Arcidiocesi di Milano
XXXIII
anniversario del Riconoscimento Pontificio della Fraternità di Comunione e
Liberazione
X
Anniversario della morte del servo di Dio Mons. Luigi Giussani
Lunedì della I Settimana di
Quaresima
Gen 2,4b-17; Sal 1; Pro 1,1-9; Mt 5,1-12a
Duomo
di Milano , 23
febbraio 2015
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola , Arcivescovo di Milano
1. «Da allora
Gesù cominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è
vicino”» (Vangelo, Mt 4,17). Nell’orizzonte dell’annuncio del
regno di Dio il Vangelo di Matteo situa il discorso delle Beatitudini. Salito
su una delle colline vicino a Cafarnao, gli si avvicinarono i suoi discepoli.
Gesù, sedutosi, «si mise a parlare e
insegnava» (Vangelo, Mt 5,2).
Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Liturgia, fa un’affermazione che quasi sempre
ignoriamo: Cristo «è presente nella sua parola, giacché è Lui
che parla quando nella Chiesa si leggono le Sacre Scritture» (Sacrosanctum Concilium, 7).
Carissime, carissimi, se questa sera, mentre Gesù ci
parla, non siamo presenti in Duomo o a casa, spalancati alla conversione, vale
a dire decisi a cambiare e a cambiare subito, questo gesto eucaristico, che
intende far memoria viva del carissimo don Giussani, si ridurrebbe a cerimonia
esteriore, priva, per finire, di ogni fecondità.
Ha scritto don Giussani: «La contrizione che sta all’inizio della Assemblea cristiana e nel
sacramento della Confessione deve essere fatta guardando in faccia questa
Presenza e dicendo: “sono così,
riconosco che sono così”. È un gesto che incomincia col dolore e finisce nella
letizia» (L’Alleanza, Jaca Book,
Milano 1979, 114). Senza mendicare, qui ed ora, il perdono, la memoria di don
Giussani illanguidisce in sentimentale ricordo, che inesorabilmente sfocia in
rovinosi pregiudizi.
2. Il celebre testo delle Beatitudini, prima ancora di
indicarci uno stile di vita che rovescia la mentalità che purtroppo largamente
affligge il nostro io di europei narcisi, descrive i tratti della persona amata
di Cristo Gesù. Lui, Lui solo è la roccia su cui questa sera dobbiamo poggiare
per invocare quella trasformazione del cuore di cui abbiamo quotidianamente
bisogno. Più fede, più fede – parola drammatica – per vivere gli affetti, il
lavoro, il riposo, il dolore nostro e dei nostri cari, la morte; per affrontare
il male che compiamo e chiederne perdono; per educare i nostri figli e perché i
nostri figli scoprano la convenienza di lasciarsi educare; per contribuire
all’edificazione di una vita buona nella società plurale in un tempo in cui
uomini e donne – e tra di loro tanti cristiani – vengono trucidati, cacciati
dalle loro terre e dalle loro case, costretti ad una tragica emigrazione; per
accettare, Dio non voglia, la possibilità di un nuovo martirio di sangue dei
cristiani in Europa.
3. Il
desiderio di nulla anteporre a Cristo, di guardare il Suo
volto di uomo compiuto, ne sono certo, è vivo nel cuore di quanti, grazie
proprio a don Giussani, hanno «acquistato
una saggia educazione» (Seconda Lettura,
Pr 1,3).
E tuttavia – lo sappiamo bene – se il desiderio non raggiunge
quotidianamente la nostra carne e, attraverso di essa, tutta la realtà, resta
velleità che confonde.
La penitenza quaresimale, carissimi, è un andare in
profondità (poenitus) che non può
risparmiare alla nostra libertà la ferita che l’orazione all’Inizio
dell’Assemblea liturgica ben descrive quando ci invita a «rinnovare con propositi di vita austera il nostro impegno cristiano;
nella lotta contro lo spirito del male – domandiamo – non ci manchi per Tua grazia
il coraggio di rinunce salutari».
Incrollabile fede in Gesù, nostro unico Redentore, e
libertà coinvolta con Lui, l’uomo delle Beatitudini, sono l’energica e salutare
indicazione che la Chiesa ci dona per il tempo di Quaresima. Noi vogliamo
seguirla con cuore libero e lieto, perché – come ci ha ricordato Papa Francesco
– «Dio non ci chiede nulla che prima non
ci abbia donato» (Messaggio per la
Quaresima 2015).
