Saluto di S.E. Card. Angelo Scola prima della benedizione finale alla messa per il XXXIII anniversario del riconoscimento della Fraternità di CL e il X anniversario della morte di don Giussani (Duomo di Milano, 23 febbraio)
So che molti di voi visitano quotidianamente la tomba dove riposa monsignor Giussani, e così assolvete al compito importante di pregarlo, portando a lui anche le domande, le inquietudini, le ansie, le gioie e i dolori di tutti i membri del movimento sparsi in tanti Paesi del mondo. È la fama di santità di don Giussani che cresce e, su questa, il Signore costruisce e la Chiesa fa i suoi passi.
Mi domandavo: perché un popolo – perché di questo si può ormai parlare – si muove con tanta tenerezza verso un uomo? E faticavo a cercare in me una risposta che non fosse ovvia e non rischiasse quindi di essere banale. Poi mi hanno messo in mano una lezione di don Giussani per la Quaresima del 1975 (qualcuno di voi l’aveva mandata alle Memores che mi assistono e che hanno sempre uno speciale riguardo nel farmi presente certe cose), nella quale egli citava una lettera ricevuta: «Tutte le volte che nella Messa dico: “Nell’attesa che si compia la beata speranza…”, vorrei che questo si realizzasse subito. Mi chiedo il perché di questa attesa». Don Giussani, prendendo spunto da questo, rifletteva sul senso del tempo. Si domandava: Perché c’è il tempo? Che senso ha il tempo, se tutto è già compiuto? Come lo possiamo vivere, abitato come è dalla drammaticità (nel senso nobile e bello della parola) della nostra libertà? Abitato quindi dal bisogno nostro e dal bisogno altrui, da gioie e da dolori, da angosce e da speranze, dalla coscienza del nostro limite che cresce col passare degli anni, dal dolore ancora troppo incerto per il nostro peccato… Come viverlo il tempo? Forse la compagnia cristiana, la compagnia di tutti i battezzati di questo mondo, la compagnia delle varie realtà in cui la Chiesa si realizza – e Comunione e Liberazione è una di queste – ha come scopo questo: educarci a vivere il tempo come domanda del volto di Gesù.
Gesù ha dato contenuto all’invocazione del salmista «Il tuo volto Signore io cerco, fammi vedere il Tuo volto». E forse la nostra fede è ancora troppo piccola, in ogni caso non è giunta a una certa maturità finché arriva a questa invocazione. Se non lo facciamo è perché siamo ancora prigionieri delle cose secondo una logica mondana, degli affetti secondo una logica mondana, del nostro lavoro secondo una logica mondana, ma soprattutto siamo ancora sotto il giogo – come dice la Lettera agli Ebrei – del terrore della morte.
La fama di santità del carissimo don Gius sia il terreno su cui tentiamo - con tutti i nostri limiti, accettandoli con semplicità e con pazienza, contando sul perdono e sulla misericordia di Dio per i nostri peccati riconosciuti come tali – di far fiorire in noi la domanda del volto di Cristo.
Riceviamo ora la benedizione della Trinità.
Nessun commento:
Posta un commento