video visto aglli esercizi della fraternità.
Appunti dalla meditazione di monsignor Luigi Giussani a ottomila universitari riuniti a Rimini per gli Esercizi spirituali, sabato 10 dicembre 1994 |
Finiva, la meditazione di questa mattina, con la frase icastica di Kafka. “Esiste un punto d'arrivo, ma nessuna via"'. È innegabile: c’è un ignoto (i geografi antichi tracciavano quasi un'analogia di questo ignoto con la famosa terra incognita” con cui terminava il loro grande foglio; ai margini del foglio segnavano: “terra incognita”). Aimargini della realtà che l'occhio abbraccia, che il cuore sente, che la mente immagina c'è un ignoto. Tutti io sentono. Tutti l'hanno sempre sentito. In tuffi i tempi gli uomini l'hanno così sentito che l'hanno anche immaginato. In tutti i tempi gli uomini hanno cercato, attraverso le loro elucubrazioni o le loro fantasie, di immaginare, di fissare il volto di questo ignoto. Tacito, nel Germania, descriveva così il sentimento religioso che qualificava gli antichi teutoni: secretum lIlud quod sola reverentia vident, hoc deum appellant (quella cosa misteriosa che essi intuivano in timore e tremore, questo chiamavano Dio, questo chiamano Dio). Tuffi gli uomini di tuffi i tempi, qualunque sia l'immagine che se ne siano fatta, hoc deum appellant, chiamano Dio questo ignoto davanti al quale passano gli sguardi, dei più indifferenti, ma di molti appassionati. Indubbiamente, tra gli appassionati ci sono stati quei trecento, che col cardinal Martini sono sfilati per il tragitto da San Carlo al Duomo di Milano. Trecento rappresentanti di religioni diverse! E come si può chiamare, con denominatore comune, quello che intendevano esprimere e onorare con la loro partecipazione alla grande iniziativa del cardinale di Milano? Un secretum illud, qualcosa di misterioso, terra incognita, qualcosa di non conoscibile - non conoscibile! Mi piace ricordare adesso un paragone che si trova nel secondo volume della Scuola di comunità (All 'origine della pretesa cristiana) - chi l'avesse già letto lo conosce. Immaginatevi il mondo umano, la storia umana, come un’immensa pianura, e in questa immensa pianura un immenso stuolo di ditte, di imprese edili, particolarmente allenate a far strade e ponti. Ognuna nel suo angolo, dal suo angolo cerca di lanciare, fra il punto in cui sono, fra il momento effimero che vivono, e il cielo trapuntato di stelle, un ponte che colleghi due termini, secondo l'immagine di Victor Hugo nella sua bella poesia di Les contemplations intitolata "Le Pont" ("Il ponte"). Vi si immagina, seduto sulla spiaggia di notte, una notte stellata, un individuo, un uomo che guarda, fissa la stella più grossa, apparentemente più vicina, e pensa alle migliaia e migliaia di archi che occorrerebbe erigere per costruire questo ponte, un ponte mai definibile, mai completamente operabile. Immaginatevi, dunque, questa pianura immensa, tutta gremita di tentativi di gruppi grossi e piccoli, o anche solitari, come nell'immagine di Victor Hugo, ognuno attuando il suo disegno immaginato, fantasticato. Improvvisamente s'ode nell'immensa pianura una voce potente, che dice: “Fermatevi Fermatevi tutti!”. E tutti gli operai, gli ingegneri, gli architetti sospendono il lavoro e guardano dalla parte da cui è venuta la voce: è un uomo, che alzando il braccio continua: “Siete grandi, siete nobili nel vostro sforzo, ma questo vostro tentativo, se è grande e nobile, rimane triste, per cui tanti vi rinunciano e non ci pensano più, e indifferenti diventano; è grande, ma triste, perché non opera mai il termine, non riesce mai ad andare a fondo. Ne siete incapaci perché siete impotenti a questo scopo. C'è una sproporzione non colmabile tra voi e la stella ultima del cielo, tra voi e Dio. Non potete immaginarvi il mistero. Ora, lasciate il vostro lavoro cosi faticoso e ingrato, venite dietro di me: io vi costruirò questo ponte, anzi io sono questo ponte! Perché io sono la via, la verità, la vita!”. Queste cose non si capiscono nel loro valore intellettuale rigoroso, se non ci si immedesima, se non si cerca di immedesimarsi col cuore. Immaginatevi, dunque, voi che, sulle dune vicino al mare, vedete un crocchio di persone del villaggio vicino che stanno a senti re uno tra di loro che parla, che è là in mezzo al gruppo che parla; e voi passate via per andare alla spiaggia dove siete indirizzati; passate vicino e, mentre passate e guardate curiosi, sentite l'individuo che sta in mezzo, che dice: “Io sono la via, la verità, la vita. lo sono la via, la verità...”: la via che non si può sapere, di cui parlava Kafka: “Io sono la via, la verità, la vita'. Immaginatevi, fate uno sforzo di immaginazione, di fantasia: cosa fareste, cosa direste? Scettici quanto possiate esserlo, non potete non sentire il vostro orecchio attirato da quella parte, e almeno guardate con curiosità estrema quell'individuo che o è pazzo o e vero: tertium non datur; o è pazzo o è vero. Infatti, c'è stato un solo uomo, uno, a dire questa frase, uno in tutta la storia del mondo - del mondo! -,tanto è vero. Un uomo in mezzo a un gruppetto di gente, tante volte in mezzo a un gruppetto di gente, e tante volte in mezzo anche a una grande folla. Dunque, nella grande pianura tuffi sospendono il lavoro e stanno attenti a questa voce, e lui continuamente ripete le stesse parole. I primi seccati della questione chi furono? Gli ingegneri, gli architetti, i padroni delle varie imprese edili, i quali hanno detto quasi subito: “Su, su, ragazzi, al lavoro, al lavoro. Operai, al lavoro! Quello è un fanfarone!”. Era alternativa radicale, tranchant, al loro progetto, alla loro creatività, al loro guadagno, al loro potere, al loro nome, a sé. Era l'alternativa a sè. Dopo gli ingegneri, gli architetti e i capi, anche gli operai, incominciando un po' a ridere, più a stento hanno trascinato via lo sguardo da quell'individuo, parlandone per un po', prendendolo in giro, oppure dicendo: “Chissà, chissà chi è, sarà pazzo?”