5. Dice il Libro della Genesi:
«Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con
polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne
un essere vivente» (Lettura, Gn 2,7). La robusta confessione di fede
in Cristo Gesù, centro affettivo dell’esistenza, poggia per don Giussani sul
riconoscimento della dipendenza dal Creatore. Egli solo può far vivere e
mantenere in vita ciò che prima non esisteva. Così il Signore Dio mantiene in
vita, in questo preciso istante, ciascuno di noi.
Ma, chiediamoci, come “un Altro” può
essere «vita della mia vita» se
questa mia fragile esistenza è sospesa a qualunque circostanza, favorevole o
sfavorevole, a qualunque rapporto, di preferenza o di estraneità fino al
rifiuto… come può, insomma, il dono della vita avere senso e raggiungere la sua
pienezza? Solo se trova in me la ragionevole disposizione a donare, a mia volta,
la mia stessa vita.
I discepoli Lo ascoltano sul “monte”
mentre proclama beati quelli che il mondo considerava solo tapini se non maledetti.
Furono di certo sconcertati ma, per una sottile fessura del loro cuore, passò,
in un lampo, la consapevolezza che in quelle parole controcorrente si giocava
il loro destino e non solo il loro.
Amici, dare la vita, come ricordava don
Giussani, resta il “caso serio” per ogni cristiano. E lo è, in modo stringente,
dopo la scomparsa del suo fondatore, per tutti i membri di Comunione e Liberazione.
Questo è «un momento in cui la presa di coscienza della responsabilità per ognuno
è gravissima come urgenza, come lealtà e come fedeltà. È il momento della
responsabilità che del carisma si assume ciascuno» (L. Giussani , Il sacrificio più grande è dare la propria
vita per l’opera di un Altro n. 2). Sono sue parole.
La chiusa del frammento prima richiamato completa la
descrizione che don Giussani fa della sua personale esperienza di fede: «In Cristo tutto si assomma…». A quale
scopo? «Per amore delle persone con cui
mi ha messo».
Si appartiene a Cristo perché ogni giorno ci si lascia
convocare nella comunione con quanti appartengono a Lui. Non c’è personalità
senza comunità, ma non c’è comunità autentica se non fa fiorire il volto
singolare di ogni persona.
6. Come ha scritto don Julián Carrón, successore di
don Giussani alla guida di Comunione e Liberazione, nella Lettera inviata a tutti i membri della Fraternità in vista dell’imminente
incontro con Papa Francesco per ricordare i 60 anni della Fraternità e i 10
anni della dipartita del Fondatore, quanti seguono il carisma di don Giussani –
carisma di incarnazione – sono chiamati a radicarsi, con sempre maggior
decisione, nella vita della Chiesa, mediante un riferimento esplicito al Papa e
ai vescovi in comunione con lui. Ora, non dimentichiamo che il carisma di don
Giussani, cattolico, cioè universale, è un carisma fortemente ambrosiano. La
Chiesa ambrosiana, come ben sapete, è intenta a proporre Gesù Cristo come Evangelo dell’umano agli uomini e alle
donne di questo travagliato inizio di millennio. I cristiani, sostenuti dalla
presenza misericordiosa del Risorto, intendono farsi carico, al di là del loro
limite e per quanto possibile, del bene di tutti. Di questo ha bisogno la
Chiesa ed ha bisogno il mondo.
L’Arcivescovo umilmente vi ricorda che approfondire personalmente
e comunitariamente il carisma richiede di lavorare nella vigna in cui il Padre
ci ha piantati attuando il metodo della comunione ecclesiale: pluriformità
nell’unità. Coi cristiani, e non solo, delle zone pastorali, dei decanati, delle
comunità pastorali, delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti, la comune
missione domanda a tutti i fedeli della amata diocesi di Ambrogio e di Carlo di
percorrere le vie dell’umano.
7. «Expertus
potest credere quid sit Jesum diligere». Chi più di Maria è esperta
nell’amare Gesù? L’intercessione della Madonna, che dall’alto del Duomo
protegge le terre ambrosiane, assicuri fede, speranza e carità. Amen.
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