Il successore di Don Giussani mostra la continuità fra Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio. Senza temere il dissenso
Ricordo la sperdutezza di don Julián Carrón dopo il suo primo intervento da capo di Comunione e Liberazione a Roma, poco dopo la morte di don Luigi Giussani, nel febbraio del 2005. Aveva appena presentato un libro di interviste del suo predecessore ( Un caffè in compagnia , Rizzoli) che aveva fermamente voluto lui, proprio lui, prete dell'Estremadura, figlio di contadini, che a dieci anni entrò in seminario sentendo la chiamata mentre raccoglieva le patate con suo papà sotto un tetto di ciliegi.Era una serata piovosa. Passeggiavamo nelle stradine intorno al Pantheon, quella cupola enorme, perfetta, e lui silenzioso, imperfetto, con la sua giubba nera sulle spalle di teologo-contadino, e mia moglie gli diede un bacio, improvvisamente, per dirgli grazie, coraggio, come per aiutarlo a portare un peso immane, quasi come Frodo a cui il Destino assegnò l'anello e la cosa gli era capitata, non l'aveva voluta, ma accettava il compito.
Quel peso era ed è guidare Comunione e Liberazione. Qualcosa da esserne schiacciati. Dagli attacchi esterni, sì. Ma questo è il meno. Il movimento ci ha fatto il callo. A essere squassante è la responsabilità di indirizzare i cuori, di indicare la strada non della politica o dell'economia, ma del destino personale di tantissima gente in cento Paesi del mondo. E non solo del loro, ma di quelli che costoro incontreranno. Venendo poi dopo un gigante come don Gius la tentazione irresistibile poteva essere quella di quietarsi nell'esistente, piluccando dal grandioso patrimonio giussaniano il pizzino giusto al momento giusto, imitandolo in tono minore, conservando, mantenendo, agitando il turibolo sul carisma pietrificato del fondatore.
Carrón non si è fatto stritolare. Non dice forse il Vangelo «il mio carico è leggero, il mio giogo è dolce»? Così ha appoggiato quel peso sulle ali dello Spirito Santo. Non sto facendo mistica a buon mercato. Parlo dello Spirito Santo che prende la carne e ossa di un cardinale recalcitrante e lo fa successore di Pietro. Carrón invece che copiare per risparmiarsi la fatica, si è immedesimato con il metodo di don Giussani. Amare la bellezza, farsi colpire da essa, comunicarla al mondo perché ciascun uomo trovi la risposta alla domanda che ha in cuore, lasciandosi guidare a sua volta dal Papa. Non semplicemente essere approvati dal Papa, ma averlo come padre, farsi leggere il carisma, che è la forma dell'adesione alla fede, dal successore di Pietro, lui che è successore di don Gius. Questo gli ha consentito una straordinaria scoperta, che nessuno fa mai: la continuità assoluta tra gli insegnamenti e il magistero di Benedetto XVI e quelli di Francesco. Entrambi constatano che non siamo più in un'età di lotta al cristianesimo (vedi le sedi di CL incendiate a centinaia negli anni '70 nel silenzio dei mass media), dove era importante una presenza vigorosa nell'arena pubblica. E neppure siamo in età semplicemente post-cristiana. Siamo in un mondo a-cristiano, resta qualche baluginio, ma non è più possibile fare riferimento all'evidenza di certi valori, pretendere che siano riconosciuti al di fuori della fede. Non perché non siano attingibili dalla ragione. Ma senza che sia allargata dalla fede, essa non ragiona più. L'unico modo di scuotere la ragione è la testimonianza disarmata della bellezza, che ferisce con uno stupore inatteso chiunque conservi, seppellita sotto i detriti di civiltà morte, «quella domanda a cui solo Dio è risposta» (Wojtyla). Oggi sono «crollate le evidenze morali» (Ratzinger), occorre affacciarsi su questo panorama desolato con la fiaccola della misericordia senza alcuna precondizione (Bergoglio). Solo la testimonianza vale. Un incontro tra persone, del tipo di quelli al tempo dei pagani, prima che la Chiesa avesse il potere. Nella libertà, mai nella costrizione.
Questo è il punto. Sia i laudatores sia gli “scomunicatores” sostengono che Francesco ha rotto con Benedetto, Giovanni Paolo e la tradizione. Mentre Carrón racconta e dimostra come Bergoglio trovi e applichi soluzioni nuove sviluppando l'autocoscienza della Chiesa, che resta se stessa, con il suo intatto patrimonio dottrinale.
Scrisse Romano Guardini nella sua Essenza del cristianesimo : «Nell'esperienza di un grande amore tutto il mondo si raccoglie nel rapporto Io-Tu, e tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito». Il Tu di cui qui si parla è Gesù Cristo, bellezza disarmata, come l' Ecce Homo .
Tutto questo per dire che esce il primo libro italiano di questo prete spagnolo ed è una cosa importante. Il titolo del volume è spiazzante rispetto allo stereotipo dei «panzer di Dio». Si intitola La bellezza disarmata (Rizzoli, pagg. 364, euro 18). La bellezza è Cristo, disarmato l'autore. E vuole che siano disarmati, senza alcuna volontà di dominio e neppure di egemonia, i suoi ciellini e con loro tutti i cristiani. Non impugna la spada, neanche quella della polemica dialettica, se non contro coloro che, appunto, pretendono di affermare il primato dei valori nati dal cristianesimo a prescindere dalla bellezza disarmata di Cristo, dalla sua inermità.
Rispetto all'idea di un movimento ecclesiale con la testa indietro, girata verso epiche battaglie in piazza, pronto a denunciare relativismo culturale e laicismo, c'è un gran salto. La domanda è: questo balzo di coscienza chiesto da Carrón è temerario o è piuttosto temerario e disperante cozzare ostinatamente contro la porta chiusa? Il metodo della bellezza disarmata di Ratzinger-Bergoglio-Carron somiglia a quello di Cristo in Palestina o hanno ragione quelli che avvertono tutto ciò come un tradimento, addirittura come una violenta mutazione genetica della stessa sostanza del cristianesimo?
Giudichi il lettore. Secondo me, gli verrà voglia di incontrare Carrón.
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