ELEZIONI
AMMINISTRATIVE 2015
RIPARTIRE
DAL BASSO
.Implicarsi per il bene comune
«Una
comunità cristiana autentica vive in costante rapporto con il resto degli
uomini, di cui condivide totalmente i bisogni, e insieme coi quali sente i
problemi. Per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa, la
comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea e un suo metodo
d’affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua
specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata» (don
Giussani). Le prossime Elezioni amministrative per il rinnovo di 7 Consigli
regionali e oltre 1.000 Consigli comunali offrono l’occasione per un dialogo su
questioni che riteniamo decisive per tutti, non solo per chi andrà a votare.
LA CRISI DELLA POLITICA
È molto
probabile che la scarsa considerazione in cui è tenuta la politica porti a
votare alle prossime amministrative una percentuale bassissima di elettori,
quasi da elezioni americane. Eppure anche questa realtà negativa può essere
d’aiuto se sprona a un cambiamento quanto mai necessario. La forza dell’Italia
rispetto ad altri era il fatto di essere il Paese dei cento campanili, di una
miriade di municipalità capaci di essere vicine al cittadino, di non farlo
sentire periferia di un lontano potere centrale che lo opprimeva imponendogli
balzelli senza dare nulla in cambio. Purtroppo è sotto gli occhi di tutti che
la crisi della politica ha toccato il suo apice proprio nelle amministrazioni
locali: scandali, sprechi, continui contrasti di tipo clientelare, incapacità a
governare in modo efficiente. Quello che ha determinato la crisi della Prima
Repubblica e l’incapacità della Seconda di risolvere i problemi non è solo il
fallimento di un progetto politico, ma soprattutto e prima ancora il crollo di
una tensione ideale, il venir meno di una continua ricerca ed educazione, di
un’azione che pescasse le sue motivazioni nella coscienza profonda della
persona, e non in meccanismi pragmatici e di utilità immediata. L’impegno
politico si è quasi del tutto svincolato da quel percorso educativo che ogni
uomo deve fare per non privare la sua azione di ragioni adeguate. Così, il
venire meno di una esperienza integrale della persona ha svuotato dall’interno
le grandi esperienze popolari, un tempo protagoniste della vita sociale e anche
della politica italiana.
UNA RIPRESA IDEALE PER IL BENE COMUNE
Per questo
affidare la soluzione a riforme organizzative, pur utili, è insufficiente
perché significa non andare alla radice del problema. Occorre un cambio di
passo molto più radicale, che faccia saltare il pendolo della politica e
dell’antipolitica, rimettendo a tema il significato dell’azione pubblica e
superando due rischi contrapposti. Da una parte, la politica può corrispondere
al suo scopo solo se non pretende di essere “salvifica”. Dall’altra parte, i politici
devono riprendere coscienza di essere strumento per aiutare i singoli e le
realtà sociali a costruire risposte adeguate ai loro bisogni e problemi reali.
In positivo, ciò significa non ritenere un semplice enunciato astratto e
ricominciare a perseguire nei fatti il bene comune: il bene tuo, il bene
nostro, il bene di ognuno. Occorre domandarsi e declinare concretamente che
cosa vuol dire oggi “servire il popolo” a partire da una spinta ideale, secondo
un’esigenza che dopo il crollo delle ideologie nasce dal profondo del cuore di
chiunque conservi anche un minimo di interesse per la propria vita e per quella
delle persone che gli sono care. Recentemente, papa Francesco ha ricordato che
cosa significa fare politica per un cattolico, ma indicando una strada per
chiunque: «Paolo VI ha detto che la politica è una delle forme più alte della
carità, perché cerca il bene comune, pensando le strade più utili per questo, i
mezzi più utili. Cercare il bene comune lavorando nelle piccole cose,
piccoline, da poco… ma si fa. Fare politica è importante: la piccola politica e
la grande politica. Nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una
politica non sporca, buona; anche che hanno favorito la pace tra le Nazioni.
Pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra: pensate a De Gasperi.
Pensate alla Francia: Schuman, che ha la causa di beatificazione. Si può
diventare santo facendo politica. E non voglio nominarne più: valgono due
esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune. Fare politica è
davvero un lavoro martiriale, perché bisogna andare tutto il giorno con
quell’ideale, tutti i giorni, con quell’ideale di costruire il bene comune. E
anche portare la croce di tanti fallimenti, e anche portare la croce di tanti
peccati. Perché nel mondo è difficile fare il bene in mezzo alla società senza
sporcarsi un poco le mani o il cuore; ma per questo vai a chiedere perdono,
chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi» (30 aprile
2015).