. Ma alcuni, invece, no. Alcuni hanno sentito un accento che non avevano mai sentito, e all'ingegnere, all'architetto o al padrone dell'impresa che diceva loro: “Su, in fretta, cosa fate qui, cosa vi fermate ancora a guardar là?”, loro non rispondevano; continuavano a guardarlo. E lui avanzava. Anzi, gli andarono vicino. Su centoventi milioni erano dodici. Ma avvenne: questo è un fatto storico. Quello che Kafka dice (nessuna via”) non è vero storicamente. E vero, paradossalmente, si potrebbe dire, teoricamente, non è vero storicamente. lì mistero non si può conoscere! Questo è vero teoricamente. Ma se il mistero bussa alla tua porta Chi mi apre io entrerò e verrò a cena con lui” i, sono parole che si leggono nella Bibbia, parole di Dio nella Bibbia. Ma è un fatto accaduto. E il capitolo primo di san Giovanni, che è la prima pagina letteraria che ne parli, oltre all'annuncio generale: “Il Verbo si è fatto carne” - ciò di cui tuffa la realtà è fatta si è fatto uomo - contiene la memoria di coloro che l'hanno seguito subito, che hanno resistito alla urgenza che era loro fatta da parte degli ingegneri, degli architetti. Su un foglio, qualcheduno di loro ha annotato le prime impressioni e i tratti del primo momento in cui il fatto accadde, Il primo capitolo di san Giovanni, infatti, ha un seguito di appunti che sono proprio appunti di memoria. Uno dei due, diventato vecchio, legge nella sua memoria gli appunti rimasti, ché la memoria ha una sua legge. La memoria non ha come legge una continuità senza spazi, come è per esempio in una creazione fantastica, di fantasia; la memoria letteralmente "prende appunti", come facciamo noi ora: una nota, una riga, un punto, e questo punto copre tante cose, cosi che la seconda frase parte dopo le tante cose supposte dal primo punto. Le cose sono più supposte che dette, alcune soltanto sono dette come punti di riferimento. Per cui, io dai miei settant'anni di età lo rileggo per la millesima volta, e senza alcun sintomo di stanchezza. Vi sfido a immaginarvi una cosa in sé più grave, più pesante, nel senso di pondus, più grande, più carica di sfida per l'esistenza dell'uomo nella sua fragilità apparente, più gravida di conseguenze nella storia, di questa, di questo fatto. https://www.youtube.com/watch?v=obSrowDpBCo “Quel giorno Giovanni stava ancora là con due discepoli. Fissando lo sguardo su Gesù che passava disse,..”. Immaginatevi la scena, dunque. Dopo 150 anni che lo aspettavano, finalmente il popolo ebraico che sempre, per tutta la sua storia, per due millenni, aveva avuto qualche profeta, qualcheduno riconosciuto profeta da tutti, dopo 150 anni, finalmente il popolo ebraico ebbe di nuovo il profeta: si chiamava Giovanni Battista. Ne parlano anche altri scritti dell'antichità, è documentato storicamente, quindi. Tutta la gente - ricchi e poveri, pubblicani e farisei, amici e contrari - andava a sentirlo e a vedere il modo con cui viveva, al di là del Giordano, in terra deserta, di locuste e di erbe selvatiche. Aveva sempre un crocchio di persone attorno. Tra queste persone quel giorno c'erano anche due che andavano per la prima volta e venivano, diciamo, dalla campagna - ma loro venivano dal lago, che era abbastanza lontano ed era fuori del giro delle città evolute. Erano là come due paesani che per la prima volta vengano in città, spaesati, che guardavano con gli occhi sbarrati tutto quel che stava attorno e soprattutto lui. Erano là con la bocca aperta e gli occhi spalancati a guardare lui, a sentire lui, attentissimi. Improvvisamente uno del gruppo, un giovane uomo, se ne parte, prende il sentiero lungo il fiume per andare verso il nord. E Giovanni Battista improvvisamente, fissandolo, grida: “Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo!”. Ma la gente non si mosse, erano abituati a sentire il profeta ogni tanto esprimersi in frasi strane, incomprensibili, senza nesso, senza contesto; perciò, la maggior parte dei presenti non ci fece caso. I due che venivano per la prima volta, che erano là che pendevano dalle sue labbra, che guardavano gli occhi suoi, seguivano i suoi occhi dovunque girasse lo sguardo, hanno visto che fissava quell'individuo che se ne andava, e si sono messi alle calcagna di questo individuo. Lo seguirono stando a distanza, per timore, per vergogna, ma stranamente, profondamente, oscuramente e suggestivamente incuriositi. “Quei due discepoli sentendolo parlar così seguirono Gesù. Gesù si voltò e vedendo che lo seguivano disse. "Che cosa cercate?" - Gli risposero: "Rabbi, dove abiti?". Disse loro: "Venite a vedere"”. È questa la formula, la formula cristiana. lì metodo cristiano è questo: “Venite a vedere”. “E andarono, e videro dove abitava, e si fermarono presso di lui tutto quel giorno. Erano circa le 4 del pomeriggio”. Non specifica quando partirono, quando gli andarono dietro; tutto il brano, anche il seguente, è fatto di appunti, come dicevo prima: le frasi finiscono in un punto che dà per scontato che si sappiano già tante cose. Per esempio: “Erano circa le 4 del pomeriggio”; ma quando andarono via, quando andarono là, chi lo sa? Comunque sia, erano le 4 del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni Battista e lo avevano seguito si chiamava Andrea, era il fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone... Sono andati via da Gesù, e il primo che Andrea incontra è il fratello Simone, che tornava dalla spiaggia, tornava o dalla pescagione o dal rassettare le reti necessarie al pescatore, e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia”. Non narra nulla, non cita nulla, non documenta nulla, è risaputo, è chiaro, sono appunti di cose che tutti sanno! Poche pagine si possono leggere così realisticamente veritiere, così semplicemente veritiere, dove non una parola è aggiunta al puro ricordo. Come ha fallo a dire: “Abbiamo trovato il Messia”? Gesù parlando loro avrà detto questa parola che era nel loro vocabolario; perché dire che quello fosse il Messia, "in quattro e quattro Otto" così asseverato, sarebbe stato impossibile. Ma si vede che, stando là ore ad ascoltare quell'uomo, vedendolo, guardandolo parlare - chi è che parlava così? Chi aveva mai parlato così? Chi aveva detto quelle cose? Mai sentite! Mai visto uno così! - lentamente dentro il loro animo si faceva strada l'espressione: “Se non credo a quest'uomo non credo più a nessuno, neanche ai miei occhi”. Non che l'abbiano detto, non che l'abbiano pensato, l'hanno sentito, non pensato. Avrà dunque detto, quell'uomo, tra l'altro, che era lui colui che doveva venire, il Messia che doveva venire. Ma era stato così ovvio nella eccezionalità dell'annuncio (dell'affermazione, che loro l'hanno portato via con sé come se fosse una cosa semplice - era una cosa semplice! -, come se fosse una cosa facile da capire. “E Andrea lo condusse da Gesù. Gesù fissando lo sguardo su di lui disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni. Ti chiamerai Cefa, che vuol dire pietra"”. Gli ebrei usavano cambiare il nome o per indicare il carattere di uno, oppure per qualche fatto che accadeva. Dunque, immaginate Simone che va col fratello, pieno di curiosità e un po' di timore, e che guarda fisso l'uomo da cui il fratello lo conduce, Quell'uomo lo sta fissando da lontano. Pensate il modo con cui lo fissava, che ha capito il suo carattere fin nel midollo delle ossa: “Ti chiamerai pietra”. Pensate a uno che si sente guardare così da uno nuovo, assolutamente estraneo che si sente colto così nel profondo di sé. “lì giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea...”