domenica 6 dicembre 2015

Dove è la misericordia là c’è Cristo

 
 (Sant’Ambrogio)
L’ingresso del Messia

IV Domenica d’Avvento

Is 4,2-5; Sal 23 (24); Eb 2,5-15; Lc 19,28-38

 

Duomo di Milano, 6 dicembre 2015



Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano


1.      Aspettiamo il Signore con ardente speranza
A conclusione della Liturgia della Parola pregheremo: «… a coloro che aspettano il Signore con ardente speranza… dona il tuo aiuto per la vita presente e i beni di quella futura». La speranza è infatti, come dice san Tommaso d’Aquino, un’attesa certa del proprio compimento. E speranza, più propriamente, è il nome dell’attesa cristiana.
Entriamo nella quarta settimana di Avvento e la nostra attesa-speranza si fa sempre più intensa. Il tempo che ci separa dalla venuta del Salvatore è sempre più breve: il brano evangelico odierno, descrivendo in undici versetti l’ingresso di Gesù a Gerusalemme ripete per ben due volte il suo farsi vicino («quando fu vicino» Vangelo, Lc 19,29; «era ormai vicino» Lc 19,37).

2.      Chi è questo re?
Alla domanda del Salmo responsoriale, dettata dall’attesa messianica – «Chi è questo re della gloria?» –, risponde la narrazione del Vangelo: «Gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada» (Vangelo, Lc 19,35-36). Gesù non entra nella città di Davide con il cavallo da guerra, come fanno i principi conquistatori, ma con un puledro non ancora cavalcato da nessuno, scelta cui aveva fatto riferimento il profeta Zaccaria per indicare il principe della pace. Il Messia entra in Gerusalemme non per prendervi possesso secondo la logica del potere mondano, ma per dare la propria vita. «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!» (Vangelo, Lc 19,38). L’acclamazione gioiosa con cui Gesù viene accolto dalla folla dei discepoli rimanda all’inizio del vangelo di Luca, all’annuncio ai pastori; qui però non si fa più riferimento alla terra, ma solo al cielo: Pace in cielo, il luogo della pace sicura e definitiva che, per questo, ci dà l’energia di cercare questa pace con tutte le forze anche su questa terra.

3.      La fedeltà del “resto” fa fiorire la terra
«In quel giorno, il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria e il frutto della terra sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti d’Israele» (Lettura, Is 4,2). L’espressione germoglio del Signore, usata in parallelo con frutto della terra, annuncia il rifiorire della creazione.
Possiamo qui fare riferimento allo sguardo di Cristo sul creato che è trasparente e luminoso. Lo dobbiamo imparare, come ci ha ricordato il Papa nell’Enciclica Laudato sì’ che è punto di riferimento per l’incontro mondiale sul clima in atto a Parigi.
Anche il testo di Isaia è un invito alla speranza, fondata sulla presenza di un “resto” aperto all’azione purificatrice di Dio. Il “resto” non è l’insieme dei perfetti, ma il popolo di coloro che sono consapevoli della loro immeritata elezione, cioè consapevoli della misericordia di Dio. Ed il “resto” vive in funzione di tutti, come pegno della promessa rivolta a tutti.

4.      Solidarietà coi fratelli nella morte per condurli nella Vita
«Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe» (Epistola, Eb 2,14). Gesù si è fatto solidale con i suoi fratelli in umanità, dal primo istante del suo concepimento nel grembo di una donna fino all’abbassamento della morte. Si è abbassato «per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2, 15). Gesù è glorioso non in forza della sofferenza o dell’umiliazione mortale prese in se stesse, ma per il fatto che, mediante esse, Egli è divenuto solidale con i suoi fratelli passati, presenti e futuri. Per questo scopo di solidarietà con tutti gli uomini «conveniva che Dio […] rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza» (Eb 2,10), in modo che Gesù, giunto per primo alla meta gloriosa, vi conducesse tutti.
La speranza è per sua natura solidale. Non posso non sperare per tutti. È questa speranza solidale che ci aiuta a vincere la comprensibile paura per gli orrendi atti terroristici che continuano ad insanguinare con le guerre varie regioni del mondo.

5.      Seppellire i morti e Pregare Dio per i vivi e per i morti
Le due opere di misericordia corporale e spirituale cui ci richiamiamo oggi – Seppellire i morti e Pregare Dio per i vivi e per i morti – sono spiccate espressioni di questa solidarietà tra gli uomini. Esse rivestono un carattere cruciale nell’umana esperienza, tanto inevitabile quanto ostico e tendenzialmente rimosso dalla nostra cultura.

Chiediamoci allora: “Come viviamo il cambiamento in atto, soprattutto in città, delle forme di esequie e di sepoltura (“rendere onore”) dei nostri cari?” Non lasciamole cadere nell’anonimato e nemmeno in un individualismo sentimentale. Una solida civiltà ha bisogno di un raccordo stabile e pubblico con i suoi morti. Amen.

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