Davide Prosperi, ricercatore all'Università di Milano Bicocca, racconta la sua esperienza da membro di Comunione e Liberazione e vicepresidente della Fraternità di CL, in attesa dell'udienza di sabato prossimo del movimento con il Santo Padre
Ci sarà tutto il “popolo” di Comunione e Liberazione all’udienza di sabato prossimo in piazza San Pietro con papa Francesco. Persone da tutti e cinque i continenti, appartenenti ad ogni settore della società: missionari, insegnanti, artisti, politici, imprenditori, medici, scienziati. Per ricordare, a dieci anni dalla scomparsa, don Luigi Giussani (1922-2005), un uomo il cui sguardo attento e gioioso sulla realtà tutta, ha generato un movimento la cui espansione in sessant’anni è andata molto oltre quelli che erano i progetti originari.
Tra i partecipanti all’incontro, vi sarà Davide Prosperi, esperto di nanotecnologia e ricercatore in Biochimica presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano Bicocca, e vicepresidente di Comunione e Liberazione. A colloquio con ZENIT, il professor Prosperi ha raccontato le attese sue e dell’intero movimento riguardo all’evento di sabato prossimo e ha espresso il proprio ricordo personale di don Giussani.
Professor Prosperi, cosa significa per Comunione e Liberazione incontrare un personaggio come papa Francesco?
Un incontro con lui, molti di noi l’hanno già avuto lo scorso 9 maggio, quando c’è stata l’udienza con il mondo della scuola: lì noi ci siamo sentititi molto coinvolti, avendo avuto il movimento, sin dalla sua nascita, una connotazione educativa. Questo però è indubbiamente il primo momento in cui incontriamo il Papa come Comunione e Liberazione.
Noi siamo stati molto legati a tutti i papi precedenti: la figura del successore di Pietro per noi è fondamentale in quanto tale, a prescindere dalle caratteristiche dei singoli papi che si sono succeduti. Papa Francesco sicuramente, oltre che grande simpatia, suscita grande stima perché gli riconosciamo un’essenzialità che lui vive e comunica a riguardo di quello che realmente vale nella vita di ogni uomo e quindi nella vita dei cristiani, perché noi siamo uomini come tutti gli altri, che hanno incontrato il segreto della vita, rivelato attraverso un uomo che era Dio. Papa Francesco comunica questa grande umanità in cui si vede l’essenzialità di qualcosa che viene dall’alto e non si riduce all’apparenza. Nella prima udienza privata con don Julian Carron, la cosa fondamentale che il Papa ci ha trasmesso è stato il suo desiderio di aiutarci a comunicare al mondo l’essenziale per la vita di ogni uomo che è Cristo.
Cosa direte al Papa in questa occasione?
Secondo l’esperienza che stiamo vivendo, cercheremo di trasmettergli come stiamo prendendo sul serio questo suo mandato. Naturalmente gli domanderemo cosa lui chiede a noi: non abbiamo un pensiero particolare su cosa potrebbe dirci o su cosa vorremmo sentirci dire, siamo soltanto molto curiosi di poterlo incontrare ed esprimergli tutta la nostra partecipazione al suo grave compito e l’affezione che da questo nasce.
Lo inviterete al Meeting?
Averlo al Meeting, sarebbe un desiderio grandissimo, ma capisco che ciò avrebbe dei limiti oggettivi, per cui anche solo un suo messaggio, come già avvenuto in passato, per noi è una grandissima grazia.
A sessant’anni dalla fondazione, cosa sta vivendo oggi la Fraternità di Comunione e Liberazione?
Siamo diffusi in più di novanta paesi e la cosa più interessante è che ovunque vai nel mondo puoi riconoscere un tipo di personalità che possiede una sorta di origine comune. Uno degli aspetti che ha colpito me e che colpisce anche persone dei posti più lontani è che l’incontro con l’esperienza cristiana, attraverso il carisma di don Giussani, valorizza completamente la personalità, la libertà e il cammino di ciascuno senza schiacciarlo su uno stereotipo. Al punto che oggi sono legati al movimento anche ortodossi, anglicani, ebrei e musulmani.