. E mezza pagina fatta così, di questi brevi accenni e di questi punti in cui tutto quello che è successo era dato per scontato che lo sapessero tutti, che fosse evidente a tutti. “Esiste un punto di arrivo, ma nessuna via”, No! Un uomo che ha detto: “Io sono la via” è un fatto storico accaduto, la cui prima descrizione è dentro questa mezza pagina che ho iniziato a leggere. E ognuno di noi sa che è accaduto. Nulla è accaduto al mondo di così impensato ed eccezionale come quell'uomo di cui stiamo parlando: Gesù di Nazareth. Ma quei due, i primi due, Giovanni e Andrea - Andrea era sposato con figli, molto probabilmente come hanno fatto a essere così conquisi subito e a riconoscerlo (non c'è un'altra parola da dire diversa da riconoscerlo)? Dirò che, se questo fatto è accaduto, riconoscere quell'uomo, chi era quell'uomo, non chi era fino in fondo e dettagliatamente, ma riconoscere che quell'uomo era qualcosa di eccezionale, di non comune - era assolutamente non comune - irriducibile ad ogni analisi, riconoscere questo doveva essere facile. Se Dio diventasse uomo, venisse tra di noi, se venisse ora, se si fosse intrufolato nella nostra folla, fosse qui tra noi, riconoscerlo, a priori dico, dovrebbe essere facile: facile riconoscerlo nel suo valore divino. Perché è facile riconoscerlo? Per una eccezionalità, per una eccezionalità senza paragone. Io ho davanti una eccezionalità, un uomo eccezionale, senza paragone. Cosa vuoi dire eccezionale? Cosa vorrà dire? Perché ti fa colpo l'eccezionale? Perché la senti "eccezionale" una cosa eccezionale? Perché corrisponde alle attese del cuore tuo, per quanto confuse e nebulose possano essere. Corrisponde d'improvviso – d’improvviso! -, corrisponde alle esigenze del tuo animo, del tuo cuore, alle esigenze irresistibili, innegabili del tuo cuore come mai avresti potuto immaginare, prevedere, perché non c'è nessuno come quell'uomo. L'eccezionale, cioè, è, paradossalmente, l'apparire di ciò che è più naturale per noi. Che cos'è naturale per me? Che quello che desidero avvenga. Più naturale di questo! Che quello che più desidero più avvenga: questo è naturale. Scontrarsi con qualcosa di assolutamente e profondamente naturale, perché corrispondente alle esigenze del cuore che la natura ci ha dato, è una cosa assolutamente eccezionale. E come una strana contraddizione: ciò che accade non è mai eccezionale, veramente eccezionale, perché non riesce a rispondere adeguatamente al le esigenze del cuore. 5 accenna alla eccezionalità quando qualcosa fa battere il cuore per una corrispondenza che si crede di un certo valore e che il giorno dopo sconfesserà, che l'anno dopo annullerà. È l'eccezionalità con cui appare la figura di Cristo che rende facile il riconoscerlo. Bisogna immaginarsi, l'ho detto, occorre immedesimarsi in questi avvenimenti. Se si pretende di giudicarli, se si vuole giudicarli, non dico capirli, ma giudicarli sostanzialmente, se veri o falsi, è la sincerità della tua immedesimazione che rende vero il vero e non falso, e non dubitoso il tuo cuore del vero. E facile riconoscerlo come presenza divina perché è eccezionale: corrisponde al cuore, e uno ci sta e non andrebbe mai via, che è il segno della corrispondenza col cuore. Non andrebbe mai via, e lo seguirebbe tutta la vita - e infatti lo seguirono gli altri tre anni che lui visse. Ma immaginate quei due che lo stanno a sentire alcune ore e poi dopo devono andare a casa. Lui li congeda e se ne tornano zitti, zitti perché invasi dall'impressione avuta del mistero sentito, presentito, sentito, e poi si dividono. Ognuno dei due va a casa sua. Non si salutano, non perché non si salutino, ma si salutano in un altro modo, si salutano senza salutarsi perché sono pieni della stessa cosa, sono una cosa sola loro due, tanto sono pieni della stessa cosa E Andrea entra in casa sua e mette giù il mantello, e la moglie gli dice: “Ma, Andrea, che hai? Sei diverso, che ti è successo?” Immaginate lui che scoppiasse in pianto abbracciandola, e lei che, sconvolta da questo, continuasse a domandargli: “Ma che hai?”. E lui a stringere sua moglie, che non si è mai sentita stretta così invita sua: era un altro. Era un altro! Era lui, ma era un altro. Se gli avessero domandato: “Chi sei?”, avrebbe detto: “Capisco che son diventato un altro... dopo aver sentito quell'individuo, quell'uomo, io sono diventato un altro”. Ragazzi, questo, senza troppe sottigliezze, è accaduto. Non solo è facile riconoscerlo, fu facile riconoscerlo nella sua eccezionalità - perché “se non credo a quest'uomo non credo più neanche ai miei occhi” - ma fu facile anche comprendere che tipo di moralità, cioè che tipo di rapporto da lui nascesse; perché la moralità è il rapporto con la realtà in quanto creata dal mistero, è il rapporto giusto, ordinato con la realtà. Fu facile, fu a loro facile comprendere quanto fosse facile il rapporto con lui, il seguirlo, l'esser coerenti con lui, l'esser coerenti alla sua presenza - coerenti alla sua presenza. C'è un'altra pagina di san Giovanni che dice queste cose in un modo spettacoloso: è nell'ultimo capitolo di san Giovanni, il ventunesimo. Quella mattina la barca stava arrivando alla riva e non avevano preso pesci. A qualche centinaio di metri dalla sponda si sono accorti di un uomo che era li, diritto - aveva preparato un fuocherello, lo si vedeva da cento metri - e che interloquì con loro in un certo modo che adesso non dettaglio. Giovanni disse per primo: “Ma è il Signore!”; e san Pietro di botto si getta nel lago e in quattro bracciate arriva alla sponda: ed è il Signore. Intanto arrivano gli altri e nessuno parla. Si mettono tutti in circolo, nessuno parla, tutti zitti, perché tuffi sapevano che era il Signore risorto: era già morto, e si era già fatto vedere loro dopo che era risorto. Aveva preparato del pesce arrosto per loro. Tutti si siedono, mangiano. Nel quasi totale silenzio che gravava sulla spiaggia, Gesù, sdraiato, guardò al suo vicino, che era Simon Pietro: lo fissò, e Pietro si senti, immaginiamoci come lo sentì, il peso di quello sguardo, perché si ricordava del tradimento di poche settimane prima, e di tutto quel che aveva fatto - si era fatto chiamare perfino Satana da Cristo; “Va' lontano da me Satana, scandalo per me, per il destino della mia vita”. Si ricordava di tutti i suoi difetti, perché quando si sbaglia gravemente una volta viene in mente anche tutto il resto, anche quello che è meno grave. Pietro si sentì come schiacciato sotto il peso della sua incapacità, della sua incapacità ad essere uomo. E quell'uomo lì vicino apre la bocca e gli dice: “Simone (immaginatevi come Simone dovesse tremare), mi ami tu?”. Ma, se voi cercate di immedesimarvi in questa situazione, tremate adesso pensandoci, soltanto pensandoci, pensando a questa scena così drammatica; drammatica, cioè così descrittiva dell'umano, espositiva dell'umano, esaltatrice dell'umano, perché il dramma è ciò che esalta i fattori dell'umano, è solo la tragedia che li annichila. Il nichilismo porta alla tragedia, questo incontro porta nella vita il dramma, perché il dramma è il rapporto vissuto tra un io e un tu. Allora, come un respiro, come un respiro rispose: la sua risposta fu appena accennata come un respiro. Non osava, ma...: “Non so come, si, Signore, io ti amo; nonio so come, ma è così” (come disse il video che alcuni di noi hanno visto poche settimane fa). “Sì, Signore. Non so come, non posso dirti come, ma...”