RIPARTIRE DAL BASSO
Da questo punto di vista, paradossalmente,
proprio il livello locale può rappresentare il punto di ripresa di una politica
che superi gli schemi consueti in favore di una rinnovata ricerca del bene
comune. Non per niente Sturzo ripartì dalle amministrazioni locali con la sua
proposta politica popolare e molti dei nostri politici più validi fin dal
dopoguerra sono cresciuti dal basso – provenendo da associazioni, parrocchie,
movimenti, sindacati di fabbrica − e sono stati prima amministratori locali e
poi parlamentari; erano persone profondamente immerse nella realtà popolare, in
cui hanno imparato a rispondere a bisogni collettivi e concreti. Le Elezioni
locali possono essere un banco di prova per far ripartire la politica dal basso
e per coinvolgere di nuovo il popolo intorno ad essa. Si può ricominciare a
capire, in modo silenziosamente “rivoluzionario” rispetto al dopoguerra e alla
Seconda repubblica, che la politica non è innanzitutto gestione del potere per
il potere, ma che la politica è un servizio che puoi compiere anche quando si
ha ben poco “potere”, anche trovandosi all’opposizione o amministrando dagli
scranni della maggioranza senza tornaconti personali, in una rinnovata
responsabilità verso i bisogni della gente.
CHE COSA TENERE PRESENTE IN QUESTO
NUOVO PERCORSO?
Come
dicevamo un anno fa in occasione delle Elezioni europee, il punto di partenza è
il riconoscimento del valore irriducibile della persona, ormai dato troppo per
scontato quando addirittura non viene negato in nome di una qualche ideologia:
occorre riscoprire che l’altro è un bene, e non un ostacolo da superare, per la
pienezza del nostro io, tanto in politica quanto nei rapporti umani e sociali.
Per questo «ciascuno metta a disposizione di tutti la sua visione e il suo modo
di vivere. Questa condivisione ci farà incontrare a partire dall’esperienza
reale di ciascuno e non da stereotipi ideologici che rendono impossibile il
dialogo» (Julián Carrón, Corriere della Sera, 13 febbraio 2015). Perciò c’è
bisogno di nuovi soggetti capaci di esprimere una coscienza adeguata
dell’umano, di ciò che è essenziale alla realizzazione dei singoli e del
popolo. Ma questo impegno non può essere demandato alla sola politica, deve
avvenire innanzitutto in luoghi che risveglino l’io di ciascuno, lo educhino a
un rapporto adeguato con la realtà (qualunque essa sia), gli facciano percepire
esistenzialmente la centralità, unicità e sacralità di ogni persona. A partire
da questo giudizio, proponiamo alcuni spunti di lavoro: 1) Quando in un momento
di crisi si spreca, quando si spende più di quello che si ha a disposizione,
allora si compromette il benessere di tutti. Occorre perciò applicare agli enti
locali la sussidiarietà fiscale, vale a dire il principio secondo cui bisogna
premiare chi è capace di fornire servizi di qualità migliore a costi
sostenibili.
Oggi
l’Italia non è tutta uguale, ci sono comuni e
regioni virtuosi e altri che vivono nel
clientelismo, nello spreco e nell’incapacità di gestire razionalmente le
risorse. Se si vuole che ognuno sia responsabile e maturo, bisogna abbandonare
la prassi dei tagli orizzontali, che premiano inevitabilmente i più
irresponsabili. Ed è sempre più urgente sapere distinguere tra amministrazione
e amministrazione: solo in questo modo miglioreranno i conti dello Stato e la
qualità dei servizi per i cittadini.
2) In
particolare, questo si vede nella sanità: ci sono regioni che offrono servizi
di altissimo livello a costi inferiori ed altre in cui interventi sanitari di
livello mediamente mediocre sono erogati a costi molto più alti, con tempi di
attesa molto superiori e sprechi che sono all’ordine del giorno. Occorre
attuare una politica differenziata da parte dello Stato centrale, che premi chi
è virtuoso e sottragga responsabilità − per riportarle al centro − solo alle
regioni e ai comuni che si dimostrano incapaci di gestire in modo adeguato la
sanità. Nelle singole regioni occorre privilegiare la libertà di scelta da
parte dei cittadini di strutture sanitarie tra realtà statali e non statali che
abbiano dimostrato di sapere raggiungere i risultati migliori.
3) Sono gli
enti locali i più a contatto con la gente e, se si escludono le pensioni, sono
essi a intervenire primariamente sul welfare. Se si continua a pensare che il
pubblico coincida esclusivamente con l’amministrazione pubblica statale,
essendoci sempre meno risorse finanziare da investire, è inevitabile un
peggioramento delle condizioni di vita, soprattutto delle fasce più deboli
della popolazione. Occorre, perciò, attuare finalmente una sussidiarietà
orizzontale che coinvolga le realtà migliori del terzo settore nella gestione
dei servizi alla persona e di pubblica utilità, in un partenariato reale tra
pubblico e privato sociale. Solo unendo gli sforzi si risponde al problema
della gente, come avvenne tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento
grazie al movimento cattolico e operaio. 4) Un welfare più efficace e duraturo
si ottiene solo investendo sul processo educativo, cioè arricchendo la capacità
di conoscenza delle persone. Alcune amministrazioni locali hanno fatto propria
questa preoccupazione, contribuendo così a migliorare il nostro sistema di
istruzione: nuova formazione professionale, politiche efficaci di diritto allo
studio e contro l’abbandono scolastico, sostegno alla scuola paritaria, nuovi
strumenti moderni ed efficaci come voucher e doti-scuola che all’estero sono
ampiamente praticati da anni. Si tratta di interventi virtuosi che vanno
sostenuti e incrementati perché stanno facendo solo del bene.
A cura di
Comunione e Liberazione Maggio 2015
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