- La presentazione a Palermo.
Presentazione del libro di don Carrón. Con l'autore, padre Gianfranco Matarazzo e Roberto Lagalla. Con una sfida per tutti: la fede può farsi risposta davanti alla crisi in cui viviamo?
Dobbiamo cominciare dal titolo. Perché da lì sono partiti tutti: i relatori, ma anche gli studenti di Gs e del Clu, che hanno incontrato don Julián Carrón prima della presentazione. Si parte dalla bellezza disarmata di un uomo di 65 anni che arriva di corsa dall’aeroporto di Palermo ed entra nella saletta riservata ai ragazzi con un sorriso impressionante. Chiede come stanno, li ascolta. Tanti si lamentano della situazione dei giovani, ma lui sta lì e li guarda, perché «se guardiamo le cose come stanno le vediamo diversamente». La stessa bellezza disarmata si affaccia nelle parole di uno di quei ragazzi, la cui vita è segnata da difficoltà, che dice: «Io voglio ringraziarti perché con il movimento la mia vita è meravigliosa!». La sua affermazione fa pensare che sappia bene di cosa sta parlando e, soprattutto, che nella realtà c’è veramente qualcosa di imprevedibile ed eccezionalmente corrispondente.
Il tempo è breve. Inizia la presentazione. Siamo nello splendido auditorium barocco del SS. Salvatore, nel centralissimo corso Vittorio Emanuele. La sala è gremita, c’è gente in piedi. È il segno di un’attrattiva, nota Salvatore Taormina, responsabile diocesano della Fraternità di CL, che coordina la presentazione. Qualcosa ha spinto ciascuna di quelle seicento persone fino a lì: molti del movimento, altri no; molti cristiani, alcuni no. Perché il punto è che, come dice nella sua introduzione Taormina, «la sfida è per tutti». Come affermava Mario Vargas Llosa in occasione del recente conferimento da parte dell’università di Palermo della laurea honoris causa, ci sono ragioni infinite per il conflitto tra l’uomo e il mondo. Qual è la natura di questo conflitto? E, ultimamente, la realtà è amica o nemica? Con queste domande ciascuno si paragona fin dai banchi di scuola. Carrón si è chiesto, in occasione delle stragi di Parigi: «C’è qualcosa che risponde a tutto questo? Noi cristiani crediamo ancora nel fascino vincente della bellezza disarmata di Cristo?». La strada da percorrere è la personalizzazione della fede: evidente nella vicenda normalissima ed eccezionale del beato padre Pino Puglisi. Il suo sorriso, al killer che gli sparava, è stato un principio di novità innanzitutto nella vita dell’assassino e poi per il mondo.
Le questioni sono tutte sul piatto, parola ai relatori, preceduti dal saluto del cardinale di Palermo, Paolo Romeo. Il dramma della nostra cultura, dice riprendendo il testo, è che il soggetto umano, cui tutto si concede perché sia totalmente libero, risulta in pratica un nulla.La speranza è la perturbazione provocata dall’esperienza cristiana. Il Cardinale ha manifestato sincera e viva gratitudine per Carrón e per tutte le persone del movimento che vivono di questo.
Il primo relatore è padre Gianfranco Matarazzo, provinciale dei Gesuiti di Italia e Albania, già intervenuto in occasione della presentazione della biografia di don Giussani, che parla di un «retroterra di comunione» che sta dietro all’incontro. Esordisce manifestando la sua cordialità nei confronti della Sicilia e dell’esperienza del movimento. Proprio questa cordialità è ciò che lo spinge a stare strettamente sul testo, offrendone un’analisi dettagliata e senza sconti.
Matarazzo sottolinea come la bellezza cui si fa riferimento sia quella dell’evento della fede cristiana e della vita che da essa si genera, perché «medicina all’opacità e alla stanchezza è secondo Carrón mettere al centro non una dottrina o una morale, ma l’incontro reale e concreto con una Persona». Più problematico fare i conti con l’aggettivo: sondati i molteplici sensi, il gesuita sfida Carrón a chiarire quale sia quello più pertinente. Si entra dunque nel vivo. Il tentativo è quello di restituire il testo e, allo stesso tempo, metterlo in movimento, offrendo uno spazio per la precisazione e l’approfondimento. In quest’ottica focalizza una decina di «tensioni»: ad esempio, quale rapporto c’è tra il punto di vista prettamente europeo da cui si snoda il testo e la mondialità che costituisce il suo riferimento obbligato? Come si raccordano primato dell’avvenimento e universalità della proposta cristiana? Le domande sono tante, il confronto è serrato. E si spalanca lo spazio del dialogo.