. Insomma, era facilissimo il trattenere, il vivere il rapporto con quell'uomo, bastava aderire alla simpatia che faceva nascere, una simpatia profonda, simile a quella vertiginosa e carnale del bambino con sua madre, che è simpatia nel senso intenso del termine. Bastava aderire alla simpatia che taceva nascere Perché, dopo tutto quello che gli aveva fatto e il tradimento, si è sentito dire: “Simone, mi ami tu?”. Per tre volte. E lui dubitò la terza volta, forse, che vi fosse un dubbio nella domanda, e rispose più ampiamente: “Signore, Tu sai tutto, Tu lo sai che ti amo. La mia simpatia umana è per te; la mia simpatia umana è per te, Gesù di Nazareth”. Imparare da una eccezionalità è dentro una simpatia: questo è la logica della conoscenza e la logica della moralità che la convivenza con quell'individuo rendeva necessarie, solo questo. Imparare è una simpatia ultima. Come per il bambino con sua madre, che può sbagliare mille volte al giorno, centomila volte al giorno, ma se Io portate via da sua madre, guai! Se potesse capire le domande: “Ami questa donna?”, e rispondere, pensate che “sì” urlerebbe. Quanto più ha sbagliato tanto più urlerebbe “sì”, per affermarlo. Sto parlando da uomo a uomini, che, essendo giovani, hanno meno preconcetti; so no zeppi di preconcetti, infatti, ma dei grandi. Qual è in fondo, allora, ciò che la moralità della simpatia verso di lui esige che tu operi, che tu realizzi? Osservarlo, o quell'osservarlo attivo che si chiama seguire. Seguirlo. E infatti ritornarono con lui il giorno dopo, lui ritornò con loro il terzo giorno, perché abitava in un paese vicino. Incominciò ad andare a pesca con loro, e il pomeriggio andava a trovarli sulla spiaggia quando rassettavano le reti. E quando lui ogni tanto incominciava ad andare nei paesi dell'interno, passava da loro e diceva: “Venite con me?”, qualcheduno andava qualcheduno non andava, poi finivano per andare tutti. Finivano per andare alcune ore, poi più ore, poi la giornata intera, poi lui iniziava a stare fuori anche la notte, e lo seguivano, dimenticavano la loro casa... Non dimenticavano la loro casa! C'era qualcosa di più grande che la loro casa, c era qualcosa da cui la loro casa nasceva, dà cui il loro amore alla donna nasceva, che poteva salvare l'amore con cui guardavano i figli e li vedevano con preoccupazione diventar grandi, c'era qualcosa che salvava tuffo questo più che le loro poverissime forze e la loro piccolissima immaginazione. Cosa potevano fare loro? Di fronte alle annate brutte di carestia, o di fronte ai pericoli cui i figli andavano incontro? Gli andarono dietro! Tutti i giorni sentivano quel che diceva, tutta la gente era lì con la bocca aperta, e loro con la bocca più aperta ancora. Non ci si stancava di sentirlo. Poi era buono. “Prese un bambino, se lo strinse al grembo e disse: "Guai a colui che torce un capello al più piccolo di questi bambini non parlava del non far del male fisico al bambino, che fino a un certo punto si ha un po' più di ritegno a fare - adesso no, e non è l'ultimo segno triste dei tempi -, ma parlava dello scandalo al bambino che, nessuno ci pensa, è fargli del male. Era buono. Quando vide quel funerale si informò subito: “Chi è?”. “E un adolescente, a cui è morto il padre poco tempo fa”. E sua madre stava gridando e gridando e gridando dietro al feretro, non come si usava allora, ma come usa nella natura del cuore di una sulla natura che la natura era come problema di Cristo. Questa domanda, che liberamente si esprime. Fece un passo verso di lei e le disse: “Donna, non piangere!”. Ma c'è qualcosa di più ingiusto che dire a una donna cui il figlio è morto, sola: “Donna, non piangere”? Ed era invece il segno di una compassione, di un'affezione, di una partecipazione al dolore sterminata. Disse al figlio: “Alzati!”. E le restituì il figlio. Ma non poteva restituirle il figlio senza dir niente: sarebbe rimasto nella sua gravità di profeta e taumaturgo, di uomo dei miracoli. “Donna, non piangere, disse. E le restituì il figlio. Ma disse prima: “Donna, non piangere”. Immaginatevi per un anno, due, sentirlo tutti i giorni così, sentirlo al suo servizio. E quella sera andò in barca con loro, e fecero notte. A un certo punto s'alza un vento impetuoso, una tempesta terribile si scatena improvvisamente sul lago di Genezaret, e stavano per colare a picco. La barca era piena d'acqua, lui dormiva, era talmente stanco che non sentiva neanche la tempesta e dormiva a poppa. Uno di loro dice: “Maestro, svegliati, svegliati, andiamo a picco!>'. E lui alzò il capo, stese la mano e “comandò al vento e al mare e si fece d'improvviso una gran bonaccia”. Quegli uomini - finisce il Vangelo -quegli uomini, impauriti, dicevano tra loro: “Chi è mai costui?”. Questa domanda inizia nella storia del mondo, fino alla fine del mondo, il problema di Cristo. Questa domanda -–precisa - all'ottavo capitolo del Vangelo di san Luca. Era gente che lo conosceva benissimo, che conosceva la famiglia, lo conoscevano come le loro tasche, gli andavano dietro, avevano abbandonato casa loro! Ma era così sproporzionato il modo d'agire di quell'uomo, così inconcepibile, cosi sovrano, che venne spontaneo ai suoi amici dire: “Chi è costui?”. Cosa c'è dietro? Non c'è niente che l'uomo desideri più di questa "incomprensibilità". Non c'è niente che l'uomo desideri più ardentemente, sia pur timorosamente, senza accorgersi, di questa presenza inspiegabile. Perché è questo, Dio. Questo è il segno e il raccordo col mistero. Infatti, è la stessa domanda che gli fecero i suoi nemici alla fine, prima di ammazzarlo. Poche settimane prima di ammazzarlo, discutendo con lui, gli dissero: Di nessun uomo al mondo noi possiamo dire: “Chi è mai costui che fa così?”, costretti dallo stupore e dalla sproporzione tra l'immaginazione del possibile e il reale che uno ha davanti. Si capisce allora come quella volta che lui sfamò più di cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini - li sfamò misteriosamente - poi scomparve, perché loro volevano farlo re. Hanno detto, toccati nell'economia: “Questo è veramente il Messia che deve venire!”', ritornando d'improvviso alla mentalità comune che avevano sempre vissuto, che avevano tuffi - com'era insegnato dai loro capi, il Messia sarebbe dovuto essere un potente uomo che avrebbe dovuto dare a Israele, al loro popolo, la supremazia sul mondo. Sfuggi a loro, e molti di loro intuirono che fosse andato a Cafarnao. Allora fecero il periplo del lago per andare a riprenderlo, sul far della sera del sabato. Andarono alla sinagoga, perché il posto dove potevano trovarlo era la sinagoga: lui, infatti, per parlare prendeva sempre lo spunto dal brano biblico che era proposto al popolo in quel giorno, dal rotolo