Intervista sul significato teologico dell'Anno Santo Straordinario con l'arcivescovo di Ferrara-Comacchio
GIACOMO GALEAZZICITTA’ DEL VATICANO
Fin dalle origini del movimento ecclesiale “Gioventù studentesca” monsignor Luigi Negri è stato il braccio destro di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione. Dal 2012 è arcivescovo di Ferrara-Comacchio e abate di Pomposa dopo aver guidato per sette anni la diocesi di San Marino-Montefeltro. Filosofo, teologo, saggista, ha insegnato Introduzione alla teologia e Storia della filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Inoltre fa parte della commissione Cei per la Dottrina della fede e del dicastero vaticano per i Migranti oltre a presiedere la fondazione internazionale Giovanni Paolo II per il magistero sociale della Chiesa.
Monsignor Negri, cosa ha pensato quando ha ascoltato Papa Francesco annunciare un Anno Santo straordinario?
“Innanzitutto mi ha accompagnato, fin dai momenti iniziali della preparazione dell’anno straordinario della misericordia, un incremento di gratitudine verso il Santo Padre Francesco per l’occasione che offre all’intera Chiesa e, al di là di essa, a tanti uomini di buona volontà, di recuperare una dimensione fondamentale dello spirito umano, che si trova soltanto nella rivelazione cristiana e nell’esperienza della Chiesa, ovvero la sua definitiva rivelazione e la sua possibilità di autentica attuazione e di esperienza. Nella Chiesa, infatti, la misericordia, è un’esperienza di vita e non semplicemente un’esigenza o un desiderio o una tensione”.
Perché dedicare il Giubileo proprio alla misericordia?
“La misericordia agita positivamente la nostra vita e mobilita il nostro cuore soltanto se si capisce che essa, di cui possiamo e dobbiamo diventare protagonisti nella vita dei nostri fratelli cristiani e dei nostri fratelli uomini, è la conseguenza dell’aver accettato di essere stati fatti oggetto permanentemente dell’amore di Dio, nella vita e nella presenza del Signore Gesù Cristo. Questa misericordia, che ha investito e investe l’uomo, ha il suo aspetto più profondo e più radicale innanzitutto nella comunicazione della verità. Dio è misericordia perché rivela all’uomo tutta la verità su di Lui (Redemptor hominis n.10). La misericordia è l’apparire, davanti al cuore e alla coscienza dell’uomo - condizionato in molti modi e che sempre più spesso fa esperienza del proprio limite personale e sociale - del mondo nuovo di Dio. Il mondo nuovo di Dio avviene perché, in Gesù Cristo, il Signore usa misericordia nei confronti del suo popolo cioè lo coinvolge nel grande evento di verità che Gesù Cristo ha portato e porta in mezzo a noi”.
Lei come ne vive il significato?
“La mia misericordia verso gli uomini che mi circondano dovrà avere innanzitutto il volto di una capacità di annunzio, ovvero la mia misericordia prolunga nella vita degli uomini la misericordia di Dio perché apre davanti ad essi il sentiero limpido e forte di una vita vera, di una vita nella quale ognuno è chiamato a sperimentare, nella concretezza della carne, nella vita storica e reale, la novità dell’uomo Gesù Cristo. La misericordia certamente si connota poi di una capacità di coinvolgimento con gli uomini, di condivisione del loro destino, di corresponsabilità nei confronti della loro quotidianità, di attitudine a portare i pesi e le fatiche dell’esistenza ma perché, prima e fondamentalmente, è l’annunzio vivo che solo Cristo salva la vita e la salva sempre, in ogni momento”.
Anche nelle gerarchie cattoliche c’è chi teme che la misericordia possa contrapporsi alla dottrina. Vede questo pericolo?
“La contrapposizione, che si esprime quasi in un’alternativa, fra verità e misericordia è assolutamente improponibile e nasce da un equivoco nella concezione della misericordia e da un non minore equivoco della concezione della verità. Come ho scritto nella mia ultima lettera pastorale: “Ancora una volta ribadisco che la contrapposizione astratta di verità e misericordia – di cui tanto si è servita la mentalità laicistica e massmediatica in questo anno – è assolutamente errata. La grandezza della fede si esprime nell’unità di carità e di verità e culmina nella misericordia. Su questo punto chiedo ai nostri cristiani e alle nostre comunità una revisione critica e attenta, anche delle esperienze pastorali che fossero in atto o che stiamo facendo nascere” (Un popolo che appartiene a Dio, Riflessioni sulla Lettera pastorale “Collaboratori della vostra gioia” 2015). «Quello che voi adorate senza conoscere io ve lo annuncio» (At 17, 23), disse San Paolo nell’Areopago, e noi ci aggiriamo negli areopaghi del nostro tempo con la stessa sicura baldanza di San Paolo che, a quella gente, volle dire e far conoscere la misericordia di Dio verso tutti gli uomini. A quella gente San Paolo volle annunciare il compimento della loro domanda religiosa, di senso, di verità, di bellezza e di giustizia che non avrebbe potuto trovare compimento unicamente sul piano delle proprie esigenze e capacità umane”.
Da teologo quale lettura ritiene giusto dare?
“È l’orizzonte trasformato di questa vita che è chiamato a dire a tutti gli uomini: «la misericordia è Cristo». Cristo che si piega su ciascuno e gli rivela la sua natura vera, il suo destino, consentendogli di vivere la vita umana come partecipazione alla vita di Dio e come comunicazione della stessa a tutti gli uomini. Così il tema della misericordia si anima nella mia vita personale, nella mia riflessione, nel mio servizio episcopale, al rinnovarsi di una missione autentica. La misericordia sta nel mondo per la fede e si comunica al mondo attraverso la testimonianza dei cristiani, fino agli estremi confini del mondo, e senza ritirarsi di fronte a nessuna possibilità di martirio che, se pur terribile, è sfolgorante di gloria e al quale, ogni giorno, siamo chiamati ad assistere con sgomento e con gratitudine”.
Il Giubileo è ancora uno strumento utile per l’evangelizzazione?
“Io credo che l’anno giubilare della misericordia sarà un anno importante perché tutta la Chiesa e ogni cristiano e, al di là di esso, ogni singolo uomo e donna potranno risentire l’impeto verso la vita nuova che noi portiamo dentro, per il fatto stesso che nasciamo, e che costituisce il contenuto profondo dell’intelligenza e del cuore che, di fatto, è l’inesausto tentativo di arrivare alla verità ultima nella quale la vita umana si quieta. Tale quiete non va intesa però come comodità ma come inesorabile capacità di annuncio, ad ogni uomo di ogni tempo, della grande misericordia di Dio che è Gesù Cristo”.
Lei come attua la “lezione giubilare” di Francesco nella sua arcidiocesi?
“Desidero per me, e per i miei figli e figlie della chiesa di Ferrara - Comacchio, che riprendiamo il senso della grandezza del sacramento della riconciliazione, in cui la misericordia di Cristo si fa carne e sangue, si fa capacità di accogliere il nostro male e di trasformarlo in nuova possibilità di vita e di verità. Desidero che recuperiamo il senso del nostro limite che tende a sostituire a Cristo altri dei, e che sappiamo accostaci al luogo del sacramento come luogo del giudizio che diventa perdono. In questo perdono sperimenteremo così, nell’inesorabilità della carne e del sangue, che la vita nuova non è una astrazione e non è soltanto il premio finale, ma è il contenuto di un cammino che, quotidianamente, ci rende sempre meno lontani dall’esperienza della risurrezione: «Cristo in voi speranza della gloria» (Col 1,27)”.
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