lunedì 5 maggio 2014

Quella croce scandalosa che ci parla della generosità di Dio

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E in terra lasciai la mia memoria» (Paradiso, canto XIX)

Un crocifisso non è un oggetto qualsiasi. Perciò se un crocifisso cade e uccide un ragazzo, il fatto ha una portata simbolica che non si toglie dagli occhi. Per quanto si finisca a parlare di altro (di mancata manutenzione, di azzardo da parte dello scultore, eccetera), la morte di Marco Gusmini a Cevo, rimasto ucciso dal crollo della Croce eretta in occasione della visita di san Giovanni Paolo II a Brescia, lascia nel cuore una profonda impressione: è una tremenda contraddizione in termini vedere un enorme crocifisso che schiaccia un debole, l’unico tra i presenti in difficoltà nel mettersi in salvo a causa della sua disabilità motoria.
La Croce da sempre porta scandalo nel mondo. Ad esempio, ricordo un racconto, duro e bellissimo, di Federigo Tozzi intitolato proprio Il crocifisso, in cui si parla di una giovane e ripugnante ragazza vagabonda che «fin da piccola dorme vicino a una latrina; e, a dodici o tredici anni, forse prima, non è più vergine. Quasi tutti le danno da mangiare come a una bastarda. Chi l’ha voluta, l’ha presa». Reietta e sudicia, questa donna vive di espedienti, dormendo con le bestie di strada, oltraggiata e usata dagli uomini che passano. Poi, in un caldo pomeriggio domenicale, si accascia a dormire tra la spazzatura dietro una chiesa e a un certo punto «al muro della chiesa, il caldo fa schiantare il legno di un crocifisso; come se volesse schiodargli le gambe e le braccia». E così termina il racconto, con lo schianto del legno, quasi che Cristo voglia staccarsi dalla Croce per precipitarsi verso quella creatura. Ecco, quest’immagine mirabilmente raccontata da uno scrittore è un genere di scandalo ancora comprensibile per la mente umana: lo schianto di quel crocifisso è un Redentore che si china anche su quell’umano che gli uomini rifiutano e schifano. La realtà, invece, ci ha mostrato una Croce che schiaccia un ragazzo buono ed esemplare: chi lo conosceva ci ha detto che Marco era un cristiano sincero, un ragazzo felice nonostante la disabilità e molto altruista, impegnato nella vita dell’oratorio e nel volontariato. Per una volta lo scandalo è davvero scandaloso; e ci è concesso di contemplare la vista di quanto vertiginoso sia l’invito di quel «se uno vuol venire dietro me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua». E per una volta che un dramma ha l’immagine vera e propria della Croce, vogliamo forse ridurci a chiamarlo incidente strutturale?
La voce umana può farci fare memoria, attraverso un racconto, del fatto che nella Croce tutti sono stati salvati, anche quelli che l’odio umano schiaccerebbe, ma solo la voce di chi scrive la storia del mondo può manifestarci nella sua simbolica drammaticità che il peso della Croce appartiene e cade su tutti, anche su quelli che la pietà umana risparmierebbe. La Croce è ancora più scandalosa di quanto noi crediamo di sapere, e ci parla della generosità di un Dio che incondizionatamente condivide tutto con l’umano, non solo la gioia della salvezza, ma anche la via dolorosa alla salvezza. È una generosità che lascia interdetti, quella di chi non si limita a donarci una Redenzione «pronta e impacchettata», ma ci chiede di esserne partecipi nelle ferite terrene che portano al gaudio eterno.


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