che l'inserviente sceglieva. E infatti era là nella sinagoga che parlava, e stava dicendo che i loro padri avevano mangiato la manna, ma lui dava da mangiare qualcosa di molto più grande, la sua parola: la sua parola è verità. La verità dava loro da mangiare, la verità dava loro da bere, il vero sulla vita e sul mondo. S'apre la porta in fondo, entra dentro questo gruppo che lo cercava, che lo aveva inseguito, diciamo. Lo cercavano. Lo cercavano per un motivo sbagliato, perché lo volevano fare re, non perché erano colpiti dal segno che lui era, dal mistero della sua persona, che la potenza dei suoi gesti assicurava, ma perché avevano un interesse, cercavano in lui un interesse materiale. Il motivo era sbagliato, però lo cercavano. Lo cercavano. Era nato perché tutto il mondo lo cercasse. Si commosse e d'improvviso a lui - che, uomo come noi, come a noi le idee venivano dalle circostanze - venne in mente un'idea fantastica. Cambiò senso a quel che diceva ed esclamò: “Non la mia parola vi darò, ma il mio corpo vi darò da mangiare, il mio sangue da bere!”. Lo spunto, finalmente i politici e i giornalisti e i "televisivi" di allora, ebbero lo spunto: “E pazzo, chi può dar da mangiare la sua carne?”. Quando diceva una cosa che a lui premeva, ma la gente non capiva e si scandalizzava per quello che diceva, lui non spiega-va, ma ripeteva, ripeteva: “Vi dico, in verità, chi non mangia la mia carne non può entrare a capire la realtà, non può entrare nel regno dell’essere a capire la realtà, non può entrare nelle viscere delta realtà, perché il vero è questo”. Se ne andarono tutti: “E pazzo, è pazzo, dicevano”, durus est hic sermo, “ha un modo di parlare strambo”. Finché nella penombra della sera rimase lui coi soliti dodici. Anche loro in silenzio con la testa bassa. Immaginatevi la scena nella non grande sinagoga di Cafarnao, è come un'aula scolastica nostra di 30-40 posti. “Anche voi volete andarvene? Non ritiro quel che ho detto: anche voi volete andarvene?”. E Simon Pietro, testardo, Pietro: “Maestro, anche noi non comprendiamo quel che dici, ma se andiamo via da te dove andiamo? Tu hai parole che danno senso al vive re”9. (Kafka: “Esiste un punto d'arrivo, ma nessuna via”). Quell'uomo era la via. “Se andiamo via da te, dove andiamo? Quale sarà la strada, quale può essere la strada? La strada sei Tu!”. Quei due, Giovanni e Andrea e quei dodici, Simone e gli altri, lo dissero alle loro mogli e alcune di quelle mogli andarono con loro; a un certo punto molte andarono con loro e lo seguirono: abbandonavano le loro case e andavano con loro. Ma lo dissero anche ad altri amici, i quali non abbandonavano necessariamente anche loro le case, però partecipavano alla loro simpatia, partecipavano alla loro posizione positiva di stupore e di fede in quell'uomo. E gli amici lo dissero ad altri amici, e poi ad altri amici, poi ad altri amici ancora. Così passò il primo secolo, e questi amici invasero con la loro fede il secondo secolo e intanto invadevano anche il mondo geografico. Giunsero fino in Spagna alla fine del primo secolo e fino all'india nel secondo secolo. E poi questi del secondo secolo lo dissero ad altri che vissero dopo di loro, e questi ad altri dopo di loro, come un gran flusso che si ingrossava, come un gran fiume che si ingrossava, e giunsero a dirlo a mia madre - a mia mamma. E mia mamma lo disse a me che ero piccolo, e io dico: “Maestro, anch'io non capisco quel che dici, ma se andiamo via da te dove andiamo? Tu solo hai parole che corrispondono al cuore”. Che è la legge della ragione: la legge della ragione è il paragone col cuore. I criteri della ragione sono le esigenze della mia natura, del cuore. Mi hanno detto di una nostra amica che leggendo un nostro testo, lei non è cattolica, ha osservato: Andate a leggere su Tracce una terza testimonianza. Sei nostri amici sono nella grande Siberia a Novosibirsk. Da tre anni sono là e hanno un certo gruppo di amici che si sono fatti battezzare.. Uno di loro ha raccontato cosa è avvenuto nella sua vita. E un ragazzetto di 17 anni. “Ho incontrato il Movimento subito dopo il mio incontro con la Chiesa cattolica. Allora non conoscevo praticamente nulla della vita cristiana e capivo anche meno. Ho incontrato una compagnia di gente abbastanza giovane, dove c'erano soprattutto studenti e alcuni italiani che parlavano poco o niente il russo. Li sentivo parlare della vita, del lavoro; parlavano della loro esperienza cristiana, del loro primo incontro con Cristo; cantavano anche e si divertivano. Poi si andava insieme a Messa, a volte alla recita del Vespero. Ebbi l'impressione di buoni amici, ma, veramente, c'era qualcosa di strano per me: perché questi stranieri erano venuti così da lontano, ma perché? Venuti fin qui dove è così freddo e la vita non è così confortevole come da loro? E poi gente così giovane, diversi l'uno dall'altro, eppure cosi amici, e poi perché insieme? Probabilmente proprio in questo, e anche in questo, consiste la grazia del primo incontro, quando tu intuitivamente, sentì proprio ciò di cui hai bisogno nella vita, senti qualcosa di corrispondente, di buono che risveglia in te curiosità e desiderio, così che ogni volta rivivi il primo incontro senza riconoscere fino in fondo perché. E in effetti solo dopo ho cominciato a intuire e a capire che in questa compagnia è presente Qualcuno, di fronte a cui tutti si inchinano e che mette insieme gente che a prima vista non potrebbe mai stare insieme. lo penso che per me questo è stato una sorta di momento straordinario", quando ho riconosciuto la presenza di Cristo, l'ho scoperto in quella compagnia. Ho riconosciuto che sono amato [come Andrea], molto amato da Gesù, proprio attraverso questa gente che Lui stesso mi ha posto a fianco e che mi accompagna. E già tre anni che sono nel movimento di CI e questo mi aiuta. Posso dire che adesso provo il gusto della vita e questo mi sembra proprio molto importante [il contrario di quanto domina oggi: la perdita del gusto della vita come sintomo del macabro della cultura presente]. Infatti1 gli aspetti della vita sono diversi: lavoro, riposo, studio, vacanze, e vedere il senso in tutti gli aspetti della vita, riconoscere che Dio è diventato avvenimento nella nostra vita: questo è proprio il cristianesimo. Nulla accade a caso, nulla accade semplicemente così e ogni momento della storia può testimoniare la presenza di Cristo qui ed ora. Ho molti amici, incontro tanta gente e provo sempre un grande dispiacere per il fatto che ancora non hanno provato la grazia del primo incontro che permette di cogliere la Sua presenza e costringe a seguirla. Vorrei comunicare a tutti quelli che incontro il desiderio di provare il gusto di questa vita [gusto: gusto è un termine così naturale, così carnale e così divino, è la felicità eterna, il gusto eterno, è lo scopo del vivere]. Certo, la mia esperienza è ancora piccola, ma domando che in tutti gli aspetti della vita io possa testimoniare Cristo, presente qui ed ora. Josif”. E infatti, come per Josif, la più grande sorpresa per me cristiano è sperimentare ora, è trovare la corrispondenza col cuore che Egli è, ora. Perché quando il giornalista accostò la suora di Madre Teresa di Calcutta in India e le fece qualche domanda, tra l'altro lei disse - una suora giovanissima, non ancora ventenne: “Ricordo di aver raccolto un uomo dalla strada e di averlo portato nella nostra casa”. “E cosa disse quell'uomo?”