La stessa cordialità e libertà di paragone emerge nell’intervento del secondo relatore, Roberto Lagalla, rettore uscente dell’Università di Palermo, che prova a descrivere l’impatto del libro su una persona normale. L’attenzione è rivolta soprattutto all’emergenza educativa, rispetto alla quale Lagalla individua nella nuova cultura dell’incontro proposta da Carrón, nel ripensamento della fede secondo la chiave antropologica di Giovanni Paolo II, in una parola, nella personalizzazione della fede, una risposta pertinente e convincente. La verità è relazione: dentro questa consapevolezza nuova è possibile affrontare i grandi cambiamenti che stanno attraversando le nostre società.
Padre Matarazzo aveva preso le mosse dal titolo del libro, mentre il rettore ci arriva in conclusione: una bellezza disarmata è qualcosa che non lascia tranquilli. Ma cosa significa che la bellezza è «disarmata»?
Carrón parte raccontando la storia del titolo, un percorso fatto dentro i terribili fatti di Parigi. Dal dolore e dallo sgomento per le stragi viene fuori che la bellezza disarmata esprime cos’è la fede per rispondere al vuoto di senso e allo scacco del desiderio in cui tutti, compresi gli attentatori francesi, siamo immersi. Asia e Africa si muovono verso l’Europa: cosa trova chi viene da noi? Abbiamo qualcosa di attraente da offrire a tutti? Qualcosa che risponda al vuoto generato da una pienezza desiderata e non raggiunta? «Bellezza» è il nome della verità che incontra la libertà dell’io. «Disarmata», perché non attrae che per se stessa. Del resto questo è ciò che c’è di più rispondente all’io: la libertà è ciò a cui non ci sentiamo di rinunciare, come notò Cervantes e recentemente Ratzinger: la libertà è la cifra più profonda della persona. Eppure, noi oggi siamo stanchi della libertà; abbiamo cominciato ad averne paura e stiamo scoprendo che non basta essere privi di costrizioni per aver voglia di usarla. Con questa paura, con questa stanchezza bisogna fare i conti, pena il rischio di travisare la natura del fenomeno che abbiamo davanti. Il testo vuole essere una proposta di risposta, ma, prima ancora, una compagnia nel guardare, il tentativo di prendere sul serio le domande ed aprire un dialogo con tutti.
Adesso tocca a ciascuno accettare la sfida.
Il tempo è breve. Inizia la presentazione. Siamo nello splendido auditorium barocco del SS. Salvatore, nel centralissimo corso Vittorio Emanuele. La sala è gremita, c’è gente in piedi. È il segno di un’attrattiva, nota Salvatore Taormina, responsabile diocesano della Fraternità di CL, che coordina la presentazione. Qualcosa ha spinto ciascuna di quelle seicento persone fino a lì: molti del movimento, altri no; molti cristiani, alcuni no. Perché il punto è che, come dice nella sua introduzione Taormina, «la sfida è per tutti». Come affermava Mario Vargas Llosa in occasione del recente conferimento da parte dell’università di Palermo della laurea honoris causa, ci sono ragioni infinite per il conflitto tra l’uomo e il mondo. Qual è la natura di questo conflitto? E, ultimamente, la realtà è amica o nemica? Con queste domande ciascuno si paragona fin dai banchi di scuola. Carrón si è chiesto, in occasione delle stragi di Parigi: «C’è qualcosa che risponde a tutto questo? Noi cristiani crediamo ancora nel fascino vincente della bellezza disarmata di Cristo?». La strada da percorrere è la personalizzazione della fede: evidente nella vicenda normalissima ed eccezionale del beato padre Pino Puglisi. Il suo sorriso, al killer che gli sparava, è stato un principio di novità innanzitutto nella vita dell’assassino e poi per il mondo.
