maria Rilke (IV Stazione), di Benedetto XVI per la V, di Edith Stein e Hans Urs Von Balthasar, rispettivamente per la VI e la VII, sono come un unico grido di strazio che si alza davanti al sacrificio del Figlio di Dio «che ha molti nemici, ma non lo è di nessuno». Come Maria, come le donne fonte della tenerezza delicata, «sempre di fronte allo straziante “spettacolo” del dolore alziamo in mille modi questo grido e purtroppo la cronaca di questi tempi ce ne dà motivo, con tante guerre, tanto terrorismo, violenza, emarginazione. L’uomo lo lancia come pietra di ribellione e lo sente come pesantissimo inciampo, perché anche di fronte al minimo dei dolori fisici, a quelli morali che vengono dal nostro peccato, troppo spesso siamo rapidi, dimenticando che da soli, se non ci fosse il Crocifisso, non ci darebbe tregua il senso di colpa».
Eppure, sulla Via della Croce, c’è anche l’amore gratuito, quello di Simone di Cirene. È l’«urgenza» dell’amore, «urgenza che pure sentiamo così profondamente conveniente, umanamente autentica, che ci rende una famiglia, al di là delle nostre contraddizioni, dei conflitti, anche se mai come in questi tempi la globalizzazione dell’indifferenza di cui parla papa Francesco, sembra avere la meglio soprattutto nelle nostre società avanzate. Quanta solitudine intorno a noi...», sottolinea l’Arcivescovo. «Per questo - scandisce - la Chiesa, che dobbiamo amare di più in tutte le sue forme, anteponendo l’amore alla critica, perché una critica senza amore non costruisce, come una madre premurosa, ci educa richiamandoci, in Quaresima, a gesti puntuali di carità. Carità che deve essere più fattiva, che deve farsi più vicina ai lontani, come fa, appunto, una madre con i propri figli. «Ecco allora, l’importanza di esporre il nostro bisogno e di aprirci al bisogno dell’altro, nelle forme che anche la nostra Chiesa mette a disposizione», con quella «condivisione che viene dallo stare attorno alla croce». Quando «la nostra concentrazione narcisistica non ci fa guardare al cuore dell’altro, al rovello che ha dentro; laddove vedere la croce non ci viene spontaneo e ci costa fatica», occorre essere consapevoli che solo dalla com-passione nasce la con-solazione, come ha scritto Benedetto XVI.
Insomma, l’uomo non può sostenere da solo la prova del dolore e bisogna «amare Colui che ama per primo e fino alla fine», con azioni di condivisione umana. Ancora una volta è una donna, Veronica, a delineare il vertice e l’esemplarità di un gesto amoroso «ricompensato con il dono del volto di Cristo da custodire», perché, suggerisce il Cardinale con le parole «potentissime» di Edith Stein divenuta Santa Benedetta della Croce, «la scienza della croce non è una teoria, magari per sostenere alla più fragile e più deviante delle posizioni, ma verità viva, reale e attiva».
Tipo di scienza «che dà all’anima un’impronta speciale», come diceva appunto la Santa morta ad Auschwitz. «Quante volte lo abbiamo visto nei nostri cari in punto di morte e lo possiamo vedere nei tanti volti degli immigrati che giungono, quando giungono, scacciati e costretti a partire dalle loro terre».
È di fronte a tutto questo che occorre domandare la grazia di ascoltare il grido magari silenzioso dei nostri fratelli uomini, di non essere superficiali nei confronti di tanto dolore e di tanta sofferenza che ci circonda. L’invito è ad affrontare il tempo quaresimale con penitenza, preghiera, astinenza, digiuno e carità. «Una carità spicciola e quotidiana - raccomanderà il Cardinale a conclusione del Rito - con le persone più care e con quelle in cui ci imbattiamo casualmente».
Infine, la VII Stazione con la seconda caduta di Gesù, simbolo di pieno abbandono e di obbedienza. «L’etimo del verbo latino di “obbedire” significa ascoltare chi si ha davanti. L’obbedienza, così intesa, è la suprema attività dell’amore; l’obbediente è un “io” teso al a fare spazio al “tu”. Ecco la forza di una relazione - espressione di cui troppo spesso ci riempiamo la bocca -, che raggiunge il livello della comunione».
Qui il punto per non vivere la Via Crucis come una mera “sacra rappresentazione”, ma come principio di cambiamento e di accettazione: «La vita è l’unica strada all’assunzione del reale. Quel Crocifisso è definitivo perché, nell’ultimo abbandono, fa capire agli uomini l’amore, ciò di cui ognuno di noi ha sete. Questo può riscattarci dalla ripetitività noiosa e opacizzante del peccato, Anche quando siamo lontani, Lui continua a esserci e a chiamarci amici».
Infine, la preghiera composta dallo stesso Arcivescovo che è come il sigillo della Via Crucis: «Non vogliamo coprirci la faccia davanti al tuo volto sfigurato dal dolore, ma imprimerlo a tal punto sul nostro volto da diventare riconoscibili come tuoi, come dice Edith Stein, vogliamo essere tuoi nonostante noi».
Via Crucis con l’Arcivescovo
«Innalzato da
terra attirero’ tutti a me» (Gv
12,32)
Gli Incontri (Stazioni IV - VII)
Lam
1,12-13; Lc 23,26; Is 53,2-3;Eb 5, 5,7-9
Testi di Rilke,
Benedetto XVI, Edith Stein, H. U. von Balthasar
Duomo di Milano, 10 Marzo 2015
Martedì
della terza settimana di Quaresima
Catechesi di
S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
«All’inizio
dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì
l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo
orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Deus caritas est, 1). Il titolodell’amore è la
tensione a condividere la vita dell’amato, fino ad immedesimarsi con lui.