. “Non biascicò, non bestemmiò, disse soltanto: “Ho vissuto sulla strada come un animale e sto per morire come un angelo, amato e curato. Sorella, sto per tornare alla casa di Dio" e mori. Non ho mai visto un sorriso come quello sulla faccia di quest'uomo”. Il giornalista replicò: “Perché anche nei più grandi sacrifici sembra che non ci sia sforzo in voi, che non ci sia fatica?”. Allora intervenne Madre Teresa: “E Gesù quello a cui facciamo tutto. Noi amiamo e riconosciamo Gesù, Oggi”4. Oggi: ieri non c'è più. Quel che c'era ieri o è oggi o non c'è più. Mi spiace non poterla leggere tutta, perché è troppo lunga, ma su Tracce troverete anche questa lettera di Gloria, la nostra amica, giovane insegnante, che è andata con Rose in Africa, a Kampala, e che scrive: “Niente qui mi è immediato [niente mi è confacente, niente mi è facile]. E in certi momenti ho provato come una impossibilità a star di fronte alla gente ammalata, sporca, senza il minimo di condizioni igienico sanitarie. [Ma chi le fa fare così? lì ricordo di duemila anni fa? Qualcosa ora. Una presenza che è ora]. Una mattina mentre salutavo Rose lei mi ha detto: 'Prega la Madonna perché oggi non ti abbia a spaventare a vedere come Cristo ti si presenterà". Con queste parole nel cuore sono andata con Claudia al carcere minorile. Tutto mi faceva ribrezzo: l'odore, la sporcizia, la scabbia, i pidocchi. E in quel momento capivo che la mia domanda coincideva con la posizione della mia persona”15. Lei, curva sull'ammalato, o sul bambino prigioniero, lei cosi curva, in quella posizione: la sua domanda,,< la domanda di essere, che è la domanda del cuore dell'uomo - perché anche se uno non ci pensa grida questo, la domanda di essere, la domanda di essere felice, la domanda del vero, la domanda del bene, del buono, del giusto, del bello -' questa domanda era la sua posizione, la domanda coincideva con la posizione stessa che assumeva. Ma la notizia più grande di questi tempi, forse la più grande di tutta la nostra storia, è quella che è accaduta a Brasilia. Vi prego di andare a leggere su Tracce la storia dell' uccisione di Edimar. Ragazzetto tra i più delinquenti di Brasilia, più volte assassino, perché la sua banda è una banda di assassini. Nella sua classe all'inizio dell'anno va una insegnante dei Memores Domini, libanese, attualmente in Brasile. Parla il nostro linguaggio. E sconvolto Edimàr, vuole avere anche lui gli occhi pieni di azzurro come i suoi e non scuri, scuri, neri, sporchi, come li ha lui. Si ripromette di cambiare. Il capo della banda capisce che c'è qualche cosa che non va, subito lo mette alla prova, gli intima di andare ad ammazzare una persona. Edimar dice: “lo non ammazzo più nessuno”. E lui: “Io ammazzo te, allora>': lo ammazzò. E il secondo martire della nostra storia. Ma qual è la formula sintetica di tutta la figura di Cristo per se stessa, come uomo, registrato all'amministrazione di Betlemme, e presente ora a sollecitare e a esigere la vita e il cuore di ognuno di noi perché attraverso noi il mondo intero lo riconosca, perché sia più felice il mondo, perché tutta la gente del mondo sia più felice, sappia il perché", possa morire come Andrea? La formula sintetica che descrive tutta la dinamica di Gesù è che è stato “mandato” dal Padre. Perché Gesù, essendo Dio, Verbo di Dio, l'espressione di Dio, perciò l'origine del mondo, è diventato uomo? Perché è entrato nelle viscere di una ragazza di 15 anni, e stato generato dentro queste viscere, è nato bambino, è diventato giovane, adolescente, uomo, uomo trentenne, parlava come l'abbiamo sentito parlare, colpisce Andrea, colpisce i nostri amici di Villa Turro (i malati di Aids di cui nostri amici si prendono cura, colpisce Edimàr? Perché è diventato uomo e agisce nella storia così, diventa presente nella storia in questo modo? Per eseguire il disegno di un Altro. Lui usa, Lui stesso usa l'estrema parola per indicare l'origine di tutto e da cui quindi la vita nasce: il Padre, La vita sua si definisce come chiamata dal Padre a svolgere una missione: la vita è vocazione. Questa è la definizione cristiana di vita: la vita è vocazione. E vocazione è compiere una missione, svolgere un compito, che Dio determina per ognuno attraverso le circostanze banali, quotidiane, di istante in istante, che Egli permette noi abbiamo ad attraversare. Per questo Cristo è l'ideale della nostra vita, in quanto essa è tentativo di risposta, desiderio di rispondere alla chiamata di Dio; vocazione, chiamata di Dio, disegno che il Mistero ha su di me, perché io in questo istante, se son sincero, pensoso, capisco: non c e niente di così evidente, neanche tu che sei a due metri da me, niente è così evidente come il fatto che in questo istante non mi faccio da me, non mi do i capelli, non mi do gli occhi, non mi do il naso, non mi do i denti, non mi do il cuore, non mi do l'anima, non mi do i pensieri, non mi do i sentimenti, tutto mi è dato: perché compia il Suo disegno, un disegno che non è il mio, attraverso tutte le cose, attraverso lo scrivere, attraverso il parlare, attraverso l'Angelus, come diceva Andrea, attraverso tuffo, tutto. “Sia che mangiate sia che beviate”, dice san Paolo, facendo il paragone più banale che si possa pensare; “sia che vegliate sia che dormiate”; “sia che viviate sia che moriate” - dirà ancora in altri passi - tutto è gloria di Cristo, cioè disegno di Dio. Cristo è l'ideale della vita. Colui che Giovanni e Andrea sentivano era l'ideale della vita. Per questo il loro cuore sussultò, per questo andarono a casa in silenzio, per questo quella sera Andrea strinse sua moglie come non l'aveva mai stretta, senza saper dire nulla. Avevano incontrato l'ideale della vita. Non potevano esprimersi subito così, poveretti. L'hanno detto pochi anni dopo. Da allora sono andati in tutto il mondo a dirlo: Cristo è l'ideale della vita. Cosa vuol dire che Cristo è l'ideale della vita? E l'ideale per il modo con cui trattiamo tutta la natura; è l'ideale per il modo con cui viviamo l'affetto, con cui perciò concepiamo, guardiamo, sentiamo, trattiamo, viviamo il rapporto con la donna e con l'uomo, con i genitori e con i figli; è l'ideale con cui noi ci rivolgiamo agli altri e viviamo i rapporti con gli altri, cioè con la società, come insieme e compagnia di uomini. Qual è la caratteristica che questo ideale infonde nei modi che abbiamo di trattarci gli unì gli altri, di trattare tutto, dalla