La «strana, potente fecondità della Croce» senza la quale, come disse papa Francesco all’indomani della sua elezione, «non siamo veri cristiani». È la Croce, quel “palo ignominioso” simbolo di ogni morte innocente - di ogni dolore vissuto nella vita, nelle personali sofferenze quotidiane o nelle grandi tragedie dell’umanità - ad annodare, come il filo d’oro, la riflessione del cardinale Scola nella prima delle quattro Viae Crucis da lui guidate in Duomo per il Cammino catechetico della Quaresima 2015, «Innalzato da terra, attirerò tutti a me».
Catechesi di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
Introduzione
«Innalzato da terra attirerò tutti a me»
(Gv 12,32).
E qualche
attimo prima, in una sorta di testamento spirituale, con quel tono struggente
intimo e doloroso di chi sa che ormai la sua ora è giunta, Gesù aveva detto ai
suoi: «Se il chicco di grano caduto in
terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).
La croce
ha una strana, potente fecondità. Chi subisce lo scandalo della croce è
umanamente comprensibile ma, ci ha ammonito Papa Francesco con severità, non è
cristiano: «… senza Croce, non siamo
discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi ma
non discepoli del Signore» (Omelia al
Collegio cardinalizio, Cappella Sistina, 14 marzo 2013).
Solo la
Croce, o meglio il Crocifisso, rende accessibile il dono della salvezza a tutta
l’umanità.
L’attrattiva
di Gesù Crocifisso, di cui parla San Giovanni, non è ovviamente un’attitudine
masochistica a soffrire come aveva sostenuto Nietzsche quando, esprimendo tutto
il suo disprezzo, aveva definito la Croce “l’albero più velenoso di tutti gli
alberi”, “una maledizione per la Vita” (in Ecce
homo, Dioniso contro il Crocifisso).
La forza attrattiva di Cristo sulla
Croce è la forza del dono totale di sé per amore. «Forse che fine della vita è vivere? – dice il vecchio Anna Vercors,
portando tra le braccia il corpo morto della figlia Violaine, uccisa per
gelosia dalla sorella – Non vivere ma morire e dare in letizia quel che
abbiamo. … non digrossar la croce ma salirvi, e dare in letizia ciò che abbiamo. …
Che vale il mondo rispetto alla vita? E che vale la vita se non per essere
data?» (P. Claudel,
L’annuncio a Maria).
Se è stato così per il
Maestro e Signore, così sarà per i discepoli, come ha scritto nel suo
testamento spirituale un martire del nostro tempo, Shahbaz Bhatti, qualche mese
prima di morire, il 2 marzo 2011. [«Voglio
che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che
sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei
privilegiato qualora… Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita»].
I. stazione - Gesù è condannato a morte
«Caifa, che era sommo sacerdote
quell’anno, disse loro: “Voi non
capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo
muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!”» (Gv 11,49-50).
È conveniente per voi: per l’insondabile abisso della misericordia divina
la perfida condanna cambia di segno. Il castigo di un uomo diventa salvezza del
popolo. In forza di questo mirabile scambio la Via Crucis del Redentore rende possibile la marcia inarrestabile
dell’uomo salvato a dispetto del suo
essere negativo. «Bestiali come
sempre, egoisti come sempre [ogni giorno lo vediamo con i nostri occhi] … eppure … sempre a riprendere la loro
marcia sulla via illuminata dalla luce» (Eliot). Questa capacità di ripresa
dei cristiani che la fede in Gesù Cristo orto e risorto genera giunge fino
all’edificazione di un società dal volto umano.
II. stazione - Gesù è caricato della Croce
Di fronte
all’evidente ingiustizia perpetrata dai Giudei contro Gesù, Pilato vorrebbe
rimetterlo in libertà e conta su un estremo sussulto di verità della loro
coscienza – «“Metterò in croce il vostro
re?”» – Non avendolo ottenuto – «“Non
abbiamo altro re che Cesare”» (Gv
19,15) – se ne lava le mani. Non sopporta di stare davanti all’ingiusto dolore
del condannato e scappa.
«Il dolore,
specialmente quando è cosciente, quando è disonorato, quando è coperto di
crudeltà, ci fa spavento» ci ha detto il Beato Paolo VI. Noi ci indigniamo
facilmente, ma con altrettanta facilità tendiamo a battere la ritirata. Quante
volte i nostri fratelli cristiani perseguitati ci hanno implorato di non
dimenticarli..!! Eppure una dimenticanza colpevole, fosse solo per la nostra
superficialità, ci fa in un certo senso complici della loro sofferenza, così
come di quella di coloro che si trovano in situazione di miseria e di più svariato
bisogno.
Gesù, davanti al
nostro dolore non scappa, se lo addossa. Beve il calice della sofferenza
dell’uomo fino all’ultima goccia.
III. stazione - Gesù cade la prima volta
Egli cade come noi,
con noi. E «proprio per essere stato
messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in
aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb
2,18). Questo suo aiuto è la nostra forza, come ci ricorda San Tommaso: «Attirami se ti resisto, rialzami se cado».
Infatti – ce lo ripetiamo spesso – la figura morale compiuta del cristiano non
è l’impeccabilità, ma la ripresa.
Gesù Figlio di Dio,
Innocente Crocifisso,
attiraci a Te.
Liberaci dallo spavento
e dallo scandalo del dolore.
Quando cadiamo,
fa’ che il nostro sguardo
incroci il Tuo sguardo
velato dalla sofferenza e dall’umiliazione.
Donaci lacrime di autentica contrizione
e rialzaci,
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