L’Addolorata del Figlio dell’uomo, dell’uomo dei dolori, Maria – del resto fin
dall’inizio il vecchio Simeone glielo aveva profetizzato – è trafitta come il Figlio.
«I salvatori
vanno scavati dalle montagne dove la durezza si estrae dalla durezza… Perché subito, violentemente, da me non sei
uscito? … perché sono stata allevata tra le donne» (Rilke). Sempre di
fronte allo straziante “spettacolo” del dolore si alza in noi questo grido:
perché? L’uomo lo lancia come pietra di ribellione, lo sente come pesantissima
pietra di inciampo. Lo avverte come contro natura: «e tu sconvolgi all’improvviso la natura» (Rilke).
V. stazione
- Gesù è aiutato da Simone di Cirene
«Davanti a un amore così disinteressato, colmi di
stupore e gratitudine, ci chiediamo ora: Che faremo noi per Lui? … La passione
di Cristo ci sospinge a caricare sulle nostre spalle la sofferenza del mondo» (Benedetto XVI,
Spe salvi, 39). Caritas Christi urget
nos, dice San Paolo.
Questa “urgenza” che pure sentiamo così
profondamente conveniente, cozza sempre di più con una dura resistenza, con
quella “globalizzazione dell’indifferenza” (Papa Francesco) che oggi sembra
avere la meglio nelle nostre società avanzate, ancora così spudoratamente
ricche. Per questo la Chiesa, come una madre premurosa, ci educa richiamandoci,
in Quaresima, a gesti puntuali di carità. Una carità più fattiva. Più vicini ai
più lontani. E, come spesso deve fare una madre con i propri figli, insiste e
un pochino ci forza in questa direzione: «Gli
misero addosso la croce, da portare dietro Gesù» (Lc 23,26b).
Esporre il nostro bisogno all’altro e
aprirci al bisogno dell’altro, soprattutto condividerne la croce, non ci viene
spontaneo, ci costa fatica. Eppure, afferma acutamente Papa Benedetto, dalla com-passione nasce la con-solazione (stare con uno che è solo).
L’uomo non può sostenere da solo la prova del dolore. Dio per primo ha patito con e per lui, indicandogli la strada della caritas. Ama colui che ama per primo.
VI.
stazione - Gesù incontra la Veronica
Veronica. Il gesto amoroso di questa donna
è ricompensato con il dono del volto di Cristo da custodire. Un volto devastato
dalla passione, vertice del dolore e dell’amore. Un volto che «non ha apparenza né bellezza per attirare i
nostri sguardi» il volto di Colui «che
ben conosce il patire» (Is 53,
2b-3).Durante il medioevo il velo della Veronica
era la principale reliquia di Roma, meta e premio dei pellegrini che vi si
recavano, per venerare le tombe degli apostoli.
La scienza della croce non è una teoria ma
una esperienza (verità viva, reale, attiva) che dà «all’anima un’impronta speciale e determinante nella sua condotta, al
punto da risultare chiaramente discernibile dall’esterno» (Edith Stein).
Occorre domandare
la grazia di ascoltare il grido dei nostri fratelli uomini, di non essere
superficiali nei confronti di tanto dolore e di tanta sofferenza che è intorno
a noi.
VII.
stazione - Gesù cade la seconda volta
Gesù, dice San Paolo, «pur essendo Figlio [di Dio], imparò l’obbedienza» (Eb 5,8a).
Che cos’è l’obbedienza? L’etimo del verbo
latino oboedire/ob-audire dice un
ascoltare chi hai davanti. L’obbediente è un io tutto teso al tu, a
fargli spazio. Nell’appressarsi della Passione, Gesù col volto rigato di sangue
aveva dichiarato al Padre: «Non come
voglio io, ma come vuoi tu» (Lc 22,42).
Obbedienza non è passività, ma la suprema attività dell’amore. Non
l’annientamento della sottomissione, ma la piena realizzazione («e, reso perfetto», Eb 5,8b) di colui che afferma l’altro e liberamente gli si dona.
Certo, come ogni sposo ed ogni genitore sa
bene, affermare l’altro fino al mistero inaccessibile della sua libertà, costa
molta sofferenza («imparò l’obbedienza da
ciò che patì»). E troppa sofferenza - non solo quella fisica, ma anche
quella morale causata dal male altrui e proprio – è umanamente insopportabile.
L’uomo ne rimane schiacciato, atterrito e atterrato.
Affermavano già i greci: «… un uomo non provato rimane immaturo… Ma là,
dove subentra l’eccesso, l’insopportabile, l’ingiustificabile nell’agire, ogni
filosofia e ogni pedagogia ammutolisce. […] Gesù Cristo è la Parola definitiva del creatore e del Padre del mondo,
e la definitività risiede nel fatto che il sacrificio del Figlio e della Parola,
nell’ultimo abbandono, è anche la più profonda rivelazione dell’amore di Dio al
mondo» (Hans Urs von Balthasar).
Signore
Gesù,
mentre
siamo ancora peccatori e lontani,
tu
dai la vita per noi.
Tu
rispondi al nostro accanito tradimento chiamandoci amicie
ogni giorno ti offri come vittima in sacrificio per la nostra salvezza.
Fa’
che possiamo essere annoverati tra coloro che ti obbediscono.
O
Gesù, amore crocifisso,
Noi
non vogliamo coprirci la faccia davanti al tuo volto sfigurato dal dolore,
ma
imprimerlo a tal punto sul nostro volto da diventare riconoscibili come tuoi.
Amen.
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