natura - intendo indicare con questa parola tutto ciò che c'è, perché posso trattar male, ingiustamente, questo microfono, come ho fatto prima senza accorgermi -, fino al padre e alla madre? La caratteristica è in due parole che hanno la stessa radice, ma sono l'una il principio e l'altra la fine della traiettoria dell'azione: la prima si chiama gratitudine. Perché? Per quel che ho detto prima, che niente c'è di più evidente in questo momento, per me e per te, che non ti fai da te, che tutto ti è dato, c'è un Altro in te che è più te dite stesso, tu sorgi da una sorgente che non sei tu: questa sorgente è il mistero dell'essere. Cosi, analogamente, capisci che tutte le cose sono fatte da un Altro. Tu, come uomo, sei la coscienza della natura: l'io è il livello in cui la natura prende coscienza di se stessa. Come io prendo coscienza che non mi faccio da me, cosi tutta la natura non si fa da sé, è data: dato, dono. Perciò, grato: la gratitudine come fondamenta di ogni azione, di ogni atteggiamento, come premessa. Che cosa insinua in tutte le azioni questa gratitudine? Insinua un aspetto, una sfumatura, un'aura di gratuità; gratuità pura, quella di cui parlava. come tante volte abbiamo ricordato, Ada Negri in una sua impareggiabile poesia, che esprime questo in un modo che io non so dire meglio: “Ami, e non pensi essere amata: ad ogni I fiore che sboccia o frutto che rosseggia I o pargolo che nasce, al Dio dei campi e delle stirpi rendi grazie in cuore”. Ami, ti piace il fiore non perché lo annusi, ma perché c'è, guardi il frutto che rosseggia non perché lo addenti ma perché c'è. Guardi al bambino non perché è tuo, ma perché c’è. Questa è purità assoluta. Per favore, fate uno sforzo per immedesimarvi con questa assolutezza di purità. Una sfumatura di questa purità, di questa gratuità entra dentro di noi anche senza che noi ce ne accorgiamo, quasi naturalmente entra dentro ogni nostra azione. Ché se qualsiasi mio atteggiamento verso dite non ha dentro questa gratuità, una sfumatura di questa gratuità, è brutto, è un rapporto caduto, caduco e caduto, è un rapporto all'inizio del suo crollo, del suo disfarsi. È solo questa purità di gratuità che non disfa più, che non fa disfar più niente, che mantiene tutte le cose che erano del passato, nate nel passato, le mantiene nel presente; così che il soggetto mio nel presente si arricchisce di tuffo ciò che ha fatto ieri e l'altro ieri, e nulla è inutile, come diceva Andrea due giorni prima di morire. Per questo l'esito del seguire Gesù come ideale della vita, della vita come vocazione, l'esito - come il Vangelo dice - è il centuplo: le cose diventano più potenti, diventa più potente il mio rapporto con te, è come se fossimo nati insieme, non ti conoscevo, fino a pochi anni fa non ti conoscevo, e non ho nessun tipo di interesse, nel senso di controvalore, di tornaconto, nessuno, non è per un tornaconto che siamo insieme; e con te mi trovo benissimo, nonostante quello che pensi, ma non lo faccio per questo l'amico tuo. Per cui è una ricchezza più potente in tutti i rapporti, nel modo di guardare il fiore, nel modo di guardare le stelle, nel modo di guardare le piante, le foglie, nel modo di sopportare me stesso, che impudentemente pretendo da voi che stiate qui ancora cinque minuti, in tutti i modi, nel modo in cui penso alle mie colpe di ieri, dell'altro ieri: “Signore perdonami, perdona a me, peccatore”, ma dire così non mi delude, non mi deprime, mi rende più vero, se non dicessi cosi sarei meno vero, perché lo sono, peccatore. Da questa ricchezza deriva una capacità di fecondità che nessuno ha; di fecondità, cioè di comunicazione della propria natura, della propria ricchezza, della propria intelligenza, della propria volontà, del proprio cuore, del proprio tempo, della propria vita. E dire: “Ci lascerei la pelle per ognuno di voi”; ognuno di noi per ognuno degli altri lo direbbe, lo dice. Se non lo dice è perché non ci ha mai pensato, se non ci ha mai pensato è perché non ha mai pensato accorgendosi della presenza di Cristo. Se parte da questo, lo dice: “Darei anche la, pelle” - Gesù aiutami però, eh! -. E una fecondità nel lavoro, una passione per il lavoro che non è per tornaconti o per gusti o per particolari incidenze sull'esito della mia presenza nella società; è amore al lavoro come perfezione di azione, comunque riesca. E una fecondità che è amore a dare quel che sono, a darti me stesso, vale a dire a dare se stessi ai figli. Amore a tutto ciò che entra ed entrerà in rapporto con i figli, amore agli altri che sono figli, anche loro sono figli, a tutti gli uomini: al popolo. Una fecondità sul lavoro, una fecondità di fronte ai figli, una fecondità nella vita del popolo. Insomma, l'ideale della vita diventa il bene degli altri, il bene per gli altri: il bene per gli altri, il bene vostro, il bene mio. Questo è lo scopo per cui Dio ha fatto il mondo: il bene di tutto, il bene. lì contrario del libro di Bobbio, un libro sul male, serio e commovente, credo commovente da alcune pagine, però il disegno di un padre è il bene del figlio. L'ideale della vita diventa il bene. Ora vi prego distare attenti a questi ultimi cinque minuti, perché quello che sto per dire è la cosa più acuta dì tutto quello che abbiamo detto oggi, è la conseguenza più acuta del tema di oggi. C'è una forma di vocazione che decide per una strada inopinata e inopinabile, impensata e impensabile nella mente di chiunque, e che si chiama, scusate se lo dico subito, verginità. E una forma di vocazione che trapassa, come la luce trapassa il vetro (la parola "trapassa" è un po' insostituibile), è una forma di vocazione che trapassa le urgenze più naturali, così come si presentano all'esperienza di tutti. Quelli che fanno questa strada hanno le urgenze naturali che hanno tuffi: questa forma di vocazione trapassa le urgenze più naturali così come si presentano all'esperienza realizzandole paradossalmente secondo un potenziamento nuovo. In loro, con questa vita, con questa forma di vocazione, il lavoro diventa obbedienza. Perché ognuno va al lavoro per tanti motivi, in cui c'è anche quella sfumatura che si chiama gratuità: ma qui il lavoro diventa tutto gratuità, tende a diventare totalmente gratuità. Perché vai nel tuo studio di avvocato, perché vai nella tua classe di insegnante? lì 27 del mese, o la carriera, o il fatto che bisogna pur lavorare, realmente, nel tempo che passa, vengono meno, sussiste soltanto la volontà del bene per gli altri: che si attui la volontà di Dio. Cioè il lavoro diventa obbedienza. Cos'è l'obbedienza? L'obbedienza è fare una azione per affermare un Altro. Cos'è l'azione? L'azione è il fenomeno per cui l'io si afferma, afferma se stesso, realizza se stesso. Per realizzare me stesso, l'azione che faccio non la faccio per me stesso, ma per un Altro: questa è l'obbedienza. La legge dell'azione è un Altro, è affermare un Altro, è amore al Verbo, è amore a