Le questioni sono tutte sul piatto, parola ai relatori, preceduti dal saluto del cardinale di Palermo, Paolo Romeo. Il dramma della nostra cultura, dice riprendendo il testo, è che il soggetto umano, cui tutto si concede perché sia totalmente libero, risulta in pratica un nulla.La speranza è la perturbazione provocata dall’esperienza cristiana. Il Cardinale ha manifestato sincera e viva gratitudine per Carrón e per tutte le persone del movimento che vivono di questo.
Il primo relatore è padre Gianfranco Matarazzo, provinciale dei Gesuiti di Italia e Albania, già intervenuto in occasione della presentazione della biografia di don Giussani, che parla di un «retroterra di comunione» che sta dietro all’incontro. Esordisce manifestando la sua cordialità nei confronti della Sicilia e dell’esperienza del movimento. Proprio questa cordialità è ciò che lo spinge a stare strettamente sul testo, offrendone un’analisi dettagliata e senza sconti.
Matarazzo sottolinea come la bellezza cui si fa riferimento sia quella dell’evento della fede cristiana e della vita che da essa si genera, perché «medicina all’opacità e alla stanchezza è secondo Carrón mettere al centro non una dottrina o una morale, ma l’incontro reale e concreto con una Persona». Più problematico fare i conti con l’aggettivo: sondati i molteplici sensi, il gesuita sfida Carrón a chiarire quale sia quello più pertinente. Si entra dunque nel vivo. Il tentativo è quello di restituire il testo e, allo stesso tempo, metterlo in movimento, offrendo uno spazio per la precisazione e l’approfondimento. In quest’ottica focalizza una decina di «tensioni»: ad esempio, quale rapporto c’è tra il punto di vista prettamente europeo da cui si snoda il testo e la mondialità che costituisce il suo riferimento obbligato? Come si raccordano primato dell’avvenimento e universalità della proposta cristiana? Le domande sono tante, il confronto è serrato. E si spalanca lo spazio del dialogo.
La stessa cordialità e libertà di paragone emerge nell’intervento del secondo relatore, Roberto Lagalla, rettore uscente dell’Università di Palermo, che prova a descrivere l’impatto del libro su una persona normale. L’attenzione è rivolta soprattutto all’emergenza educativa, rispetto alla quale Lagalla individua nella nuova cultura dell’incontro proposta da Carrón, nel ripensamento della fede secondo la chiave antropologica di Giovanni Paolo II, in una parola, nella personalizzazione della fede, una risposta pertinente e convincente. La verità è relazione: dentro questa consapevolezza nuova è possibile affrontare i grandi cambiamenti che stanno attraversando le nostre società.
Padre Matarazzo aveva preso le mosse dal titolo del libro, mentre il rettore ci arriva in conclusione: una bellezza disarmata è qualcosa che non lascia tranquilli. Ma cosa significa che la bellezza è «disarmata»?
Carrón parte raccontando la storia del titolo, un percorso fatto dentro i terribili fatti di Parigi. Dal dolore e dallo sgomento per le stragi viene fuori che la bellezza disarmata esprime cos’è la fede per rispondere al vuoto di senso e allo scacco del desiderio in cui tutti, compresi gli attentatori francesi, siamo immersi. Asia e Africa si muovono verso l’Europa: cosa trova chi viene da noi? Abbiamo qualcosa di attraente da offrire a tutti? Qualcosa che risponda al vuoto generato da una pienezza desiderata e non raggiunta? «Bellezza» è il nome della verità che incontra la libertà dell’io. «Disarmata», perché non attrae che per se stessa. Del resto questo è ciò che c’è di più rispondente all’io: la libertà è ciò a cui non ci sentiamo di rinunciare, come notò Cervantes e recentemente Ratzinger: la libertà è la cifra più profonda della persona. Eppure, noi oggi siamo stanchi della libertà; abbiamo cominciato ad averne paura e stiamo scoprendo che non basta essere privi di costrizioni per aver voglia di usarla. Con questa paura, con questa stanchezza bisogna fare i conti, pena il rischio di travisare la natura del fenomeno che abbiamo davanti. Il testo vuole essere una proposta di risposta, ma, prima ancora, una compagnia nel guardare, il tentativo di prendere sul serio le domande ed aprire un dialogo con tutti.
Adesso tocca a ciascuno accettare la sfida.
Viera Catalfamo
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