La Fraternità, in qualche modo, è ciò che custodisce questa esperienza, il che è il livello più adulto e consapevole dell’esperienza del movimento. Alla Fraternità si può decidere di aderire come riconoscimento che l’esperienza del movimento, quindi il carisma di don Giussani, sono la modalità più persuasiva per sé per vivere integralmente l’esperienza della fede.
Ritiene che il messaggio di don Giussani stia diventando sempre più attuale?
Credo che il contenuto della proposta di don Giussani oggi abbia un grande impatto sulla mentalità dell’uomo moderno, perché don Giussani ha scommesso tutto su un’ipotesi che all’uomo moderno poteva sembrare quasi assurda, cioè che la fede sia un fatto reale, fondato sulla ragione, che valorizza integralmente la libertà dell’uomo, che la fede è qualcosa che unisce e che non divide.
Quando abbiamo proiettato a Milano il dvd su don Giussani, abbiamo invitato personalità non del nostro stretto giro, alcune anche lontane dal nostro modo di pensare, come Pietro Modiano, uomo di sinistra, il quale ha affermato che la cosa che l’ha colpito di più di don Giussani è la grande certezza e convinzione della fede che lui comunica, una fede che unisce e non divide, qualcosa di cui, ha detto Modiano, c’è un grande bisogno.
Di don Giussani è stato chiesto l’avvio del processo di beatificazione. Dietro ogni santo, tuttavia, c’è sempre un grande uomo: umanamente cos’era che colpiva di più in lui?
Sicuramente la cosa che colpiva di più in don Giussani era la sua grande umanità, insieme alla certezza della fede che era capace di comunicare. Non aveva il problema di convincerti di qualcosa, si capiva che era curioso e interessato a entrare in rapporto con chi gli stava di fronte: l’esperienza che si faceva accanto a lui, anche quando parlava pubblicamente era la percezione di un coinvolgimento. Aveva una grandissima sensibilità umana e la capacità di valorizzare ciò che era più lontano dalla concezione cristiana, di cui però lui coglieva quella radice vera e umana su cui l’incontro con Cristo poteva diventare novità per ogni uomo. Personalmente non ho conosciuto nessuno con la stessa capacità di spaziare da Leopardi a Donizetti, fino ad autori anche moderni, recuperando e valorizzando, a differenza della cultura dominante, un’originalità in cui si vedeva veramente cos’è l’uomo. Ciò era affascinante perché mostrava come ogni uomo abbia dentro di sé la capacità di accogliere Cristo come possibilità di incontro.
Lei è uno scienziato: che approccio aveva don Giussani con il mondo della scienza?
Sia nei dialoghi che ho avuto con don Giussani ma anche nelle cose che lui ha detto in contesti pubblici, ciò che emergeva sempre era la sua attitudine a guardare tutta la realtà, compresa la scienza. C’era quindi in lui una grande curiosità, che non partiva mai da un preconcetto (cosa che spesso è presente anche nei contesti cattolici moderni) o dalla pretesa di dimostrare certe tesi a tutti i costi. Quello che a me personalmente colpiva, da scienziato, era vedere un uomo che cercava di vedere cosa muoveva certe scelte e certe scoperte, cosa faceva sì che la realtà funzionasse in un certo modo e potesse essere guardata in un certo modo. Il fatto stesso che la realtà potesse essere conosciuta era fattore di stupore e di grande interesse. Io credo che quello che ho più imparato da lui non sono delle nozioni, però quando una cosa lo interessava arrivava a dei livelli di dettaglio veramente impressionanti, anche in campo scientifico. Ciò che desidero tuttora avere in comune con lui è questo sguardo curioso sulle cose, senza pregiudizi, per cercare di riconoscere il mistero che sta dentro tutte le cose. Noi non abbiamo il problema di dimostrare una tesi: quello di cui siamo certi è il mistero che è realmente presente dentro la realtà e che noi vogliamo vedere, scoprire, riconoscere.
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