Cristo. lì lavoro è amore a Cristo. Se il lavoro diventa obbedienza, l'amore alla donna o all'uomo si esalta. Un uomo che si esalti nel senso fisico del termine è un uomo che si erge in tutta la dirittura, in tutta l'altezza della sua persona. L'amore alla donna si esalta come segno della perfezione, dell'attrattiva per cui l'uomo è fatto. E quello che intuì Leopardi. Vi fu un punto della sua vita, da cui poi decadde, in cui intuì che la faccia della donna era un segno: aveva amato tante donne, ma in quel momento intuì che non era quella faccia o quell'altra, ma un'altra faccia, con la "F" maiuscola, era una donna con la "D" maiuscola, a cui fece quell' inno bellissimo, che cercava. L'amore alla donna si esalta come segno di perfezione e di attrattiva del bello, del buono, del vero e del giusto, che è Cristo, perché la perfezione, la sorgente dell'attrattiva, la sorgente del bello, del bene, del vero e del giusto è il Verbo di Dio. Quello che traluce, come diceva Leopardi nell'inno Alla sua donna, in un panorama della natura, o nella bellezza di un sogno, o nella bellezza di un viso, è il divino che sta a sorgente di ogni cosa: nel volto dell'altro - dell'altro per eccellenza per l'uomo che è la donna, e viceversa - traluce; traluce in modo ineffabile, che non si riesce a dire. Chi è riuscito meglio a dirlo, secondo me, è stato Leopardi, che non l'ha detto, ma era lì li per dirlo. Scusate, perché non vi sembrino astratte queste cose, vi leggo una lettera che alla propria fidanzata ha mandato il suo ex-fidanzato. Erano stati insieme per tre anni. Dopo tre anni lei intuì che la sua vocazione era quella alla verginità e gli disse che avrebbe frequentato un periodo di verifica. L'ex-moroso le scrive cosi: “Carissima, voglio imprigionare solo poche parole, poiché tutto è già racchiuso nei nostri cuori per sempre hai cioè voluto più bene cosi che l'avermi sposato. Ti ringrazio di questa tua attesa e prego la Madonna perché ci siano sempre attorno a te volti di speranza come hai adesso, per proteggerti e amarti in ogni tuo passo. Ti ho regalato un'icona di Cristo, segno della Sua incarnazione è un concetto che l'ortodossia ha ben chiaro] affinché ti conforti sempre la Sua presenza e perché ti ricordi di pregare per me, per il compito ora affidatomi di amare Elisabetta, per i miei familiari e i nostri amici, ma soprattutto affinché non abbandoni quell'abbraccio di Spirito Santo che è il Movimento e la sua misteriosa sentinella. Lui ha capito. Avete capito che ha capito? Il lavoro diventa obbedienza, l'amore alla donna diventa segno supremo di perfezione dell'attrattiva che essa esercita su di noi, della felicità che ci aspetta; e il popolo, invece che soggetto di una storia umana piena di litigi e di lotte, diventa la storia di gente, di un flusso, di un fiume di coscienze che lentamente si illuminano cedendo almeno nella morte alla gloria di Cristo. Si chiama carità, questi cambiamenti si chiamano carità. Il lavoro che diventa obbedienza si chiama carità. L'amore alla donna che diventa segno della perfezione finale, della bellezza finale, si chiama carità. E il popolo che diventa storia di Cristo, regno di Cristo, gloria di Cristo, è carità. Perché la carità è guardare la presenza, ogni presenza, colti nell'animo dalla passione per Cristo, dalla tenerezza per Cristo. Ci sono una letizia e una gioia che sono possibili solo a queste condizioni. Letizia e gioia sono due parole da strappare dal vocabolario umano altrimenti, perché non esiste possibilità di letizia e di gioia, altrimenti: esiste la contentezza, la soddisfazione, tutto quello che volete, ma la letizia non esiste, perché la letizia esige la gratuità assoluta che è possibile solo con la presenza del divino, con l'anticipo della felicità, e la gioia ne è l'esplosione momentanea, quando Dio vuole, per sorreggere il cuore di una persona odi un popolo in momenti educativamente significativi. Però, scusate, che il lavoro diventi obbedienza, che l'amore alla donna diventi segno, come ha intuito Leopardi, che il popolo non sia un groviglio di facce, ma il regno di Cristo che avanza, questa carità è la legge di tutti, non dei vergini. E la legge di tutti, si, è la legge di tutti. La verginità è la forma visibile di vita che richiama a tutti lo stesso ideale di tutti, per tutti, che è Cristo, ciò per cui solo vale la pena vivere e morire, lavorare, amare la donna, educare i figli, reggere e aiutare un popolo. E per tutti, ma alcuni sono chiamati al sacrificio della verginità proprio perché siano, tra tutti, presenti a richiamare questo ideale che è per tutti. Avreste dovuto studiare nel terzo volume (Il tomo della Scuola di Comunità, se ci siete arrivati, il concetto di miracolo. lì miracolo è un avvenimento - come si definisce lì - che inesorabilmente rimanda a Dio, un fenomeno che per forza ti fa pensare a Dio. Il miracolo dei miracoli, più che tutti i miracoli di Lourdes, più che tutti i miracoli di qualsiasi santuario del mondo, il miracolo dei miracoli, vale a dire il fenomeno che inesorabilmente ti obbliga a pensare a Gesù, è una bella ragazza di vent'anni che abbraccia la verginità. La Chiesa è il luogo di questa strada e di tutti gli influssi operativi, fecondi, fiorenti, sulla gente che cammina insieme, nella compagnia che Dio crea, in cui tutte le strade sono insieme. La Chiesa è il luogo in cui tutta questa gente s'arricchisce, si dona e si arricchisce del dono altrui. La Chiesa è proprio un luogo commovente di umanità, è il luogo della umanità, dove l'umanità cresce, si incrementa, espungendo continuamente ciò che di spurio vi entra, perché siamo uomini; ma essa è umana, perciò gli uomini sono umani quando espungono lo spurio e amano il puro. E una cosa veramente commovente la Chiesa. La lotta col nichilismo, contro il nichilismo, è questa commozione vissuta. < Adesso mi sento in pace, libero e in pace. Quando Ziba recitava l’Angelus davanti a me che gli bestemmiavo in faccia, lo odiavo e gli dicevo Ora, quando balbettando tento di dirlo con lui, capisco che il codardo ero io, perché non vedevo neppure a Grazie don Giussani, è l’unica cosa che un uomo come me può dirle. Grazie, perché nelle lacrime posso dire che morire così ora ha un senso, non perché sia più bello – io ho visto e incontrato. Così mi sento utile, pensi, solamente usando la voce mi sento utile; con l’unica cosa che ancora riesco ad usare bene io posso essere utile; io che ho buttato via la vita posso fare del bene solamente dicendo l’Angelus. È impressionante, ma anche se fosse un’illusione questa cosa è troppo umana e Ziba mi ha attaccato sul letto la frase di san Tommaso: «La vita dell’uomo consiste nell’affetto che Preghi per me; io continuerò a sentirmi utile per il tempo che mi rimane pregando per lei e il movimento. La abbraccio.>> Andrea, Milano (Andrea è morto due giorni dopo aver scritto questa lettera) |
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